Lia Courrier: “Nella danza e nella formazione siamo a una deriva di cui spesso non ci si rende conto”

di Lia Courrier
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In questi anni in cui ho pubblicato i miei articoli su DHN, abbiamo parlato tanto dell’insegnamento della danza, osservandolo da più punti di vista. Questo mi ha permesso di delineare dei contorni definiti di come il nostro bellissimo lavoro dovrebbe esprimersi, nel migliore dei mondi possibili, ed è stato un processo molto importante per la chiarezza di intenti verso gli allievi, anche se non credo proprio che questo bellissimo sogno potrà mai vedere davvero la luce.

Osservando la realtà, purtroppo, emerge in modo prepotente una situazione di disperazione, disgregazione, perdita di obiettivi, che è sotto gli occhi di tutti e che trova le sue radici nel fango dell’ignoranza e della trasandatezza in cui il settore versa da anni, senza che nessuno voglia prendersene cura. Ma la cosa più grave è che questa involuzione culturale e sociale riguarda il Paese Italia nella sua interezza, di cui la nostra situazione non è che uno specchio periferico.

Qualcuno potrebbe pensare che la mia sia una dichiarazione esagerata, che non esista un nesso tra le sfere di cui sto parlando, e invece non è così. La società è un organismo che possiede un suo proprio corpo fisico, mentale e emotivo. Collettivo, dove tutto è interconnesso, ed è per questo ogni evento che accade su uno di questi piani, ha effetti e ricadute su ogni altro. Non si può pensare di sanare la situazione del settore danza lavorando solo sulla danza, per almeno due motivi: uno perché la danza e il suo insegnamento sono parte del tessuto sociale, e poi perché per ogni danzatore che sta sulla scena, sono coinvolte molte altre persone che siedono in platea, quindi ogni intenzione di cambiamento dovrebbe guardare ad un territorio ampio e onnicomprensivo, mentre le azioni dovrebbero essere dirette in particolare alle nuove generazioni.

Ad esempio, trovo molto grave che non siano previste esperienze somatiche nei programmi scolastici, momenti in cui i bambini possono sperimentare con il proprio corpo attraverso discipline di indagine. Intendo qualcosa di molto diverso dalla ginnastica o dall’educazione fisica, parlo di un approccio più sperimentale e mirato alla scoperta di sé e dell’altro, dell’importanza del gesto e del contatto, un modo per dare loro accesso alla bellezza della condivisione e del movimento gioioso e giocoso.  Un movimento che possa dare accesso all’immaginario magico di cui i bambini sono naturalmente dotati, una pratica che dia loro una motivazione profonda per agire in modo integrato. In molti paesi questo è già realtà da tanti anni, nella scuola pubblica, e questo chiaramente ha delle ricadute sull’evoluzione fisica ed emotiva dei ragazzi, quindi della società, quando questi diventeranno adulti.

Bene. Detto questo,  andiamo a guardare alcuni eventi, recentemente emersi alla superficie di quel corpo collettivo che chiamiamo società, che mi hanno molto colpita e portata in uno stato di profondo sconforto.

Uno è certamente il taglio di  4milioni di euro alla scuola pubblica, scelta infelice di una società che decide indossare i panni di Medea, per uccidere i suoi stessi figli, lentamente, privandoli di un bene fondamentale per poter diventare adulti.

Mentre il mondo sta cercando di gestire la crisi della formazione, con insegnanti che si confrontano per trovare nuovi metodi di trasmissione, efficaci sulle nuove menti modellate dalla tecnologia, qui si sceglie non solo di non investire nuove risorse, ma persino di operare dei tagli nell’unico settore che davvero conta per la crescita economica, sociale e culturale di un Paese.

La scuola non dovrebbe trasmettere solo informazioni nozionistiche per accumulare punteggi, ma essere un canalizzatore di strumenti per pensare, dedurre, elaborare il bagaglio appreso, attraverso una visione che tenga conto anche della personalità degli studenti, delle loro attitudini,  delle strategie di vita che hanno abbracciato, del loro modo di vedere il mondo. Per dirla citando il caro Hillman: tenendo conto della ghianda di ognuno, affinché questa possa germogliare e crescere forte e maestosa.

La scuola italiana, purtroppo manifesta un grande numero di abbandoni, di persone che al compimento dei 17 anni, fuori dall’obbligo scolastico, decidono di non proseguire. Questo dato è molto preoccupante, marcatore di un disagio che non può in alcun modo dipendere solo dalla mancanza di forza di volontà o di interesse da parte di giovani. In un sistema scolastico che porta gli allievi all’atteggiamento di chi ‘timbra il cartellino’, che non stimola la loro curiosità e non li coinvolge emotivamente nel processo di apprendimento, in quanto parte attiva e critica, è la scuola stessa a non essere vista da loro come un’opportunità di realizzazione personale. Nel contesto competitivo in cui oggi viviamo è inaccettabile che questo problema dell’abbandono scolastico non sollevi la preoccupazione di tutti, in particolare della politica, che dovrebbe avere questi temi in cima alla sua agenda, se davvero ci tiene al futuro del Paese e non solo a tenersi stretta la poltrona del potere.

Un altro dato sconvolgente, notizia di qualche giorno fa, è il numero di neolaureati che lasciano l’Italia per andare all’estero a cercare fortuna. 28 milioni di nostri giovani connazionali scelgono di trasferirsi all’estero per mettere a frutto ciò che hanno imparato nel loro percorso di studi, e così qualcun altro beneficerà del loro talento, nonostante l’Italia abbia investito nella loro formazione.

Credo proprio che anziché focalizzare l’attenzione pubblica su 42 persone che vogliono entrare nei confini italiani, sarebbe molto meglio spostarla su questi 28 mila che ogni anno credono di non poter sviluppare il proprio potenziale qui. Vorrei proprio sapere quanti sono i figli dei nostri politici a formarsi all’estero, perché se sono proprio loro i primi a non credere nella qualità della formazione italiana allora siamo proprio alla frutta.

Davanti a questa situazione, possiamo osservare con chiarezza la catena di eventi che portano la danza ad essere relegata all’angusto spazio del mero intrattenimento estetico, oppure un passatempo  ad uso e consumo di una presunta élite intellettuale. Nel campo della formazione ormai la danza è inesorabilmente equiparata allo sport, con il benestare degli insegnanti stessi, che ormai non riescono neanche a vedere quanto siamo scesi in basso, ben al di sotto della dignità di cui ogni professionista dovrebbe beneficiare.

Le linee di Nazca sono degli antichissimi disegni realizzati sulla nuda terra, così grandi che per guardarli nella loro interezza, e comprenderne il senso profondamente simbolico, bisogna volarci sopra. Se li si osserva al livello del suolo si riuscirà solo a vedere dei solchi.

Si perde la visione d’insieme.

Ecco che, con il muso schiacciato per terra, a volte non riusciamo a percepire la portata di questa deriva, senza riuscire ad avere una proiezione nel futuro, non solo per noi, ma anche per chi verrà dopo.

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