Siamo ufficialmente entrati nella stagione primaverile, nonostante qui a Milano l’inverno faccia fatica ad allentare la presa, stringendo ancora le sue fredde dita attorno al collo. In tutte le scuole fervono i preparativi per i saggi e si sente già l’aria elettrizzarsi in vista del grande evento che si avvicina.
Ormai da anni ho scelto, volontariamente o inconsciamente, situazioni in cui non è abitudine fare il saggio, non almeno per come comunemente questo tipo di spettacolo viene organizzato. Nelle strutture in cui insegno, la fine dell’anno è il momento di esami tecnici di valutazione, a volte di una performance di chiusura corso che consiste in un’unica piéce, nella quale si concentra tutto il lavoro svolto dai vari docenti.
Ringrazio il cielo per questo, poiché se finalmente riesco a sentirmi a mio agio nel mio ruolo di insegnante, sto proprio scomoda in quello di coreografa. L’arte della composizione è qualcosa che va nettamente oltre le mie possibilità: non sono in grado di leggere la musica come dovrei, non sono creativa, non riesco mai a dichiarare finito un lavoro, dopo qualche prova vorrei gettare via tutto e ricominciare da capo….insomma…non sono certo una che davanti alla creazione di una danza si dimostra sicura di sé, risoluta, rapida e affidabile! Le rare volte che ci ho provato il risultato è stato proprio deludente.
Non è affatto facile già creare coreografie per danzatori professionisti, che con la loro maestria ed esperienza riescono a valorizzare persino le coreografie meno brillanti, figurarsi quanto può essere difficile costruire una danza con chi sta ancora imparando, e quindi ha bisogno di indicazioni semplici, dai contorni ben definiti, con una musicalità lineare che consenta anche un buon lavoro di insieme. Io comunque non ne sono mai stata capace, quindi mi complimento sinceramente con chi ogni anno immagina, costruisce e completa decine di coreografie da portare in scena in occasione dello spettacolo di fine anno.
Tuttavia questo appuntamento spesso assume un volume sovradimensionato in termini di aspettative, investimento di denaro, tempo ed energia, quasi fosse una gara tra le scuole a chi realizza l’impresa più titanica. A volte i saggi di fine anno mi fanno venire in mente certi matrimoni a cui ho assistito, nella mia Sicilia, che smettevano di essere un’occasione di festa per la felicità e l’amore della coppia, per diventare solo ostentazione opulenta e materialistica. Tutto era esagerato: il vestito, le decorazioni in chiesa, la chiesa stessa, per non parlare del banchetto, delle bomboniere, del servizio fotografico….pareva di stare sul set di un colossal ‘ammeregano’, come direbbe il nostro Albertone.
Il saggio dovrebbe essere il momento in cui convogliano gli sforzi di tutti, consentendo agli allievi di fare l’esperienza della scena, aspetto imprescindibile dallo studio stesso della danza, poiché senza nessun testimone la danza, per come la intendiamo noi, ossia intrattenimento (escludendo le danze sacre o rituali), rischia di entrare in sofferenza per solitudine. Gli allievi hanno bisogno di esibirsi di fronte al pubblico per dare un senso a tutto ciò che studiano, chiusi in una sala, per un intero anno accademico. Personalmente trovo più idonea una scelta basata sulla sobrietà, quando si parla di saggio, una qualità che consente di osservare i risultati, senza luci stroboscopiche, musica spacca-timpani, pubblico rumoroso e distratto, costumi esageratamente elaborati e coreografie inadatte all’età o al livello tecnico degli allievi. Mi riferisco ovviamente a chi fa danzare a teen-ballerine difficili variazioni di repertorio sulle punte, ma anche ad alcune esibizioni di street dance dove le bambine ancheggiano seducenti come Lolite, con indosso abiti che farebbero arrossire persino Beyoncé. Penso si possa cominciare ad affrontare la questione femminile anche da qui: si tratta di un saggio di danza, non di un numero di lap dance. Un momento per celebrare gli allievi, non la scuola o tanto meno l’Insegnante. Lasciamo che i bambini interpretino ruoli adatti alla loro età e al loro immaginario, senza farli crescere anzitempo, che già ci sono i media a rovinare loro parecchie sorprese.
È di qualche giorno fa la notizia di un famoso attore italiano che si è rifiutato di andare a prendere gli applausi al sipario perché la gente continuava a usare il cellulare durante lo spettacolo. Non sappiamo più stare seduti in platea, e i saggi spesso, ahimé, ne sono la conferma: tutti a riprendere col cellulare, nessuno che guarda la danza direttamente con i propri occhi, chiacchiericcio continuo, persone che escono ed entrano dalla sala continuamente, tifoseria da stadio. Personalmente credo molto nel ruolo educativo e divulgativo che le scuole di danza hanno nei confronti della società, e visto che siamo qui a trasmettere una splendida arte, antica quanto il mondo, credo sia giusto anche diffondere un’idea sana della danza in ogni sua manifestazione, non esclusa quella della scena, dove il pubblico è parte integrante di ciò che accade ed è chiamato a sostenere e ricevere l’energia che arriva dal palcoscenico, senza distrarsi.
Il bisogno di esagerare al saggio potrebbe essere espressione di un ego non equilibrato da parte di chi dirige, non capita di rado in effetti di vedere gli insegnanti esibirsi insieme agli allievi, che invece dovrebbero essere gli unici e assoluti protagonisti della serata. Pur comprendendo la voglia e il piacere di condividere con loro l’energia della scena, penso sia più sano che ognuno mantenga il proprio ruolo e il proprio spazio.
I ragazzi sul palco e l’insegnante dietro alle quinte o in cabina regia