Dopo gli articoli di qualche settimana fa in cui ho affrontato importanti questioni sulla didattica, sulla trasmissione della danza, sulle modalità con cui gli insegnanti del passato e quelli del presente provano a stimolare l’apprendimento degli allievi, ho ricevuto molti messaggi dai lettori che hanno voluto raccontarmi le proprie storie.
Poiché si tratta di un tema molto caldo al momento, di cui non mi sto occupando soltanto io, ho anche letto altri messaggi, giunti ai colleghi, che sono stati pubblicati – ovviamente in forma anonima – lasciandomi addosso stupore, incredulità e rabbia.
Queste storie provengono da ambiti a me sconosciuti, non so neanche se si tratta di percorsi professionali o amatoriali ma quello che sento è che lentamente il vaso di Pandora sta per scoperchiarsi, liberando il suo contenuto tossico, con un impeto da arrestare: soprusi, violenze verbali, psicologiche e persino fisiche si sono moltiplicati sulla mia pagina digitale, uno dopo l’altro, come se venissero a cercarmi, per attirare la mia attenzione affinché io li veda e ne parli.
Una giovane allieva torna a casa con dei lividi sul corpo e, alle richieste di chiarimento da parte del genitore, viene risposto che la maestra l’ha colpita perché non era riuscita a eseguire bene un movimento. Il genitore in questione ne parla con gli altri genitori e questi commentano: “se vuole raggiungere obiettivi può succedere, ma è un bene, vuol dire che piace alla maestra”. Questo è l’episodio che più di tutti mi ha lasciata senza parole ma la lista è lunga e ancora continuo a riceverne, tanto che mi chiedo se non sia il caso di pensare ad accendere uno sportello di ascolto per supportare chi è vittima di abusi nel mondo della danza.
Il genitore di questa storia particolare ha scelto poi di ritirare sua figlia dal corso di danza, salvandola dalle grinfie di questo maestro-mostro, ma questo risolve il problema solo ad una persona, non a tutti gli altri potenziali obiettivi di quelle mani violente e abusanti.
Comprendo benissimo che la questione è delicata e lungi da me dal dare soluzioni facili, però vorrei cercare di ragionare insieme su questo episodio che, benché rappresenti la punta tagliente di un iceberg, è rappresentativo di un certo modo di pensare.
Per i genitori forse può essere difficile comprendere quale sia il confine che un insegnante non dovrebbe mai superare nel difficile apprendimento della danza, così competitiva e impegnativa. Comprendo bene come si possa cadere nell’errore di pensare che la rigida disciplina implichi anche l’utilizzo della violenza. Dall’altra parte, però, nei percorsi formativi scolastici istituzionali, i professori molto spesso vengono attaccati dai genitori per una nota sul registro, per un voto basso ad una verifica o segnalati per le proprie idee politiche, ad esempio, come è già successo diverse volte. Possiamo dire che nella scuola di oggi siamo lontani anni luce dalle punizioni corporali come quei colpi di righello che mio papà mi raccontava di aver ricevuto più volte (classe 1946). Possiamo anche dire che se oggi un professore osasse percuotere un suo studente come minimo sarebbe allontanato dalla scuola se non allontanato dall’insegnamento (e a ragione).
Certamente sarebbe denunciato dai genitori.
Perché allora si consente ai maestri di danza di utilizzare indisturbati questi metodi?
Il genitore che si accorge che il proprio figlio è ripetutamente oggetto di questo tipo di violenze o di qualsiasi altro genere di attenzioni che esulano da una sana relazione insegnante-allievo, deve immediatamente chiedere un colloquio per ricevere chiarimenti e se ritiene che la cosa non sia stata risolta, se si accorge che gli abusi vanno avanti, bisogna denunciare.
Non importa quanto prestigioso sia il contesto, anzi, a maggior ragione bisogna avere il coraggio di procedere quando l’insegnante abusante è anche rinomato e famoso, quando può godere della protezione data dall’aura di prestigio che lo circonda o dalle persone che sono pronte a scattare in prima linea per difenderlo. Ovviamente bisogna assicurarsi che gli episodi non rappresentino casi unici, che ci sia uno schema che si ripete, insomma bisogna essere certi che ci si trovi davanti ad un profilo abusante che abitualmente utilizza questi metodi in classe. In questo caso credo sia saggio procedere con la richiesta di un colloquio formale con la direzione, raccogliere prove e testimoni, parlare con tutti gli altri allievi per verificare se ci sono altre vittime.
Ribadisco un concetto già espresso: questo comportamento non rappresenta un metodo didattico, non si tratta di protocolli approvati dal mondo della danza, chi li utilizza è solo una persona che ha bisogno di aiuto a sua volta, di tempo per prendersi cura delle proprie ferite e di guardarsi dentro per cominciare un processo di guarigione. Se non fosse disposto a farlo, per quanto possa essere alto il livello di conoscenza tecnica che possiede, resterebbe comunque una persona inadatta all’insegnamento.
Bisogna rompere una volta per tutte questo tabù, solo così possiamo proteggere i ragazzi e i bambini che desiderano formarsi con la danza dagli aguzzini. Non esiste alcuna giustificazione per chi fa del male ai propri allievi, persino se uno di questi dovesse mancare di rispetto alla classe, al maestro, alla danza: esistono tante strade per promuovere l’autodisciplina ma quella della violenza (fisica, verbale, psicologica) non è tra queste.
Non è contemplata.
Se ci fossero tra i miei lettori professionisti interessati ad aprire uno sportello di ascolto che sia in grado di accompagnare le famiglie dal supporto psicologico a quello legale, contattatemi, parliamone, apriamo spazi utili per mettere fine a questa triste pagina di un’arte che dovrebbe solo essere sinonimo di gioia e dare alla danza la possibilità di essere sempre un percorso formativo e non distruttivo. Aiutiamo la danza a fare dei bambini che la incontrano adulti integri e felici dell’esperienza con lei vissuta.