La lotta per i diritti degli insegnanti di danza è oramai ferma al palo, da anni.
Personalmente ho cercato di fare il possibile, quanto almeno era in mio potere fare, per portare il mio contributo al cambiamento, investendo tempo e anche denaro per partecipare agli incontri importanti in cui sembrava che i tempi fossero maturi per un cambiamento e invece siamo ancora qui a parlare di riforma del settore sportivo.
Bisogna dire che purtroppo nell’agenda politica del nostro bellissimo ma complicato Paese la formazione è fuori dai giochi, non solo quella della danza. I risultati di questa trascuratezza riguardo l’unico ambito davvero importante per la crescita e l’evoluzione di una socio-cultura sono visibili sotto agli occhi di tutti e nonostante venga continuamente chiesto alla popolazione di fare figli, noi tutti ci chiediamo quale futuro i governanti pensano di dare a chi viene al mondo in questo momento a queste latitudini.
In gran parte del resto d’Europa la formazione è in cima alle priorità, si fanno avanti nuove consapevolezze e metodologie, in adattamento alle necessità di una società che cambia a fronte della multicultutra e di tanti aspetti della mente umana di cui oggi sappiamo molto di più, che chiedono cure speciali per alcuni di noi. Una scuola il più possibile equa e inclusiva in cui ognuno possa trarre il meglio per prepararsi alla vita e non solo al lavoro è ciò che sarebbe auspicabile ma purtroppo tutto questo in Italia è fantascienza, a parte qualche raro caso. Proprio noi che abbiamo avuto nella nostra storia un’educatrice e pedagogista illustre come Maria Montessori, che ci ha guardato per anni con il suo enigmatico sorriso da Monna Lisa dalla banconota da mille lire, ispiratrice di moltissimi sistemi educativi e didattici in tutto il mondo, abbiamo permesso che un simile sfacelo avvenisse sotto ai nostri occhi.
In questo contesto, la speranza che il governo (qualunque esso sia perché ne abbiamo avuti di tutti i tipi e colori in questi anni di grande instabilità politica) si prenda carico della situazione degli insegnanti di danza, dando loro il riconoscimento e la qualifica che gli spettano, è ormai per me del tutto vana. Da anni ho gettato la spugna e mi sono rassegnata a sguazzare nello stesso mercato di chi fa questo come secondo lavoro, mi sono rassegnata a non avere in mano uno straccio di pezzo di carta che riconosca la montagna di studi fatti in ogni ambito che riguardi la danza e il suo insegnamento, mi sono rassegnata al fatto di non vedermi riconosciuti i decenni di esperienza sul campo, costante e appassionata.
Non so se tutto questo bagaglio fa di me una brava insegnante, questo bisognerebbe chiederlo ai miei allievi, certo è che ho dato tutta me stessa senza risparmiarmi neanche le briciole e credendoci sempre con immutato trasporto. Non sono in possesso di un diploma blasonato di qualche prestigiosa Accademia di Ballo, neanche mi posso fregiare di aver danzato in compagnie famose o con celebri coreografi ma non tutti possiamo eccellere, a volte ci si trova davanti alla realtà in cui comprensione profonda, forza di volontà e dedizione non bastano a portarti in alto, perché altri fattori fisici e caratteriali si frappongono tra noi e il nostro obiettivo, questo non significa che la mia persona o i miei insegnamenti abbiano meno valore.
Esistono due livelli da cui osservare la propria posizione in questo difficile ruolo che ci siamo scelti. Uno riguarda la relazione personale con il proprio lavoro: per me l’insegnamento non è mai stato un ripiego ma qualcosa che ho volutamente scelto perché lo sento profondamente come mio progetto originario, la posizione da cui posso sfruttare al meglio le mie competenze e saperi accumulati nel tempo con scopo altruistico, dando un servizio di qualità a chi ne ha bisogno.
Adoro trasmettere concetti, condividere esplorazioni, accompagnare le persone a dare il meglio e a incontrare sé stessi attraverso la danza. Questa fiamma è pura e difficile da spegnere, soltanto io posso farlo (e quante volte ci ho provato, inutilmente). Da questo punto di vista possiamo abbandonarci ai pensieri più poetici e romanticamente celebrare questa storia d’amore che per molti di noi dura da una vita. Certo non si può prescindere dall’essersi adeguatamente formati sotto la guida di maestri esperti, ma penso che questa voglia di migliorarsi e di approfondire sia una tendenza naturale quando siamo immersi nella nostra missione con dedizione assoluta. Continuare a studiare è una necessità naturale specialmente per chi insegna costantemente, per equilibrare il flusso di ciò che si dona e ciò che si riceve.
Poi esiste un altro livello, più terreno, materiale, ma non meno importante che riguarda lo stato del mercato del lavoro in questo settore, in cui persone che magari hanno dedicato tutta la vita allo studio e altre che lo fanno come secondo lavoro si muovono nello stesso mercato. Molti colleghi pensano che in contesti amatoriali sia lecito che persone per cui l’insegnamento della danza rappresenta un’occupazione secondaria possano prestare servizio. Nella mia esperienza, invece, ho ben capito quanto lavorare con allievi delle scuole amatoriali sia ancora più difficile e richieda maggiore specializzazione e competenze, sia per l’età a cui ci si rivolge e anche per la varietà di corpi con cui ci si trova a lavorare. Pensare che nelle scuole amatoriali sia giusto avere insegnanti meno qualificati vuol dire pensare che esistano categorie di qualità per gli allievi, concetto a mio avviso aberrante, specialmente se viene da un insegnante di danza. Ogni allievo merita di essere seguito da un maestro adeguatamente preparato, perché tutte le stelle che brillano sui palcoscenici hanno iniziato in una scuola amatoriale e se non si capisce l’importanza di questo aspetto vuol dire che siamo proprio lontani dall’avere una visione chiara di cosa voglia dire insegnare.
L’insegnante di danza ha bisogno di vedersi riconosciuto il suo status di professionista proprio per questo, affinché da tutti venga considerato una professione che richiede specificità tecniche e conoscenze che dovrebbero essere attestate soprattutto sul campo e non per il solo conseguimento di un attestato, perché aver studiato nella migliore scuola del mondo non fa di te necessariamente una persona adatta all’insegnamento. Essere riconosciuti come professionisti, inoltre, creerebbe una classe separata dagli amatori, assicurando paghe adeguate per tutti, in relazione agli anni di esperienza, come accade per qualsiasi altra figura professionale. Il denaro è un’energia potente nell’assetto sociale attuale e chi non accede a questo tipo di energia è tagliato fuori dal sistema e da ogni opportunità.
Lo stato attuale delle cose sta solo creando rabbia e molta frustrazione tra i colleghi, generando divisione, giudizio, competitività e molte invidie, considerando anche che si tratta di un ambito di lavoro popolato da tante personalità caratterizzate da un piccolo ego molto sviluppato, che non tutti sanno di avere.
Dal mio canto, dopo tante battaglie, ho deciso di gettare la spugna e di dare energia solo alle cose che contano: il mio lavoro, i miei allievi e le collaborazioni in cui mi sento vista e apprezzata, in cui esiste un scambio nutriente per entrambi che non riguarda solo il mero lavoro ma il cuore e l’anima. Queste presenze negli ultimi anni si sono drammaticamente ridotte in numero, ma sono cresciute in qualità, e questo riporta in equilibrio le cose. Il resto lo lascio andare perché troppo tossico, risucchiava gran parte di quella energia necessaria per potermi guadagnare da vivere, con grande fatica a dire il vero, per questo ho deciso di defilarmi un po’ da questo mondo abrasivo della danza, che onestamente non credo senta troppo la mia mancanza.
L’unica finestra aperta rimane questa rubrica, tutto il resto è una storia segreta tra me e i miei studenti. Il futuro potrebbe rivelare sorprese e per questo considero la porta solo accostata e non chiusa, così anche il mio cuore, aperto verso ciò che solo chi vivrà vedrà.