Hanno fatto parlare molto di sé le dichiarazioni omofobe del ballerino ucraino Sergei Polunin e la decisione, legittima, di Aurelie Dupont di rompere il suo contratto con l’Opéra di Parigi per incompatibilità ideologica. Questa decisione arriva a seguito di ripetute pubblicazioni di Polunin sui social, che definire politicamente scorrette non renderebbe l’idea, non ultimo un selfie nel quale mostra compiaciuto il suo nuovo tatuaggio: un ritratto di Putin in pieno petto.
Le reazioni alla rivelazione che ‘il bad boy del balletto’ non è solo un personaggio creato per far parlare di sé, ma la natura controversa di questo ragazzo, sono state le più disparate. Certo forse il codazzo di fan accanite che si erano sciolte al vederlo svolazzare in calzamaglia grigia nell’ormai celebre video di David La Chapelle, e tutti coloro che sbavano davanti ad un collo del piede o delle belle gambe, si saranno sorpresi a scoprire che non tutto ciò che luccica si rivela poi essere davvero oro.
Alcune persone sostengono che Polunin sia il miglior danzatore vivente e quello che dice o pensa esula dalla sua presenza scenica e non dovrebbe interessare chi ama la danza. Che sciocchezza!
Quelli che invece, come me, hanno un’età abbastanza matura da riconoscere un artista quando se lo ritrovano davanti, e non è questo il caso, non sono rimaste così sorprese né dalle sue uscite e neanche dalla decisione della Dupont. Anzi, il fatto che questo retrogrado conservatore sia stato allontanato proprio da una donna che occupa un posto di potere, ha il sapore di una giustizia molto alta, karmica, di un gesto che rimette in equilibrio le cose.
Devo dire che mi sono oscuri i criteri secondo cui si possa dire senza ombra di dubbio che uno è il miglior danzatore vivente, poiché non stiamo parlando di una gara di ginnastica ma di arte, quindi quanto di più soggettivo possa esistere, e non credo proprio che lui possa neanche aspirare a tale ruolo. Infine, la grandezza di un artista si misura anche in relazione al suo contesto storico e a qualcosa che non riguarda solo l’esecuzione di un movimento.
Di sicuro stiamo parlando di un danzatore dalle doti fisiche e tecniche straordinarie, ma il suo modo di danzare e di esprimersi, sul palco come nella vita, sono figli della visione contemporanea della società, dove vince chi urla più forte. Oggi un ballerino, spesso, assurge al successo esclusivamente in base alla quantità di giri, di salti, di mobilità delle articolazioni e bellezza estetica del suo corpo. Capisco di appartenere ad un’altra generazione proprio perché questi attributi, che gradisco anche io in un danzatore perché nonostante tutto ho un mio senso estetico, mi vengono presto a noia se non sono supportati da altro, se vengono ostentati e messi in primo piano con sfacciataggine e narcisismo.
Forse ci siamo dimenticati dei ballerini che riescono a creare il silenzio in sala solo attraversando il palcoscenico, per raggiungere il punto da cui inizierà la danza? E non sto parlando dei miti di un passato lontano, ce ne sono anche oggi. La loro presenza carismatica riempie lo spazio e non hanno bisogno di agitarsi per essere magnetici e magnifici, perché il loro punto forte non è la quantità ma la qualità. Questa non è data solo dalla tecnica, nel senso ginnico del termine, ma anche dall’uomo (o dalla donna) che c’è dietro al danzatore. Dalla cultura, dalla profondità umana, dalla ricchezza emotiva. Come si può pensare che siano due cose separate? Non esiste separazione tra l’uomo e l’artista. In scena non si può fingere, nel momento in cui danzi ti sveli totalmente, emerge anche quello che non vorresti mostrare perché il palco ti mette a nudo. Un artista questo lo sa bene e non ha timore di mostrare anche le sue debolezze.
Da tempo assisto all’ascesa mediatica di questo ballerino con perplessità, perché in lui e nella sua danza non vedo spessore umano o un guizzo d’intelligenza creativa, e persino quelle ombre che gli hanno attaccato addosso, da ribelle e tenebroso, mi sembrano solo sagome di cartone. Quello che invece vedo molto bene è un ego sovradimensionato e un esagerato bisogno di apparire e di avere successo, a tutti i costi.
Si diviene grandi artisti perché si ama e non perché si odia.
Da sempre gli artisti hanno vissuto conflitti interiori, personalità borderline, dipendenza da sostanze, tendenze autolesioniste, depressione e tutto un corollario di comportamenti eccentrici, a volte lambendo i confini di qualche forma di follia, ma non conosco nessuno tra loro che tema e detesti la diversità, proprio perché spesso si tratta di persone che sentono esse stesse di essere diverse, fin da piccole. La diversità per un artista è una ricchezza immensa da osservare, accogliere e conoscere. Dietro a questa maschera da duro che Polunin vuole mostrare io vedo solo insicurezza e immaturità, e mi spiace molto che messaggi di odio e intolleranza, che affondano le radici nell’analfabetismo emotivo e nell’ignoranza, vengano espressi da chi ha potere mediatico e tantissimi giovani tra i fan.
Viviamo un’epoca complessa, nella quale la tensione e la violenza repressa hanno creato un clima nel quale anche solo una scintilla può scatenare un incendio. Chi si vuole portare al successo attraverso l’esposizione mediatica ha la responsabilità di trasmettere messaggi che non soffino sul fuoco. Vorrei consigliare ai giovani danzatori di guardare altrove per trovare un idolo da seguire o a cui ispirarsi, ci sono tantissimi artisti, forse meno famosi di Polunin, ma con una presenza più pura nella danza e nella vita, capaci di portare amore e poesia nei loro gesti, che sanno mettere da parte il loro piccolo ego per lasciare al Grande Ego lo spazio per esprimersi.
Non fatevi fregare.
Ci vuole ben altro che qualche tatuaggio per essere dei ribelli.
1 commenti
La vicenda Polunin mi ha fatto riflettere sul rapporto tra artista e arte e su cosa e chi seguire e ricercare. Pur non condividendone opinioni e scelte, almeno nella forma in cui ci sono apparse sui social e sul suo petto, mi ritrovo a continuare a seguire un artista che attraverso una tecnica superba mi trasmette un grande amore per la danza e la possibilità di immedesimarmi negli stati d’animo dei personaggi e di viverne le vicende. Per me è molto, tutt’altro che osservare esercizi ginnici e virtuosismi, per me noiosi in ogni espressione artistica. Credo poi che un artista sia da giudicare sul piano artistico, appunto. Nulla sappiamo delle scelte politiche di altri ballerini e poco ci interessa. A questo proposito, ho trovato più adeguata la reazione del teatro di Monaco. Ci aspettiamo che d’ora innanzi un teatro faccia l’esame politico-morale degli artisti? Mi auguro di no, perché cadremmo per l’appunto nella discriminazione che intendiamo combattere. Mi rendo conto di essere andata bel oltre il piano artistico, ma forse questa vicenda ci interroga su ben altre questioni. E ci richiama a riflessioni importanti e urgenti.