Lia Courrier: “Qual è il nutrimento dei nostri bambini?”

di Lia Courrier
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Dopo la scorsa pubblicazione (l’argomento era: perché la danza non è popolare come il calcio?) ho ricevuto tantissimi commenti e messaggi, scritti con grande attenzione e competenza. Sono molto felice quando gli articoli avviano un confronto edificante e ci aiutano a riflettere insieme.

Uno degli argomenti emersi, che credo occupi un posto di grande risonanza nella discussione, o almeno dovrebbe, è il tipo di nutrimento che vogliamo somministrare ai nostri bambini, riferendomi ovviamente non al cibo che si mette in tavola, ma a quello con cui nutriamo le loro vite. Dico ‘nostri’ anche se ho scelto di non essere madre biologica in questa vita (ma mi sento madre del mondo), perché i bambini sono di tutti, ma sono anche di loro stessi, e hanno il diritto di ricevere da noi adulti tutti gli stimoli possibili, nonché dei sani esempi di comportamento, per crescere in modo armonioso e libero.

La scuola pubblica, allo stato attuale, nutre quasi esclusivamente la mente, poco e niente offre loro dal punto di vista somatico, fatta eccezione per quelle scuole che, per disponibilità economica o per interesse da parte della dirigenza, abbracciano progetti di movimento illuminati, in cui ai bambini non viene chiesto di imparare sequenze di passi da mostrare poi a genitori e maestre, ma di fare una esplorazione esperienziale con il corpo, che è ben altra cosa. Purtroppo però si tratta sempre di collaborazioni con associazioni o autonomi, il che vuol dire che non si tratta di contenuti del programma ministeriale.
Ogni volta che si parla della condizione in cui la danza italiana versa – non buona a dire il vero, a parte pochi fortunati – tutti si aspettano che sia il pubblico a dover tornare nelle sale, che siano i governanti a sganciare più risorse, che sia il sistema a sostenere il nostro lavoro. Io penso invece che bisogna imparare a costruire il futuro insieme, guardando al lungo termine, facendo in modo che non sia solo il pubblico ad andare verso la danza, ma anche il contrario. Per fare questo i bambini hanno certamente bisogno che nelle ore di scuola siano inseriti momenti in cui vengono portati a teatro a vedere la danza, in ogni sua manifestazione, ma soprattutto c’è disperatamente bisogno che la danza vada da loro, attraverso occasioni di sperimentazione sul movimento, che siano parte integrante dei programmi ministeriali nella scuola pubblica.

La danza è bella da guardare, ma è ancora meglio viverla sulla propria pelle, si tratta di un nutrimento fondamentale, perché il corpo è il veicolo attraverso cui facciamo esperienza del mondo, non si può pensare sempre e solo a ingozzare la mente cognitiva.
Inoltre, non tutte le famiglie hanno tempo, disponibilità economica o culturale per portare i bambini a lezione di danza, per questo credo abbiano il diritto di ricevere questa possibilità all’interno della proposta scolastica. Ci sono tantissimi progetti, destinati a bambini e ragazzi, utilissimi nel supportare la crescita psicofisica, la scoperta del proprio corpo, sviluppare consapevolezza, competenze cinestetiche e imparare ad accogliere il contatto e la vicinanza con l’altro senza conflitti. Attraverso un approccio giocoso, curioso ed esplorativo, tutto ciò che ancora alla loro età non si riesce ad esprimere a parole, può essere comunicato con un linguaggio non verbale, attraverso il gesto.

In questo modo sarà il pubblico del futuro a riavvicinarsi alla danza e alle sale teatrali, perché i bambini circondati da queste informazioni fin da piccoli, ricevute in una sede istituzionale, in modo indistinto a prescindere da diversità di genere, di provenienza sociale o culturale, sono destinati a sviluppare una sensibilità che consentirà loro – una volta adulti –  di appezzare non solo la danza, ma qualsiasi espressione creativa con cui entreranno in contatto.

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