L’estate sta finendo, e un anno se ne va.
Sto diventando grande e questo non mi va.
Così recitava una vecchia canzone dei fratelli Righeira, colonna sonora della mia fanciullezza, che ascoltavo spesso dalla diffusione radio dello stabilimento balneare. Una musica che all’epoca tormentava le mie povere orecchie avvezze alla musica classica e all’Opera lirica, praticamente l’unica musica che si ascoltava in casa, ma che oggi, nelle rare volte in cui mi capita di sentirla in radio, mi sembra quasi originale e gradevole. Piena di nostalgia
Questi versi, però, non mi rappresentano affatto, perché quando l’estate volge al termine il mio anno sta appena per cominciare, e mi va benissimo che questo momento arrivi, perché detesto il caldo e il sole accecante che mi costringe ad una vita da vampiro. Più di tutto, di questa stagione odio le zanzare, che mi impediscono non solo di uscire all’aria aperta, pena il dissanguamento totale e un prurito a cui è impossibile resistere, ma persino di dormire tranquilla. Per quanto riguarda il diventare grande…beh, mi sono resa conto che è possibile farlo solo conservando il proprio bambino interiore, quindi in definitiva per avanzare nel processo evolutivo si deve camminare contemporaneamente in avanti e indietro, proprio come se si eseguisse una danza.
Ed eccomi qui, davanti al mio monitor, su cui ho aperto un foglio bianco da riempire, riprendendo il filo dei pensieri lasciato in sospeso dagli inizi di Agosto, che mi lega alla danza e a voi lettori, colleghi, danzatori e genitori. Scommetto che in questo momento starete assaporando quella stessa atmosfera limbica e irreale in cui mi trovo anche io: gli ultimi giorni di quiete in cui si rimane in contemplazione della nuova montagna da scalare, seduti alle pendici, con il corpo ancora mollemente rilassato ma la mente già attiva e vigile nel controllare e progettare ogni dettaglio del percorso. Devo dire che, vista da qui, ogni anno sembra un’impresa quasi impossibile e confesso di non avere molta voglia di provarci. In principio, ogni anno sembra uguale agli altri, so già che le prime settimane serviranno a rimettere in piedi non tanto il corpo quanto l’attenzione e la concentrazione, rallentate dal risposo estivo. Dopo le prime lezioni, che gli allievi seguono con la forza e la foga di un tornado, ci sarà il calo fisiologico dovuto ai muscoli doloranti e alla stanchezza che inevitabilmente sopraggiunge. Una curva che conosco fin troppo bene e che rappresenta un comune denominatore ormai da 34 anni, vissuti prima come allieva, poi come danzatrice e infine come insegnante. In qualunque ruolo, la stessa prassi.
Poi arriva il giorno della prima lezione.
Infilo gli abiti da lavoro, che all’inizio sento in qualche modo scomodi, quasi come non fossero miei. Le scarpette soffocano i miei piedi, ormai abituati solo a ciabatte e sandali per tre settimane. Ecco che l’odore della sala danza, così inconfondibile, all’improvviso colpisce le mucose nasali. Gli odori sono ancora una presenza importante per noi umani: nonostante abbiamo scelto la vista come senso principale, l’olfatto è ancora profondamente legato al cervello più antico, così sentire un odore può inviare molte informazioni e scatenare reazioni, che riguardano i sensi e anche le emozioni. La fragranza della sala mi riporta immediatamente nel mio ruolo, riprendo il controllo della situazione, mi preparo a quello che devo fare e a come lo voglio fare.
Incontro visi conosciuti, solo un po’ più riposati e abbronzati di come li ricordavo. Ed è subito una festa di racconti delle vacanze, esperienze danzanti, novità, progetti e soprattutto tantissimi abbracci, una delle cose che più mi piace dare e ricevere in questa occasione. Un bellissimo e rivitalizzante rituale da fare rigorosamente prima della lezione e non dopo, quando saremo tutti sudati fradici! Poi ci sono anche volti nuovi, allievi con cui non ho mai lavorato, che portano nuove sfide da affrontare, nuove cose da imparare, ostacoli da superare. Insieme.
Con loro un abbraccio potrebbe essere una prematura invasione di campo, allora mi limito ad una stretta di mano condita col miglior sorriso a disposizione, in attesa che arrivi il momento in cui le braccia decidano spontaneamente di aprirsi accoglienti.
Osservo il modo in cui si scaldano prima della classe e già lì il mio cervello comincia ad analizzare e a studiare piani per loro. Quando la lezione infine comincia, ogni preoccupazione, insicurezza, noia, paura, pigrizia, si dissolvono come vapore. Il suono della mia voce ritrova la sua armonia con i suoni dei piedi che strisciano sul pavimento, con i respiri, con la musica che proviene dalle casse e scandisce le battute. L’impatto con la mia quotidianità, che mi ero tolta di dosso alla fine dell’anno, stanchissima, insieme alle scarpette, si dispiega nuovamente davanti ai miei occhi e dentro al mio cuore. Sempre uguale eppure mai la stessa.
Alla fine della prima classe l’epilogo è sempre quello: se il mio lavoro ancora è capace di scatenare tutte queste emozioni e questi pensieri, se ancora stare lì in qualche modo mi restituisce nuova energia e la voglia di dare sempre il massimo, allora posso davvero considerarmi una persona fortunata che è riuscita a realizzare qualcosa di speciale.
E’ un flusso costante di amore, questa montagna, anche quando la parete diventa impossibile da scalare o le rocce aguzze tormentano le caviglie.