Lia Courrier: “Quando gli allievi sono emotivamente tesi la prestazione perde di brillantezza”

di Lia Courrier
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Arrivano i mesi freddi, quelli in cui per quanto tu possa coprirti alla fine del grand battement hai sempre la sensazione di avere delle stalattiti di ghiaccio al posto delle dita. La sbarra ha bisogno di più esercizio nella sezione iniziale, per consentire alle gambe, alle caviglie e ai piedi di scongelarsi e riacquisire la sensibilità necessaria non solo per esprimersi, ma proprio per radicarsi e sentire il pavimento.

In concomitanza con questo cambio climatico, nella formazione in cui sono docente arrivano anche gli esami tecnici del trimestre. Appuntamento non così formale come quello che si svolge alla fine dell’anno, ma si sa le prove sono sempre motivo di agitazione, di tensione, e sistematicamente la combinazione dei due eventi porta in classe almeno un paio di infortuni.
Stiamo parlando di ragazzi che sostengono tante ore di danza ogni giorno, in media dalla mattina alle otto e mezza fino alle sedici, quindi può accadere che ogni tanto capiti qualche dolore persistente che richiede attenzione, ma in prossimità delle prove d’esame o degli spettacoli finali devo ammettere che l’incidenza di questi episodi è nettamente più alta.

In vent’anni di esperienza nei centri di formazione professionale ho avuto modo di constatare quanto lo stato emotivo possa incidere sul corpo fisico. Quando gli allievi sono emotivamente tesi per le prove che dovranno sostenere persino il loro ardimento nel danzare, la predisposizione ad aprirsi al nuovo, la lucidità nel memorizzare le sequenze perdono di brillantezza, mentre il corpo si irrigidisce e la sua intelligenza intrinseca sembra offuscarsi. Persino quelli che non sbagliano mai un colpo possono andare nel pallone durante o poco prima di un esame. Le emozioni sono tempeste potenti se non si hanno strumenti per gestirle. Aggiungerei a tutto questo anche quanto le nuove generazioni, così compresse sotto al peso delle aspettative, abbiano una pessima relazione con il fallimento, con l’errore e con i “no”.

La struttura muscolo-scheletrica a volte risente di questa tensione generale in ogni sfera della loro esistenza e così qualche infiammazione o vulnerabilità, che magari giaceva in uno stato di latenza, trova qui spazio per manifestarsi.

Non è raro che durante lo svolgimento degli esami io abbia una o due persone sedute che assistono perché infortunate o che qualcuno si faccia male proprio durante una di queste occasioni.

Per questo sostengo fermamente che per fare un mestiere di danza bisogna essere centrati, integri e risolti. Ogni tanto arrivano in classe giovani studenti la cui integrità è stata già inesorabilmente interrotta, frammentata da eventi di vario tipo, che possono riguardare malesseri personali, questioni familiari difficili, schemi psichici speciali ma anche percorsi pregressi con la danza vissuti in maniera drammatica. Me ne accorgo immediatamente perché anche il loro movimento danzato presenta frammentazione, disgregazione, come se ci fosse qualcosa fuori posto o fuori fuoco. Credo che esista un magnetismo tra i karma individuali delle persone. Quando si necessita di passare attraverso un certo tipo di esperienza per avanzare nel proprio percorso, è facile trovare sul proprio cammino qualcuno che infliggerà quel colpo. A me è successo così: non credo di essere diventata anoressica a causa dei miei maestri di danza, perché le pressioni che facevano a me erano le stesse che riservavano alle altre, ma su di me hanno avuto un impatto devastante perché probabilmente offrivo brecce aperte, vulnerabilità. Forse dovevo proprio passare per quella strada per arrivare dove sono oggi e ho incontrato i miei carnefici pronti a darmi esattamente ciò che stavo cercando. Questo non giustifica il comportamento abusante che mi hanno inflitto, ovviamente, ma voglio pensare che ci sia una spiegazione più profonda in quello che mi è accaduto che non riguarda solo le responsabilità degli altri, ma anche me stessa e il mio dialogo interiore. Approfondire la comprensione del Karma, di cosa si tratta e in che modo agisce seguendo regole ben precise, mi ha aperto nuovi livelli di lettura della mia esistenza e dei processi che ho attraversato, così poco lineari.

Ad ogni modo, quando percepisco questa frammentazione in un allievo o in un’allieva, solitamente accompagnata da una dissociazione dal corpo fisico, con conseguente abbassamento della sensibilità, del controllo, della propriocezione, presenza di un ingombrante sé giudicante e fatica a percepire una chiara immagine di sé; riconosco in lei o in lui esattamente quello stato in cui io stessa sono rimasta per diverso tempo e so bene come, in questo caso, gli insegnamenti purtroppo non andranno a buon fine. Quando ci si trova in questo stato di prostrazione, prima di poter pensare a danzare, si ha bisogno di rimettere a posto i pezzi della propria vita e tornare interi. Se questo processo non sarà attuato subito, i nodi verranno al pettine più avanti quando si comincerà a confrontarsi con il mondo del lavoro, con le audizioni, con i ritmi forsennati di una produzione: energie sovrastanti se non si è abbastanza forti e centrati. Oppure tutto questo non sarà affrontato affatto poiché mettersi alla prova sul campo sarà qualcosa di troppo terrorizzante e quindi si sceglierà di abbandonare ogni progetto e ambizione, come accade spesso in questi casi.

Mi chiedo allora quale sia il mio dovere di insegnante quando mi trovo di fronte a queste persone, perché se da una parte non posso conoscere la potenza delle risorse personali di ognuno, magari perfettamente in grado di riemergere alla superficie di sé stesso, salvandosi dall’abisso; dall’altra so bene che tutte queste energie, tempo, risorse economiche spese nello studio della danza con obiettivi professionali, potrebbero essere impiegate meglio per prendersi cura di sé stessi e progettare un futuro alternativo a quello della scena, così fortemente esclusivo non solo ai più bravi o i più talentosi, ma soprattutto ai più determinati e caratterialmente forti.

Nella vostra esperienza è mai capitato di incontrare ragazzi “interrotti”?

Non trovate anche voi che la danza non sia sempre curativa e salvifica, ma che a volte addirittura diventi una gabbia dorata all’interno della quale sfuggire dalla realtà?

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