Lia Courrier: “Quando la passione per la danza diventa tossica?”

di Lia Courrier
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Quando se ne viene catturati, la danza può diventare una passione bruciante e profonda, così esaltante da scatenare reazioni chimiche, nell’organismo di chi la pratica con dedizione, legate alla sfera del piacere e del benessere. Sono proprio queste sensazioni piacevoli a farci desiderare di danzare ancora e ancora.

Come accade in molti altri contesti della vita, però, il confine oltre il quale una passione, che in condizioni normali rappresenta una valida risorsa per alimentare la nostra energia vitale, si trasforma in una dipendenza, può essere sorprendentemente sottile, così prima ancora di rendersene conto la trappola può aver già serrato i suoi denti aguzzi attorno alle caviglie.

Si tratta di un rischio che esiste indistintamente sia tra chi ha scelto la danza come progetto di vita e lavorativo che tra coloro che la praticano a livello amatoriale, poiché ci sono situazioni e momenti particolari nella vita di ognuno, che possono rendere particolarmente soggetti a cadere in questo tipo di trappola, e noi insegnanti dobbiamo rimanere vigili in questo senso, per evitare che la danza possa diventare tossica per  il benessere psicofisico dei nostri allievi. Molto spesso i primi segnali di questo cambiamento non sono facilmente visibili, poiché accogliamo sempre con gioia studenti attenti, presenti, dediti e appassionati. Per questo può non destare sospetti la richiesta di voler partecipare alla lezione anche se malati o infortunati, per esempio, ma forse dovremmo preoccuparci nel vedere un allievo accanirsi con rabbia quando non riesce ad eseguire correttamente un movimento, con una determinazione tale da tramutare il piacere in frustrazione, rabbia o voglia di dimostrare, chiedendo disperatamente una nostra conferma, giudicandosi duramente o gonfiando il proprio ego, alternando momenti di grande euforia a periodi di perdita totale di autostima e voglia di mettersi in gioco. Può anche capitare di osservare come per la danza vengano sacrificati altri importanti aspetti dell’esistenza, togliendo tempo allo studio, agli affetti e alla normale routine che ogni adolescente dovrebbe avere, come amici, uscite, feste, divertimento.

Sia chiaro: la danza, specie se praticata con una certa costanza, richiede molto tempo, dedizione ed energia, per cui una sana determinazione è fondamentale per avanzare nell’apprendimento, anche perché trattandosi di una specie di febbre da pulsione, spesso permane nella mente anche al di fuori del tempo passato a praticarla, come pensiero ma anche nella volontà di andare alla ricerca di occasioni per restare in sua compagnia, guardando video o andando a teatro.

I linguaggi creativi, e le attività ad essi legate, possono offrire un rifugio sicuro, una stanza tutta per sé (per citare la Woolf) nella quale poter esprimere sé stessi quando il confronto verbale, attraverso i canali consueti, è difficile da affrontare. Sono molti i percorsi attraverso i quali la danza può diventare una prigione dorata, in cui sentirsi protetti e confortati, ma anche isolati, creando un distacco dalla realtà, per vivere in un mondo immaginato nel quale tutto ruota attorno alle esperienze e ai sogni di realizzazione tramite la danza. Quando ci accorgiamo che uno dei nostri allievi ci sta, come dire, prendendo troppo la mano, sarebbe bene aiutarlo a non lasciarsi scivolare in questo turbine, ebbro di quelle sensazioni così potenti e sconvolgenti che la danza può scatenare dentro. Specialmente nel caso di allievi che studiano per diventare dei professionisti del palcoscenico, è importante non fomentare in loro l’idea che l’intera esistenza abbia come suo centro la danza, ridimensionandone la portata per lasciare aperta la porta a curiosità e interesse anche nei confronti di altro. Questo processo, anche se potrebbe sembrare il contrario, aiuterà l’allievo a vivere un rapporto sano con questa disciplina già di per sé così totalizzante, poiché i progressi che potranno essere fatti nello studio dell’arte del movimento trovano fondamento sull’evoluzione della persona come entità separata dalla danza, mantenendo una scissione tra ciò che si fa e ciò che si è, consapevolezza che spesso viene a mancare qualora si sia sviluppata una dipendenza.

Nella mia esperienza di insegnante ho capito che tutto ciò che vivo nelle profondità del mio essere è esattamente quello che trasmetto agli allievi. Al di là della divulgazione verbale, più diretta e superficiale, esiste un’emanazione più sottile, della quale non sempre abbiamo il pieno controllo, ma di cui dovremmo preoccuparci, per evitare discrepanze tra quello che comunichiamo verbalmente attraverso la parte razionale e quello che esprimiamo con la nostra presenza, il nostro corpo e la nostra energia. Ho dovuto lavorare a lungo su me stessa prima di dissipare totalmente la mia dipendenza dalla danza, che è stata molto tossica durante l’adolescenza, procurandomi ferite così profonde che ne porto ancora i segni sul corpo e nel cuore. Negli anni ho lentamente riacquistato un equilibrio grazie al quale la danza ha trovato una sua collocazione: la sua dittatura è caduta, adesso sono libera, e per questo la amo ancora di più. Durante questo lungo cammino ho potuto osservare come il mio lavoro di insegnante si sia trasformato, e credo sia necessario lavorare prima di tutto su noi stessi, sulle nostre paure e sul nostro rapporto con la danza per permettere ai nostri allievi di viverla con gioia ed equilibrio.

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