Lia Courrier: “Quelle stelle che continuano a brillare”

di Lia Courrier
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Parlo spesso ai miei allievi dei danzatori che sono stati la mia ispirazione, le mie muse, quando anche io alla loro età inseguivo il sogno di calcare un palcoscenico come professionista.

Ai miei tempi (oddio, a dire così mi sento un pezzo da museo, ma a dire il vero appartengo letteralmente non solo al secolo ma al millennio scorso) non avevamo tutte le possibilità di vedere la danza che ci sono oggi: o si andava a teatro ad ammirare le star, se avevi la fortuna di poter raggiungere uno dei teatri in cui si esibivano, o altrimenti c’erano le videocassette, costosissime e anche rare, che guardavamo fino a smagnetizzarle. Di tutti i VHS in mio possesso conoscevo ogni singolo movimento di ogni personaggio e anche del corpo di ballo e dopo i primi anni di studio provavo a riprodurre quei passi nella mia stanza, pratica che è continuata per molti anni a venire. Quando ho raggiunto l’età per partecipare alle lezioni di repertorio praticamente sapevo già a memoria le principali variazioni di quasi tutti i balletti più famosi.

Ci sono nomi che nel tempo hanno conservato uno splendore intatto e mai superato, come Misha o Rudy, ma anche Margot Fontayne, sebbene la sua sia una danza che palesemente appartiene al suo tempo, le sue interpretazioni, la sua eleganza, la perfezione delle sue linee rimangono ancora oggi sinonimo stesso di bellezza e perfezione, nonché ispirazione per famose étoiles come Darcey Bussell (che adoro) o Marianela Nunez. Stelle che brillano ancora anche se scomparse, esattamente come accade nel cosmo, quando continuiamo a ricevere la luce di una stella estinta, allo stesso modo queste stelle del balletto continuano a brillare senza temere confronti, nonostante oggi le prestazioni tecniche siano giunte a livelli allora inimmaginabili.

L’edizione del Royal Ballet del lago dei cigni con Anthony Dowell e la sublime Natalia Makarova, ad esempio, è per me una di quelle. Uno spettacolo perfetto sotto ogni punto di vista, con dei protagonisti davvero eccezionali non solo per tecnica, impeccabile, ma specialmente per interpretazione, musicalità, carisma. Nonostante le mille edizioni successive di questo titolo, alcune molto belle e ben curate, come l’ultima del Royal Ballet con la coppia Nunez/Muntagirov e le coreografie del compianto Liam Scarlett, quella edizione del 1980 rimane per me un diamante puro dal valore inestimabile ed eterno.

Poi ovviamente la brillante versione di Misha di Don Quixote all’ABT, anche lì un cast di grande qualità tecnica, ma soprattutto la regia, i costumi, la musicalità e una adorabile ironia che pervade tutto il balletto, così dinamico e asciugato dalle numerose scene di pantomima che appesantivano le edizioni precedenti, tutti ingredienti che fanno di questa edizione uno spettacolo amato e ammirato da tante persone, persino da chi solitamente non occupa un posto nel pubblico del balletto.
Altri titoli per me rimangono nella storia per quella magia, frutto di una convergenza di energie che fanno di quella particolare edizione un evento benedetto dall’incanto, come l’edizione di Carmen di Roland Petit con la mitica Zizi e Misha, oppure ancora l’edizione di Who Cares di George Balanchine con le prime ballerine dell’ABT e Misha, ancora Lo Spettro della Rosa interpretato da un selvaggio e sensualissimo Patrick Dupond, anche lui scomparso da poco ma genio ribelle e geniale del balletto, che in quel ruolo sfoggia la sua sontuosa presenza e una aderenza perfetta a quel personaggio. Come non ricordare il PDD del Lo Schiaccianoci nella sua versione, a mio parere, più bella, quella con la coreografia di Rudy, interpretata da Manuel Legris e Elisabeth Maurin, con quella sequenza di passi difficilissima e incredibilmente musicale (checché se ne dica del lavoro di Nureyev come coreografo, quel PDD è di una bellezza abbacinante). Non ultimo il commovente Romeo e Giulietta con la coppia da me più amata da sempre, Margot e Rudy, che hanno portato sulla scena le vibrazioni di quella loro relazione speciale che li univa nella vita, fatta di tutte le forme d’amore possibile: filiale, materno, carnale, sensuale, intellettuale. Resta un mistero quale tipo di energia li legasse, ed è giusto così, a noi spettatori dedicavano la magia tra i loro corpi, l’affetto e il rispetto che provavano l’uno per l’altra, come persone ancora prima che come danzatori.

Sono molti i nomi che hanno popolato il mio immaginario negli anni in cui inseguivo il sogno, che mi hanno guidata, mi sono stati maestri, anche se non lo possono sapere. Ogni generazione ha i suoi idoli, danzatori appartenenti al proprio tempo e che diventano famosi perché incarnano esattamente ciò di cui quella particolare epoca ha fame e brama. Chi ha attraversato diverse decine di primavere sa bene come la danza sia stata capace di evolversi nel tempo, e lo stesso vale per i danzatori. Credo fermamente che ogni stadio evolutivo contenga in sé anche tutti i precedenti e se si vuole comprendere il punto in cui si è arrivati, e i percorsi che ci hanno portato esattamente dove siamo, sia necessario conoscere anche chi è arrivato prima, chi ha dato il proprio contributo per consentirci di avere accesso a tutte le sapienze e gli strumenti di cui oggi disponiamo.

È molto triste accorgermi che una buona parte dei giovani che si affacciano al mondo della danza professionale non abbiano mai sentito parlare di queste persone, o che non abbiano mai visto la loro danza, per questo continuo a parlare di queste interpretazioni memorabili, cerco di trasmettergli lo stupore e la meraviglia che provo ogni volta che le guardo, la preziosità inestimabile di questi documenti, ormai parte della trama e dell’ordito della danza stessa. Oggi è facile segnalargli i video da guardare ed è interessante sentire le loro reazioni, ascoltare le osservazioni, che mi fanno capire sostanzialmente due cose: una è che il tempo è passato e io sono a tutti gli effetti diventata una vecchia maestra di danza, ahimè. Secondo, che quando siamo dinanzi ad una opera d’arte, questa tocca il cuore. Non importa se le gambe non sono alte fino alle orecchie, non importa se le pirouette non sono dodici, non importa se non ci sono salti acrobatici: quando un artista è sulla scena, uno con la A maiuscola, si è in un territorio che si trova fuori dal tempo e dallo spazio consueti, quelli che misuriamo ogni giorno con gli orologi e i metri, per entrare nella sospensione nel puro incanto, nel rapimento dei sensi, nell’apprezzare la bellezza al di là dell’estetica.

Evviva la danza.

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