Lia Courrier: “RELOADED – la lezione estiva”

di Lia Courrier
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Dopo mesi di inattività forzata finalmente si possono riaprire le scuole di danza. Certo, detta così sembra uno scherzo, dal momento che solitamente a giugno siamo impegnati con saggi e spettacoli, ma dopo il periodo difficile che abbiamo passato poter fare lezione in sala in presenza, sebbene per poche settimane e con tutti i protocolli di prevenzione in atto, sembra bellissimo. Una occasione che nessuno ha voluto mancare di sfruttare.

Ovviamente negli stessi giorni, dopo qualche indecisione meterologica, è esplosa l’estate.
Bello, sì, per carità, ma è arrivato anche quel caratteristico caldo umido che rende l’estate, specie quella padana, particolarmente faticosa.

Nonostante si utilizzi l’aria condizionata, e ventilatori giganti che Beyoncé levati proprio, l’umido che viene emesso da tutti quei corpi in movimento forsennato, insieme alla temperatura che sale sempre più ad ogni esercizio, rendono le condizioni accessibili solo a pochi, arditissimi adepti di Tersicore.

Già durante il training preliminare alla lezione, la pelle comincia a diventare appiccicosa al punto che molti decidono di fare stretching in piedi anziché al suolo, per non rischiare di rimanere incollati al pavimento come una lingua che si attacca al ghiacciolo appena scartato. Dopo qualche esercizio il sudore comincia a sgorgare copiosamente dai pori, una sorgente continua, inondando naso, orecchie, occhi, mentre gli abiti si chiazzano sempre più. A metà sbarra ti ritrovi inzuppata come Alex, la protagonista di ‘Flashdance’, con la differenza che tu non hai tirato nessuna catenella appesa al soffitto e nessuna secchiata d’acqua ti è stata gettata addosso mentre fai cambré sulla spalliera di una sedia. Si tratta di autoproduzione dall’interno.

Se poi fai l’imperdonabile errore di bere in questo momento, la sorgente che sgorga da ogni poro comincia a manifestare l’irruenza delle cascate del Niagara, in una specie di ricircolo continuo: bevi e sudi, bevi e sudi, bevi e sudi. La vista comincia ad appannarsi a causa del Rio delle Amazzoni che nel frattempo scende dalla fronte madida, confluendo direttamente nel bulbo oculare, ma non puoi detergere perché il port de bras non permette alle mani di andare così vicino al viso, così fingi indifferenza e vai avanti senza vedere nient’altro che acqua. Giunti alla fine del grand battement preghi i tuoi santi di mantenerti in vita fino alla fine della classe, mentre ti butti con un doppio carpiato sul pavimento: nella versione ufficiale per allungarti, in realtà per cercare un istante di riposo, con le fauci ormai aride come un deserto.

In centro si fanno più gruppi, è possibile respirare un po’ e riposarsi più a lungo tra un esercizio e l’altro. Ma ecco che l’aria condizionata, che prima avresti voluto mettere a meno quindici gradi, adesso ti becca nei punti deboli, congelando all’improvviso il sudore in stalattiti di ghiaccio lungo la colonna vertebrale, così cominci a girare per la sala come un leone in gabbia cercando un punto dello spazio dove non ci siano spifferi a criogenizzarti il cou de pied.

Quando qualcuno, però, chiede: “si può spegnere l’aria condizionata per favore? Mi arriva troppa aria”: sguardi fulminanti attraversano la sala, in direzione di chi ha avanzato la folle richiesta, perché il raggio congelante è sempre meglio del microclima che si forma un centesimo di secondo dopo l’avvenuto spegnimento della macchina della salvezza. La temperatura sale di milioni di gradi centigradi in un nanosecondo, l’interno del corpo diventa come un altoforno, espandendosi per effetto del calore, colonne di vapore si sollevano dalle orecchie mentre gli elastici delle scarpette da mezza affondano sui profili delle vene che sembrano quasi per esplodere. Affrontare la sessione di salti in queste condizioni è una prova davvero durissima. Ormai qui ci si muove per inerzia, nei grandi salti si viaggia in astrale, la danza sembra essere guidata da una forza misteriosa e selvaggia, si è quasi posseduti dal movimento, cercando di inalare quando possibile quell’aria rovente, con le guance rosse, i capelli appiccicati sul viso e gli abiti incollati alle ginocchia, pesanti d’acqua. In questa fase normalmente la persona che ha chiesto di spegnere l’aria condizionata si pente amaramente di averlo fatto, ma per orgoglio non dice nulla e sopporta in silenzio, fingendo indifferenza, la sua pressione 30-60.

Il pavimento è costellato di chiazze di sudore, che rendono tutto questo agitarsi nella danza ancora più pericoloso per effetto aquaplaning. I gruppi si succedono sempre più veloci nelle diagonali di grande salto, ad un certo punto si fa il giro di boa, l’energia comincia ad autoalimentarsi e non si riesce più a smettere di danzare, destra, sinistra, destra, sinistra, fino a che non decido di andare in loro soccorso urlando REVERAAAAAAAAANCE!!!

Ecco che l’incanto si spezza, il sorriso illumina i visi affaticati e soddisfatti di essere riusciti a tenere botta fino all’ultimo. Procediamo con una piccola sequenza di chiusura insieme, infinitamente grati gli uni agli altri, un po’ orgogliosi della forza di volontà dimostrata.

Sarebbe proprio bello a questo punto potersi fare una doccia prima di affrontare il resto della giornata, ma purtroppo questo non è ancora consentito, a causa dei protocolli, per cui l’unica cosa che rimane da fare è scollare gli abiti della lezione dall’epidermide, infilarsi qualcosa di asciutto (che resterà tale per poco) e uscire con nonchalance con due sole spruzzate di deodorante a cercare di camuffare la situazione e l’afrore.

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