Lia Courrier: Sbarra ti amo ti odio

di Lia Courrier
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La sbarra.

Feticcio che ha ispirato innumerevoli odi e poetici versi da parte di danzatori e maestri.
Un oggetto che diventa quasi estensione del proprio braccio, una casa da cui partire e a cui tornare per mantenersi in forma, per studiare, per recuperare dopo un infortunio, per riprendere dopo una pausa, per prepararsi ad uno spettacolo.
La sbarra che fa venire i calli sul palmo della mano, che mille e mille volte devi sollevare sugli avambracci ad ogni lezione per posizionarla prima della lezione e poi riporla al momento di lasciarla per andare in centro. I ballerini vedono sbarra ovunque: nel corrimano della metropolitana, nella ringhiera del lungomare, nel nastro scorrevole del tapis roulant di un aeroporto, nel parapetto sul ponte di una nave. Qualsiasi sostegno alla giusta altezza può diventare una sala danza alternativa per un allenamento fuori pista.

La sbarra che non è solo un oggetto fisico, ma un concetto, una serie di esercizi che più o meno si ripetono secondo una sequenza tradizionalmente prestabilita, ma il cui assortimento può essere variato per 365 volte all’anno.

Una cosa di certo mi viene da pensare sulla sbarra: ancora deve nascere qualcuno in grado di inventarsi una sbarra mobile che sia comoda, che non pesi come un cannone della prima guerra mondiale, che sia adeguatamente stabile e duratura, ma soprattutto che non abbia quelle ingombranti piantane, che se non fai attenzione con un battement jeté rischi di amputarti un dito o di lasciarci una falangetta. In verità esiste già la sbarra perfetta. Muoio di invidia quando guardo i video delle lezioni della compagnia al ROH, che possiede le sbarre più belle del mondo, create su consiglio dei danzatori a quanto pare: un gioiello della tecnologia al servizio delle esigenze professionali di chi quell’oggetto lo utilizza tutti i giorni. Noi qui invece ancora ci facciamo venire un’ernia inguinale nei traslochi di metà classe, anche perché con la solita penuria di uomini i lavori forzati toccano a noi donne.

Stare alla sbarra non è per niente facile e noi insegnanti non dovremmo dare mai per scontata questa relazione, ancora prima di trasmettere i principi del movimento, per fare in modo che la sbarra diventi un alleato dello studio e non motivo di scomodità o costrizione.

Ecco alcuni casi che riscontro spesso tra i miei studenti, persone che hanno sviluppato queste abitudini da anni, che saranno molto difficili e lunghe da correggere

Lo strangolatorele sue mani diventano delle inarrestabili tenaglie, il pollice opponibile come un’alma letale, attorno alla sbarra, che spinge contro le altre dita fino a che queste non diventano viola, mentre le vene si sollevano sull’avambraccio per la tensione. Alla fine dell’esercizio fa fatica persino a staccarla, quella mano, per quanto ha stretto durante tutto l’esercizio. Spesso l’unica soluzione è utilizzare un piede di porco per allentare la forza fino a liberare il poveretto oppure, in casi di emergenza, si può chiamare un fabbro.

 L’insicuronel tentativo di trovare un luogo in cui sentirsi protetto, l’insicuro si avvicina così tanto alla sbarra, che alla fine non ha più lo spazio vitale per muoversi. L’insicuro si impegna, cerca di partire da una buona posizione, ma giunto neanche a metà esercizio si ritrova sempre lì attaccato. Se la vorrebbe abbracciare, quella sbarra, dormirci sopra come Eta Beta forse. Alla fine posso anche comprendere la sua esigenza, perché si tratta di un oggetto verso il quale nutriamo affetto, amore, un timore reverenziale e – in certe fasi dell’esistenza – anche odio e desiderio di emancipazione. Esattamente come nella relazione verso un genitore.

Il centauroIl centauro si esprime al meglio durante gli esercizi eseguiti di fronte alla sbarra, dove la sua tecnica si mostra in tutto il suo splendore: mani molto distanti tra di loro, gomiti alzati, polsi ruotati in avanti e spalle leggermente ricurve. Se lo guardi dalla vita in su, lo puoi già immaginare con il vento nei capelli e la bandana attorno al collo, mentre percorre una Highway in mezzo al deserto del Nevada in pieno stile ammeregano. Anche con una sola mano alla sbarra, tuttavia, il gomito tradisce la sua identità.

Il killeril killer letteralmente si appende alla sbarra, di solito non ha un allenamento corretto e quindi delega molto del suo peso al girello. Quando la sbarra a disposizione non è proprio stabile, il killer ad un certo punto imprime così tanta forza al suo braccio che la sbarra viene tirata e spostata, e con essa anche tutte le persone che ci sono appoggiate. Il killer è quello che vuole stare davanti ma poi negli equilibri comincia a ondeggiare, creando un effetto domino su tutti quelli che sono dietro di lui, traditi dai neuroni specchio. Quando c’è un killer in classe, guardarli alla sbarra può far venire il mal di mare.

Il Pisa: il Pisa pende sempre verso la sbarra, non riesce a stare allineato attorno al proprio asse ed è impossibile raddrizzarlo. Puoi passare mille volte a correggerlo, chiedergli se sente la differenza, osservare la sua risposta affermativa con la testa che ciondola. Ora che hai finito il giro e sei di nuovo da lui te lo ritrovi così: pendente come la torre. L’unico odo per concedere utilità a questo atteggiamento è farsi un selfie mentre in primo piano fai finta di sostenerlo con un gesto delle mani.

E tu?
Che relazione hai con la sbarra?

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