Lia Courrier: “Sin da subito, nello studio della danza classica, bisogna apprendere i principi che stanno alla base del codice”

di Lia Courrier
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Uno degli aspetti fondamentali su cui lavorare fin da subito nello studio della danza classica è l’apprendimento e la comprensione di tutti i concetti e principi che stanno alla base del codice.

Questo permette di sviluppare familiarità con la sintassi che regola il modo in cui vengono costruite le sequenze e di conseguenza sarà sempre più facile, già a lezione, mandare velocemente in memoria esercizi lunghi e complessi persino dopo aver ricevuto la spiegazione una volta soltanto.

Una delle domande più frequenti che mi è stata posta da non danzatori, infatti, è proprio come facciano i ballerini a ricordare tutti i passi che compongono un balletto e come sia possibile ricordare gli esercizi della lezione dopo una veloce spiegazione del maestro, specie in ambito professionale dove a volte addirittura l’insegnante accenna soltanto con le mani. Per riuscire in questa impresa è necessario aver studiato, metabolizzato  digerito questo linguaggio fino a farlo diventare quasi un istinto. Come i musicisti, che spesso suonano leggendo le note sullo spartito, noi danzatori  abbiamo uno spartito interno, parte stessa del nostro strumento. Un movimento chiama l’altro con fluidità e naturalezza.

Uno dei concetti che sta alla base di questo bagaglio di conoscenze è quello di “en croix”, che sta ad indicare proprio la forma della croce. Possiamo immaginare due linee ortogonali che si incrociano sul pavimento, connettendo i fronti del quadrato Vaganova: quello davanti con quello dietro e i due laterali. Il corpo del danzatore sta nel punto in cui queste due linee si incontrano e i bracci di questa croce segnano la direzione in cui si volgono i battements, avanti, di lato e dietro. Quando si chiede di eseguire una sequenza di battements in en croix, che siano tendus, jeté, fondu o grand battement, ad esempio, questo vuol dire che quel movimento o quella sequenza di movimenti sarà ripetuta prima davanti, poi di lato (à la seconde), poi dietro e infine ancora a lato.

L’immagine della croce ci aiuta a comprendere cosa si intenda nella danza classica per “en croix” ma poi bisogna considerare le differenze sostanziali nel dettaglio tecnico a seconda del metodo a cui si fa riferimento. Alcune scuole contemplano due tipi di battement avanti, ad esempio, a seconda che questo esca dalla prima o dalla quinta mentre per altre scuole, come quella americana, esiste un solo battement avanti ed è sempre davanti alla quinta posizione, nella proiezione a terra della linea mediana del corpo, come diceva George Balanchine.

Nessuna di queste scuole sbaglia, si tratta solo di conclusioni estetiche diverse, risultato di processi di pensiero che mostrano differenti punti di vista su alcuni principi, come la gestione del peso del corpo o rispondono a necessità tecniche relative a velocità, esplosività, dinamica del movimento, o anche semplicemente metodi che, essendosi sviluppati in epoche diverse, sono emanazione del contesto storico-culturale e sociale del momento.

Per quanto riguarda la seconda posizione onestamente ancora non credo di aver trovato la giusta mediazione tra quello che dice la tecnica e l’applicazione di questa su corpi non perfettamente attrezzati (almeno secondo i dettami scritti dalla stessa Agrippina Vaganova) per lo studio e la pratica della danza classica. La tecnica accademica prevede infatti che la gamba alla seconda venga posta proprio a lato del corpo, poiché si considera come traiettoria la direzione in cui sono rivolte le dita dei piedi in en dehors, che dovrebbe corrispondere ad una rotazione esterna di 90 gradi di ogni femore rispetto all’asse centrale.

Quando si parla di studenti di un percorso accademico per il balletto questa regola può essere applicata alla lettera, dal momento che tutti gli allievi sono stati selezionati proprio in base a questa caratteristica ( e a molte altre) ma quando si lavora su corpi diversi da quelli richiesti dalla tecnica le cose si complicano poiché bisogna azzardare una strada e delle strategie che non sono mai neanche state contemplate dai pionieri e dai didatti di questa tecnica.

Dopo aver compreso correttamente come mantenere la rotazione esterna dei femori e di tutta la gamba utilizzando i giusti comparti muscolari, dopo aver stabilizzato il bacino attraverso l’applicazione di controforze che lo mantengano in posizione (ho già largamente esplorato l’argomento proprio in questa rubrica) rimane il fatto che se un corpo non possiede a livello di mobilità articolare intrinseca quel tipo di mobilità, l’applicazione di questa regola alla lettera non darà risultati e anzi potrebbe rendere lo studente poco stabile e radicato sulle proprie gambe nel tentativo di portare il battement alla seconda proprio a lato del corpo.

Di fatto per questa azione è richiesta una notevole lassità articolare, considerando anche il fatto che l’apertura degli acetaboli è posta in avanti rispetto alla linea mediana del bacino, proprio perché il nostro incedere attraverso la deambulazione si compie in avanti, quindi portare il battement alla seconda proprio a lato del corpo, quando il corpo non è in grado di sostenere un movimento così estremo, potrebbe impedire una completa rotazione esterna dei femori, ad esempio, potrebbe portare a spostare il peso indietro oppure costringere il bacino a ruotare verso la gamba del lavoro, sacrificando l’en dehors di quella di terra, che però è quella più importante.

Lo spazio diventa così una coperta troppo corta e nessuna posizione può essere soddisfacente, da eseguire o da guardare, quando ci si sente instabili e insicuri sulle proprie radici. Molti insegnanti danno comunque l’indicazione di portare il battement alla seconda di lato ma trovo che su alcuni corpi questa azione rappresenti una forzatura che a lungo termine inchioda il bacino (non si percepisce più la separazione tra femore e anca) e irrigidisce le gambe a causa di un superlavoro della muscolatura superficiale per “aggrapparsi” alle posizioni.

Penso che in alcuni casi di carenza di mobilità femorale per questioni genetiche, sia molto più proficuo portare la seconda posizione appena un po’ avanti, dove la rotazione possa avvenire in modo omogeneo sui due femori, il peso del corpo scendere lungo la linea di gravità e il piede della gamba di terra ancorarsi correttamente senza deviazioni nell’appoggio che potrebbero mandare in sovraccarico alcune aree del piede più di altre e sul lungo termine dare insorgenza a problematiche di vario tipo (un atteggiamento non corretto nella pianta del piede condiziona l’intera struttura).

Ci sono casi in cui l’allievo possiede la mobilità per portare il battement alla seconda perfettamente di lato (esistono dei test che si possono fare per verificare la presenza o meno di queste caratteristiche) ma magari non hanno ancora sviluppato forza e controllo per farlo. In questo caso con adeguato allenamento sarà possibile seguire perfettamente le indicazioni accademiche ma quando il corpo non ha quella specifica caratteristica, è impossibile che a forza di ripetere si possa raggiungere l’obiettivo. Un buon allenamento può sviluppare il potenziale già esistente ma se quello specifico potenziale manca alla base, l’allenamento non può modificare le caratteristiche morfologiche delle ossa (a meno di non danneggiare i tessuti usurandoli) a quel punto non resta che lasciare che sia l’allenamento a cambiare, adattandosi al contesto.

Non riuscire a portare il battement alla seconda perfettamente di lato non significa che non si possa diventare dei bravi ballerini, credo che dovremmo tutti cercare di non alimentare questo genere di pregiudizio nei nostri studenti perché le vie della danza sono tante e non esiste solo il balletto. Tutti i danzatori, qualsiasi sia il linguaggio o la cifra stilistica, possono partecipare con gioia, se vogliono, ad una classe di danza classica, eseguendo movimenti tecnicamente perfetti anche se non perfettamente in linea con i dettami estetici del codice.

La danza viene in tante forme quanti sono i corpi ad eseguirla, l’omologazione non ci interessa,  credo, se desideriamo realizzare qualcosa di artisticamente significativo. Possiamo invece scegliere di ascoltare il corpo in modo onesto e lasciare che le forme emergano da questa autenticità, così da giungere al cuore delle cose.

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