Lia Courrier: “Sylvie Guillem e Patrick Dupond”

di Lia Courrier
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Qualche giorno fa mi sono imbattuta in una foto di Sylvie Guillem e Patrick Dupond sul tetto dell’Opéra de Paris, in cui compaiono belli come il sole e sorridenti, abbracciati l’uno attorno alla vita dell’altra, con la mano libera a sorreggere la gamba alla seconda. Non so quale tradizione ci sia dietro alle molte foto dei giganti del balletto immortalati sui tetti di questo teatro, forse qualche lettore o lettrice lo sa e può condividere con noi questa interessante storia.

La foto commuove per diversi motivi, primo tra tutti la prematura scomparsa di questa fulgida stella del balletto brillante e selvaggia che era Patrick Dupond e poi certamente per la giovinezza di questi ballerini davvero speciali. Sembrano due boccioli di rosa nel momento in cui si sono pienamente schiusi al mondo liberando la propria fragranza e freschezza. Ad aggiungere ulteriore struggimento, quegli abiti dal sapore così dannatamente anni ’80 che donavano veramente a pochi (parlo per esperienza) e che loro portano in modo splendidamente casual e charmant.

Investita da questi sentimenti di tenerezza nei confronti di due idoli, maestri, grandi artisti a cui ispirarsi, ho condiviso la foto sulla mia bacheca affinché i tanti ballerini e ballerine tra i miei contatti la potessero vedere e contemplare come istantanea di un’epoca che la mia generazione ha vissuto e che rimane incisa nel cuore e negli occhi.

In mezzo ai tanti commenti appassionati qualcuno ha espresso impressioni su Dupond osservando la sua “poca apertura, busto sbilanciato e un collo del piede non invidiabile” rispetto a Sylvie che invece mostra un collo del piede irreale emergere come una montagna da un paio di comuni scarpe stringate. Quel commento mi ha fatto molto riflettere sull’immaginario attorno a corpo del danzatore, su come la cultura della danza viene trasmessa alle generazioni e su come la danza stessa viene percepita da chi la pratica e la insegna oggi.

Sylvie Guillem è una di quelle ballerine che nascono una volta sola. Benché la bellezza delle sue linee sia oggettiva e innegabile, la sua straordinarietà non è solo nel suo corpo perfettamente disegnato per il balletto e sarebbe offensivo parlare della Guillem solo in questi termini. L’unicità di un’artista come lei risiede nell’intelligenza che abita quello strumento straordinario, nel suo pensiero, nell’immaginario che sta dietro al movimento e ai personaggi che ha interpretato, dandocene una lettura totalmente nuova, donandoci un’immagine della femminilità nel balletto inedita e incredibilmente innovativa, che è stata ispirazione per molti coreografi. Ogni segmento del suo essere, ogni sua cellula, ogni suo respiro sono musica da vedere con occhi esterrefatti davanti a tanta straordinaria bellezza. Senza tutto questo “contenuto” il suo corpo sarebbe stato una scatola vuota, un castello di sabbia effimero, instabile, che una folata di vento avrebbe spazzato via facilmente.

Patrick Dupond, un po’ più grande di lei, è stato un danzatore dal talento libero, eclettico e selvaggio, di grande presenza scenica, carisma e sensualità. La sua tecnica era brillante, esplosiva, travolgente, con un grande senso del rischio e un’attitudine tutta personale nell’immergersi totalmente ogni istante trascorso sulla scena, spingendosi sempre pericolosamente vicino al confine in una danza che lascia senza fiato. Ha danzato sia repertorio classico che moderno con eguale maestria e maturità artistica, vinse Varna a soli 17 anni, promosso étoile a 21 , successore di Nureyev nella direzione della compagnia de l’Opéra dal 1990 al 1995. Questo, molto brevemente, il percorso di questo artista che ha poi spaziato anche nel cinema e nella televisione, negli ultimi anni della sua carriera, anche a seguito di un grave incidente automobilistico che lo costrinse ad un lungo periodo di riabilitazione che, a dispetto di quanto detto dai medici, lo riportò a danzare ancora sul palcoscenico.

La mia riflessione riguarda la superficialità con cui questo dilagare di immagini di danza sui mezzi digitali ci ha portato a guardare la danza. Ci si sofferma solo quando si vede una posa perfetta eseguita da corpi esageratamente definiti, flessibili, in pose impossibili, quasi sempre frutto di post-produzione per aumentarne l’impatto visivo. Roba da magazines, insomma, che nulla a a che fare con la danza nella sua accezione più autentica. Oppure i cosiddetti “reel” che mostrano numeri da circo o estensioni surreali, in cui persino alcuni grandi nomi si dilettano mostrando primissimi piani di piedi che sembrano zampe di qualche animale mitologico con seguito di commenti adoranti di feticisti (non trovo una parola più coerente per definirli).

La danza non è questo.

La danza non è una serie di pose, non è una gara a chi fa più pirouettes e neanche mostrare la propria genetica fortunata ma la maestria e l’arte con cui si transita da una posa all’altra, più tutto ciò che del nostro mondo interiore riusciamo a metterci dentro e tutta la musicalità, carisma, presenza, intelligenza che ogni grande artista custodisce in sé. Prego tutti i maestri di danza, soprattutto i più giovani, di continuare a guadare le stelle del passato, conoscere le loro storie, assaporare quello che di meraviglioso ci hanno lasciato. Non possiamo trasmettere la cultura della danza se non abbiamo noi per primi una cultura della danza, un territorio vastissimo da esplorare, difficile da padroneggiare nella sua interezza. Io stessa che ormai da 40 anni mi nutro ogni giorno di danza non conosco tutto ciò che accade oggi e tutti gli artisti che mi hanno preceduta. Quando mi capita davanti qualcosa che non ho mai visto vado a documentarmi, prima di esprimere pubblicamente un’opinione.

Se dovessimo dare giudizi sui danzatori guardando solo le loro foto allora anche Rudolf Nureyev, Carla Fracci, Margot Fontayne e Alicia Alonso sarebbero da considerarsi mediocri perché non hanno quelle caratteristiche fisiche che i feticisti del balletto amano tanto al punto da considerare grandi artisti anche ballerini che ai miei occhi sono semplicemente ottimi esecutori con genetiche da primo premio.

Questa consapevolezza è importante per lo spettatore non danzante che ama la danza e va a teatro a vederla, ma è ancora più importante per chi la danza la insegna, affinché i nostri allievi comprendano cosa fa di un danzatore un eccellente artista. Ho ascoltato con gratitudine tante volte stelle della danza come Cinthya Harvey, ad esempio, parlare delle qualità di un danzatore senza mai menzionare nulla che avesse a che fare con il corpo, parlare della danza attraverso uno sguardo interiorizzante e poetico, che guarda alla persona e non al veicolo e questo mi ha molto toccata e ispirata.

In qualità di insegnante di balletto mi sento molto responsabile nel compito di rendere l’arte che trasmetto il più possibile inclusiva e di sbaragliare questa “autocrazia del collo del piede” emersa da quel misero e sterile terreno dei talent che fa credere a tutti di essere esperti di danza. La danza è una cosa seria, molto seria, che riguarda non solo la persona ma anche l’umanità e la sua storia e bisogna nutrire rispetto reverenziale per chi è venuto prima di noi poiché è solo grazie a loro che la danza si è evoluta in quello che vediamo oggi. Ogni contributo di questi grandi artisti (uso questa parola con grande parsimonia perché non tutti coloro che calcano le scene lo sono) è un dono che hanno lasciato a tutti, spesso pagato a caro prezzo poiché non si giunge sul tetto dell’Opéra senza esserne all’altezza e va celebrato con gratitudine.

Per fortuna disponiamo oggi di un’immensa raccolta di video disponibili a tutti in cui è possibile guardare le esibizioni di Patrick, Sylvie e tutti gli altri meravigliosi danzatori che li hanno preceduti. Guardateli con il cuore aperto e la mente libera affinché la loro arte possa toccarvi le corde più profonde del cuore, perché questo la danza dovrebbe fare, il resto lasciamolo alle riviste patinate.

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