I danzatori e…quelle brutte giornate. Ce ne parla la nostra Lia Courrier

di Lia Courrier
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Nella vita di un corpo danzante esistono momenti in cui anche solo pensare di stendere un piede sembra un'azione impossibile da compiere: sono quelle giornate 'no' in cui riuscire ad essere presenti in sala viene percepito come uno sforzo estremo e inaccessibile. Concludere dignitosamente una pirouette, controllare un equilibrio, saltare, diventano tutte cose impossibili con le caviglie che sembrano avere la consistenza della ricotta fresca e le gambe pesanti come incudini. Quando la danza è una presenza quotidiana, giornate così possono capitare anche frequentemente, poiché l'esistenza stessa è fatta di alti e bassi, dovuti a diversi fattori, interni ed esterni, che costantemente interagiscono con il nostro bilanciamento psico fisico, per questo la reattività del corpo alle nostre richieste potrebbe cambiare repentinamente da un giorno all'altro.

Ogni tanto capita di vedere entrare in sala un allievo, acciaccato e appallottolato come un foglio di carta straccia, spettinato, che bofonchia un saluto e poi si catapulta pesantemente a terra per prepararsi alla classe, emettendo solo sottili lamenti e sbuffi, nel tentativo di riacquistare un minimo senso di sé prima di appoggiarsi alla sbarra. Magari la sera prima ha danzato in una performance, insegnato fino a tardi, oppure è reduce dagli effetti del jet lag, dopo un viaggio di ritorno dal luogo di lavoro, da qualche parte in giro per il mondo. Ha l'aspetto di chi si è appena svegliato, con gli occhi semichiusi e il corpo che mollemente fa sentire tutta la sua materica presenza, anarchica e non collaboratrice, approfittando della temporanea latitanza della persona che vi abita all'interno e che è riuscita solo a trascinarsi fino a lì. Bastano i primi esercizi alla sbarra, però, per veder comparire qualcuno in casa: gli occhi si aprono sempre più vigili, il movimento comincia a oliare bene le articolazioni e a stimolare sistema nervoso e muscoli, esercizio dopo esercizio, e sebbene sembrasse davvero una missione impossibile, il corpo ritorna ad una viva, piena consapevolezza. Senza la lezione probabilmente sarebbe rimasto a ciondolare tra il letto e il divano, e invece grazie alla danza e al training che fa parte della quotidiana gestione del tempo e delle energie, è riuscito non solo a riprendere possesso della situazione, ma anche a spingersi gioioso nella danza. 

Quando la pratica del movimento è compenetrata nell'ordito e nella trama dell'ordinario, non credo sia utile cercare di mantenere a tutti i costi sempre lo stesso livello di prestazione tecnica, quanto piuttosto  tentare di non scendere mai sotto un certo standard qualitativo dell'attenzione e della cura nel dettaglio. Voglio dire siamo esseri umani, non macchine, e penso che anche le più famose stelle della danza nel mondo confesserebbero senza problemi di avere giornate meno brillanti di altre, sia nelle prove che in scena, e sono convinta che tutti loro, per sentirsi a proprio agio anche in queste situazioni, facciano affidamento all'ascolto di sé, alla conoscenza che hanno del proprio strumento e allo spirito di adattamento rispetto alle condizioni del momento, che sono parte imprescindibile del risultato. 

È incredibile, per esempio, quanto si possa imparare a lezione proprio nelle giornate in cui si è veramente stanchi, cioè la buona parte delle giornate di un danzatore, a dire il vero. Spesso osservo i miei allievi danzare mettendo molta più forza del necessario, e da un certo punto di vista questo è un buon segnale, perché rivela l'impegno e la volontà di lavorare sodo, ma nella mia esperienza ho capito che l'approccio muscolare non è il migliore per raggiungere una profonda consapevolezza del gesto, anzi, l'utilizzo della forza nel movimento può inibire una consapevolezza più raffinata e dettagliata, per questo chiedo loro di lavorare asciugando i movimenti, alleggerendoli di  manierismi, utilizzando solo l'energia muscolare necessaria per concedere alla danza di emergere, da un corpo libero e trasparente, senza sovrastrutture che ne appesantiscono la purezza. Si tratta di un lavoro molto difficile, da proporre a chi ha già alle spalle una certa esperienza, che attenua certi connotati emotivi ed espressivi a cui il balletto è storicamente legato, per abbracciare una informalità e autenticità che forse appartengono a linguaggi più recenti, ma che donano alla danza classica un respiro di libertà e fluidità, incisività e plasticità. 

Nei giorni in cui la stanchezza affligge il corpo si è naturalmente portati a spingere meno, quindi anziché rinunciare alla lezione o, al contrario, andarci e cercare di pretendere dal corpo sempre le stesse performance in termini di atletismo e potenza, possiamo provare ad adattarci alla situazione approfittando per affondare le mani in questo difficile lavoro verso un movimento più sottile, dai colori forse meno accesi ma ugualmente intensi e pieni di significanza. Le giornate 'no' sono proprio i giorni in cui bisognerebbe fiondarsi in sala a studiare, imperdibili occasioni per sondare nuovi territori, allontanare la routine e smorzare la sindrome da prestazione, dirigendosi verso le profondità di noi stessi e aprirci ad aspetti del nostro proprio movimento più affilati e capillari, che doneranno spessore e nuove sfaccettature al nostro essere danzante. Il corpo, come sempre, rimane il nostro principale maestro, in grado di guidarci verso una relazione sempre più intensa con noi stessi, donandoci il piacere di danzare in qualsiasi occasione sentendosi totalmente appagati.

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