Lia Courrier: “Tre cose di cui il mondo della danza dovrebbe disfarsi nel 2023”

di Lia Courrier
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Ultimo numero dell’anno.

L’ennesimo anno difficile per tutti i lavoratori dello spettacolo di qualsiasi comparto della filiera produttiva, dalla formazione alla scena. Abbiamo tutti un grande desiderio che il 2023 porti nuove possibilità per tutti.

Non so se è un’usanza ancora praticata oggi, ma finché ho vissuto nella mia terra d’origine, la Sicilia, la notte di capodanno – oltre a sfoderare le doti innate di artificieri facendo brillare bombe di vario tipo, tricche tracche e castagnole – era tradizione gettare dalla finestra gli oggetti vecchi. Qualcuno si limitava a lanciare vecchi vestiti ma qualcun altro approfittava per disfarsi del vecchio frigorifero o della lavatrice. Il contesto d’insieme rendeva quindi particolarmente pericoloso trovarsi allo scoperto alla mezzanotte del 31 Dicembre ma la filosofia che sta alla base di questo gesto selvaggio è presente anche negli insegnamenti dello Yoga: se non permetti al vecchio di dissolversi, se non lasci andare ciò che non ti serve più, non ci sarà spazio affinché il nuovo possa manifestarsi.

Allora oggi vorrei provare a individuare tre cose di cui il mondo della danza dovrebbe disfarsi per permettere ad una nuova realtà di emergere e portare un messaggio radioso di gioia e prosperità associato a quest’arte così meravigliosa ma anche bistrattata.

Al terzo posto della mia Top Chart ci sono loro: le “mutande da piede”. Sono chiamati così quei salvapiede infradito fatti come un guantino senza dita con un supporto sotto al metatarso. Non li ho mai usati ma penso servano per permettere, ad esempio, di girare anche senza scarpe. La cosa che più mi inorridisce di questo oggetto è che hanno la pretesa di essere invisibili, poiché di solito il tessuto di cui sono fatti è color carne, ma in realtà li vedi eccome, varrebbe la pena a questo punto di farli color rosso fuoco, perché così almeno si paleserebbero in tutta la loro bruttezza anziché questo ridicolo tentativo di mimetizzarli. L’effetto che mi fanno queste “mutande da piede” (già il nome dice tutto) è lo stesso di quelle persone che al cinema, a film iniziato, scartano la caramella piano piano pensando così di non essere sentiti dagli altri, quando invece per te che sei seduto di fianco è uno stillicidio infinito e vorresti solo chiedergli di ficcarsi quella dannata caramella direttamente in gola senza scartarla. Uguale: il mio sguardo non riesce a distogliere l’attenzione da quegli orridi oggetti ai piedi dei danzatori, talmente brutti da diventare ipnotici, distraendomi dalla danza di chi li indossa.

Al mio “tre” tutti pronti a buttarli giù dal balcone!

Al secondo posto delle cose da gettare via metterei la competizione a tutti i costi, questo sentimento tossico che negli ultimi decenni è stato molto alimentato dai concorsi di stampo agonistico, pensati e formulati su modello delle gare sportive, per accontentare il CONI che ci ha trascinato negli anni in un baratro da cui difficilmente riusciremo ad uscire. Come ho già detto molte volte esistono concorsi importanti, internazionali, che effettivamente danno la possibilità a dei talenti straordinari di avere accesso alle accademie e alle compagnie più prestigiose nel panorama formativo e lavorativo mondiale. Fatta eccezione per queste eccellenze, a cui possono accedere un numero estremamente limitato di studenti, premiati già dal semplice fatto di essere giunti fino alle ultime fasi del concorso, il resto è un mercato di premi e premietti che non hanno molto merito se non quello di alimentare la rivalità tra i concorrenti, per non parlare dei direttori delle scuole e dei maestri che spesso hanno da ridire se i propri allievi non vincono. La danza non è come lo sport, il valore della prestazione ha confini mutevoli a seconda degli occhi che la guardano. La strada della competizione a tutti i costi, a mio avviso modesto e umile, porta la danza verso una deriva che non la valorizza, non la celebra e non la rispetta.

Al primo posto delle cose da gettare via dalla finestra metterei l’ignoranza.

Esistono fondamentalmente due tipi di ignoranza che affliggono il settore: uno è quello nei confronti di tutto ciò che riguarda i diritti e i doveri del lavoratore, l’importanza della legge e di appartenere ad una categoria professionale riconosciuta. A volte la percezione che ho è che i danzatori, ma anche gli insegnanti di danza, si sentano al di sopra di queste faccende terrene inadatte a chi mangia nuvole e sogni a colazione, passione ed emozioni a pranzo e polvere di palcoscenico a cena. Personalmente penso che questo sia un grande errore di valutazione perché se è il riconoscimento che chiediamo, questo passa solo attraverso legge, diritti, doveri, contratti, inquadramento fiscale, paghe adeguate. Essere professionisti vuol dire essere sottoposti allo stesso trattamento di qualsiasi altro esperto di settore. Solo così potremo liberarci di tutta questa schiera di amatori che lentamente stanno avanzando nel lavoro professionale confondendo le acque e rendendo tutto estremamente nebuloso (e i compensi estremamente bassi).

L’altra forma di ignoranza è quella relativa proprio alla materia specifica: ballerini classici che non hanno idea di cosa sia la danza contemporanea o, peggio, che la considerano un linguaggio secondario e meno importante. Danzatori contemporanei che detestano il balletto e non hanno mai assistito ad una rappresentazione dal vivo in vita loro. La Danza, quella con l’iniziale maiuscola, è una: un’unica energia multiforme nella sua manifestazione. Un artista del movimento dovrebbe essere interessato e curioso, senza stupidi preconcetti, capace e desideroso di nutrirsi di tutto ciò che di qualità è presente nell’offerta internazionale.

Non si fa cultura senza una cultura: gettiamo via l’ignoranza e facciamo posto al sapere.

E voi? cosa vorreste gettare giù dal balcone della Danza?

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