Lia Courrier: “Una delle abilità che trovo più difficile da trasmettere nell’insegnamento della danza è la qualità del lavoro dei piedi”

di Lia Courrier
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Una delle abilità fondamentali che trovo più difficile da trasmettere riguarda la qualità del lavoro dei piedi. Ciò di cui parleremo oggi però non ha niente a che vedere con l’estetica del collo del piede, ormai famoso e conosciuto anche tra i non danzatori, quanto piuttosto con il senso di aderenza al suolo, quella particolare sensibilità del piede che rende la danza preziosa, che può essere ottenuta soltanto facendo convogliare diverse consapevolezze e strumenti, acquisiti e integrati nel tempo, più quella speciale intelligenza del corpo che ogni danzatore sviluppa attraverso l’esercizio e la ripetizione fino a far diventare quelle azioni parte del proprio istinto.

Il piede di chi danza non deve essere per forza “bello” nel senso più intrinsecamente legato al comune preconcetto estetico legato alla danza ma dovrebbe essere utile, funzionale, efficace. Inoltre la forza che arriva all’estrema periferia del corpo proviene dal centro, quindi anche se anatomicamente l’arto inferiore inizia a livello dell’articolazione femorale, energeticamente è utile percepire le gambe a partire dal centro del corpo, da quell’area sorgiva che si trova tra la colonna lombare e l’ombelico. Da lì le forze passano attraverso il “bacio” tra acetabolo e femore attraversando la gamba in tutta la sua lunghezza su percorsi non lineari fino ad arrivare al piede, che rappresenta una porta attraverso cui poi quelle forze vengono cedute alla terra.

A seguito di questa domanda, infine, il suolo reca una risposta espressa in forze di ritorno che attraversano tutto il sistema dal basso verso l’alto come una corrente ascensionale, che può essere sfruttata alla stessa stregua con cui gli uccelli si fanno sospingere dall’aria in salita senza sforzo e senza neanche dover battere le ali.

Da qui si evince quanto la qualità di movimento dei nostri piedi sia intrinsecamente legata al concetto di radicamento e alla gestione corretta del peso del corpo (per non parlare della postura). Le gambe hanno bisogno di sviluppare la capacità di respingere e accogliere il pavimento, di comprendere la natura profonda di un movimento puro ed essenziale come il plié, ad esempio, considerato “il respiro della danza” da molti maestri e teorici della danza, un movimento che permette ogni altro movimento coinvolgendo tutte le articolazioni degli arti inferiori, impegnate in questo gioco duale di attrazione/repulsione da/verso la terra.

Quando i piedi spingono e strisciano poderosamente contro il suolo, ciò accade soltanto grazie alla chiarezza nelle traiettorie di queste forze che provengono dall’alto e si esprimono nel dialogo con la terra attraversando le porte dei piedi in ingresso e uscita. Imparare i principi che muovono il corpo, conoscerne la fisiologia e la biomeccanica, sia a livello cognitivo che esperienziale, permette di danzare senza tensioni non necessarie, con consapevolezza e una buona percentuale di garanzia del risultato tecnico, permettendo di acquisire quella fiducia e sicurezza necessarie per potersi poi dedicare agli aspetti interpretativi e artistici, i più importanti se si vuole andare in scena con significanza.

Esiste una sorta di feticismo riguardo ai piedi nella danza, la maggior parte dei video presenti sui vari social ritrae piedi incredibilmente mobili ripresi da punti di vista appositamente studiati per enfatizzare la curva del collo del piede. Le ballerine e i ballerini fanno a gara a chi ha l’arco più pronunciato come se la questione si esaurisse tutta lì. Magari, dico io, bastasse avere avuto in dono dalla natura una caviglia ipermobile per poter danzare con la qualità di cui stiamo parlando! In verità chi possiede questa caratteristica avrà addirittura vita più complicata perché gli sarà richiesto di fare molto esercizio di rinforzo per rendere piede e caviglia abbastanza forti e stabili da sostenere tutte le potenti forze che attraversano costantemente quest’area in ogni momento del movimento danzato.

Un’alternativa a questa visione “piedecentrica” può essere quella di allargare il campo visivo per includere tutto l’arto inferiore in questa esplorazione, considerando l’intera gamba come ciò che si trova tra il bacino e la terra, radice, propaggine del pavimento pelvico, luogo di passaggio, di transizione delle forze. Articolazioni femorali, ginocchia, caviglie e tutta la complessità delle giunzioni all’interno dello scheletro del piede divengono spazi in cui le informazioni vengono trasmesse e non trattenute ed è proprio in questa trasmissione che la danza avviene fluidamente. La muscolatura, debitamente allenata e formata, convoglia queste forze, le guida, le sfrutta, coglie le occasioni per usare quest’energia con sapienza e padronanza.

Sono consapevole che questo possa essere un discorso piuttosto misterioso e ostico da comprendere se non si è mai esplorato il campo della biomeccanica. Nella mia esperienza credo di aver compreso come il nostro corpo si sia evoluto per compiere movimenti complessi utilizzando il minimo impegno, alternando sforzo e rilassamento, perché in natura nulla va sprecato, neanche l’energia vitale. Quindi possiamo imparare a danzare secondo questa strategia innata, utilizzando solo ciò che serve, senza dispendio di forze eccessivo. Si tratta di una consapevolezza utilissima anche in scena per avere maggior durata, una prestazione più brillante e uno strumento più longevo, tutte le grandi stelle della danza applicano questo principio, come si evince dalla loro danza fluida, naturale, con il volto rilassato e mani gentili mai tese.

Tornando al focus di oggi, possiamo provare a cambiare l’idea che sta dietro al movimento pensando che l’origine energetica del piede sia al centro del corpo mentre quella anatomica sia nel luogo in cui il femore incontra il bacino. La combinazione di queste due consapevolezze potrebbe lentamente portare ad un cambiamento radicale nella percezione di movimenti come il demi plié o un semplice battement tendu, dove l’attenzione non è più focalizzata solo al piede ma guarda al piede come risultato di qualcosa che coinvolge tutto il corpo.

Nel mio ruolo di insegnante devo stare attenta alle parole che uso e a dove metto le mani quando correggo. Ad esempio se durante l’esecuzione di un battement tendu tocco il piede dell’allievo o dell’allieva per suggerire maggiore rotazione esterna, sto subliminalmente trasmettendo l’idea che l’azione sia da cercare lì. Personalmente preferisco aiutare ponendomi a lato della persona e toccando con una mano la spina iliaca superiore anteriore, suggerendo di farla salire verso l’alto mentre con l’altra mano agisco nella zona dei rotatori del femore, perché se l’en dehors è ben sostenuto lì sarà molto più facile percepire quella forza a spirale attraversare la gamba in tutta la sua lunghezza e concludersi in un piede bel ruotato.

Allo stesso modo per aiutarli a sentire la spinta verso il suolo chiedo loro verbalmente di spingere il femore verso la terra, questo sia nell’azione di strisciare del battement tendu che nella gamba di terra durante un equilibrio (sono solo esempi). Nella mia esperienza ho potuto notare un miglioramento nella gestione complessiva del movimento e un minor attaccamento a tutte quelle idee preconcette che spesso portano l’allievo a imitare, inseguire le forme senza comprendere come il proprio specifico corpo ha bisogno di abitarle.

Ancora una volta: preferisco un processo di apprendimento che vada dall’interno verso la superficie e non vice versa, anche se più faticoso e lungo, perché i risultati sono permanenti e continuano a germogliare nel tempo permettendo all’allievo o allieva di emanciparsi dal maestro, divenire indipendenti, correggersi da soli.

Crediti fotografici: Kristina Kokhanova

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