Mai avrei voluto chiudere la stagione di SetteOtto con un numero dai toni così scuri e pungenti.
In tutti questi mesi ho cercato di guardare in positivo alla situazione, perché mi piace affrontare i momenti di difficoltà come un’opportunità per imparare, per trovare nuove strade, per cogliere il meglio da ogni situazione. Se rileggete i numeri pubblicati in questi mesi, sono pieni di ottimistiche dichiarazioni, di nuovi argomenti da mettere sul piatto, di esperienze e di spirito di adattamento anche alle situazioni più estreme, con atteggiamento propositivo.
Ma questo non vuol dire che io sia uno stupido robot che esegue senza farsi domande.
Non vuol dire che accetti tutto quello che mi viene detto senza documentarmi.
Non possiamo più permetterci di rimanere appesi ad un decreto per progettare il nostro lavoro, e di certo il bonus (per chi lo ha preso) rappresenta solo una questua di Stato che, seppur bene accolta da molti, ai miei occhi rimane comunque una pezza a tappare il buco, il contentino per farci stare zitti per un po’, senza neanche minimamente tentare di risolvere (ma prima ancora di capire), una volta per tutte, la situazione che affligge da anni (40 anni) la categoria, esponendola così ad una grande vulnerabilità che questa pandemia ha violato senza pietà, dando il colpo di grazia.
Le scuole di danza sono a rischio di estinzione.
Le compagnie di danza, quelle poche che esistono, potrebbero non riuscire a ripartire.
Se muore la danza professionale, sarà solo una questione di tempo, ma moriranno anche le scuole di danza, perché nessuno avrà più modo di entrare in contatto con quel mondo.
Vi pare una ipotesi azzardata? A me no. Lo vedo uno scenario possibile.
Ecco perché trovo bizzarro che l’infelice trovata di Franceschini, il ‘netflix della cultura’, di cui ho scritto proprio qui, su DHN, venga finanziata con ben 10 milioni di euro (almeno così titolava la carta straccia), che di certo non è una cifra sufficiente per salvare la situazione nella sua totalità, ma si tratta comunque di un cospicuo gruzzoletto che poteva essere utilizzato per sostenere il ritorno alle scene, ad esempio, anziché creare l’ennesimo salottino laccato in cui guardare documentari su artisti morti nel 1500, o registrazioni di opere liriche che abbiamo già visto e rivisto (in questi mesi Rai 5 ha dato fondo all’archivio di tutte le fondazioni lirico sinfoniche dello stivale). Sulla possibile programmazione della danza su questa piattaforma non mi pronuncio, immagino sia la stessa percentuale dei fondi del FUS destinati alla Cenerentola delle arti, nel 2019 il 3% circa dell’intero stanziamento. Ma chi mai potrebbe fare un abbonamento ad un simile canale, se non le persone che già frequentano gli ambienti della cultura? È la televisione pubblica che dovrebbe fare questo lavoro, per avvicinare anche nuovi fruitori, ma è così difficile da capire? Adesso non voglio addentrarmi in una discussione sull’assurdità di questo progetto, sulla sua pochezza a fronte di una emergenza di settore a cui nessuno vuole rispondere se non distribuendo elemosine, ma vorrei portare dei fatti che possano essere messi vicini l’uno all’altro, in modo che ognuno di voi poi tiri le somme.
Concludo questa stagione complicata con la prospettiva che a settembre potrei ritrovare ciò che ho lasciato a luglio, ossia l’impossibilità di poter accogliere grandi numeri di persone, perché altrimenti si violano le direttive, non poter fare attività di contatto, (ad esempio partnering o contact improvisation, non potranno essere praticate se non stravolgendone il senso più profondo, ossia l’utilizzo del contatto per produrre energia, dinamica, equilibrio e disequilibrio), non poter progettare nulla a lungo termine per paura che arrivi un decreto a tagliarmi le gambe e le idee. Come sempre è accaduto, troveremo una via per poter fare comunque, il possibile e forse anche l’impossibile, dando fondo alla nostra capacità di adattamento e alla nostra creatività, alla voglia di non mollare, perché viviamo della spinta di aver fatto di una passione la nostra professione. Però, in un paese civile e democratico, non si può fare affidamento solo su questo, anche perché in questo modo la passione non si auto alimenta, ma si consuma soltanto. Non si può fare sempre affidamento sugli artisti ‘che fanno divertire’, come ci ha simpaticamente descritti Giuseppe Conte, dare per scontato che tanto ci saremo sempre e comunque, perché tanto non siamo in grado di fare altro. Di questo passo potremmo anche sparire senza che neanche se ne accorgano, senza neanche vedere che abbiamo cominciato a sparire già ben prima degli ultimi eventi.
Ecco.
Adesso però voglio trovare un finale roseo e disperatamente ottimistico per prendere commiato da voi, per non lasciarci così, presi dal senso di impotenza e dalle preoccupazioni per il futuro.
Oscar Wilde ha detto: “attento a ciò che desideri, perché potrebbe avverarsi”, un’affermazione affascinante, perché offre una duplice lettura. Che desiderio sarebbe se non lo si volesse vedere avverato? La questione qui è che i desideri possono essere consci o appartenere alla sfera dell’inconscio, possono essere nostri o indotti da quello che chiameremo ‘ambiente’, ossia tutto ciò che ci circonda (luogo geografico, amici, famiglia, credenze, letture, esperienze), di cui ci nutriamo e che respiriamo.
L’ambiente in cui abbiamo vissuto in questi mesi è stato molto tossico, e in qualche modo noi tutti ne abbiamo respirato le atmosfere e ci siamo nutriti dei suoi contenuti, per questo credo sia molto importante guardare ai nostri desideri, esserne consapevoli, per farne delle proiezioni capaci di creare il mondo, immaginando con forza un futuro in cui ci sia per tutti la possibilità di rimettere in piedi la propria esistenza, in cui si possano gettare le fondamenta per ripartire.
Voglio immaginare che nessun ‘peggio’ debba ancora venire, e che nessuna seconda ondata di contagi ci attenda alle soglie del prossimo inverno, che non si renda necessario un ennesimo lockdown, perché sarebbe insostenibile nelle condizioni in cui ci troviamo. Desidero dal profondo del cuore che si possa tornare a danzare abbracciati, a scambiarsi sudore e fiato, a ridere insieme e a poter vedere quei sorrisi, senza nessuna mascherina a nasconderli, desidero rivivere i nostri spazi, il nostro habitat naturale, esattamente come abbiamo sempre fatto e come piace a noi: senza alcun distanziamento fisico, sociale, culturale, emotivo.
So che questo vi sembrerà utopico, anche un po’ infantile, ma forse, se lo pensiamo in tanti, se stringiamo questa visione vicino al cuore, allontanando invece tutto ciò che dall’ambiente prova ad alimentare le nostre paure, potrebbe accadere che – come dice il buon vecchio Oscar – questo desiderio si avveri!