Lia Courrier: “Volete dirmi che non riusciamo più a stare neanche un’ora e mezza senza essere raggiunti al telefono?

di Lia Courrier
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Fa molto discutere in questi giorni una nuova proposta, che arriva direttamente dal Ministero dell’Istruzione, riguardo alla possibilità di introdurre gli smartphone a scuola. Il 15 settembre partirà un breve progetto pilota nel quale illustri esperti ci sapranno dire in che modo si potrà fare un ‘uso consapevole’ del dispositivo, in linea con le esigenze didattiche. Sembra un incubo futuristico, un soggetto immaginato da Philip Dick per uno dei suoi libri, e invece potrebbe accadere davvero.

Il fatto che dei sedicenti ‘esperti’ si prestino a condurre una simile sperimentazione la dice lunga sulla loro competenza, dal momento che numerosi studi hanno evidenziato gli effetti negativi dell’utilizzo di dispositivi elettronici per mano dei giovanissimi, con ricadute in ambiti diversi, tanto gravi quanto più è giovane il soggetto, poiché quello de bimbi, e degli adolescenti, è un sistema vulnerabile e in formazione

Al di là degli effetti dei campi elettronici, di cui ovviamente da anni si è detto tutto e il contrario di tutto, ci sono anche gli effetti sullo sviluppo del pensiero e sulla plasticità del cervello, che come sappiamo si forma proprio a partire dalle esperienze. Più esperienze emotive, sensoriali e motorie diverse si fanno e più le connessioni neurali potranno dare vita ad un brillante sistema nervoso.

Si pensa davvero che un docente, da solo a gestire classi anche di trenta ragazzi, possa riuscire a controllare, ad esempio, che non ci sia utilizzo dello smartphone durante i test, per cercare le risposte o scambiarsi messaggi? Si prevede forse di consegnare in cattedra il cellulare prima di fare i compiti in classe? Ma allora, dico io, non si fa prima a lasciarli direttamente a casa? Per cosa potranno mai essere utili? Per fare ricerche? Non basterebbe avere un tablet di classe da usare insieme per questo? I docenti sono già prigionieri di una burocrazia farraginosa che li costringe a continue valutazioni, devono anche mettersi a fare i gendarmi?

I ragazzi trascorrono gran parte del tempo in questo stato semi-dissociativo mente/corpo che li vede presenti con il corpo in un luogo e con la mente nel mondo dei social, in cui le relazioni si muovono su altre dinamiche, che hanno totalmente sdoganato la finzione, portandola quasi allo status di strumento necessario per accumulare consenso. La scuola finora era rimasta una delle poche zone franche nelle quali si ha l’opportunità di rimanere focalizzati in un posto, in un compito, in una relazione: l’aula, il banco, il docente, il libro, i compagni.

L’abilità di mantenere una attenzione stabile e prolungata è proprio l’ambito su cui l’utilizzo dei dispositivi elettronici ha avuto gli effetti più nefasti. Io stessa, che non sono nativa tecnologica, mi rendo conto di quanto l’introduzione dello smartphone nella mia vita abbia rappresentato una continua frammentazione dell’attenzione, una distrazione, una specie di buco nero che succhia il tempo. Non ce ne accorgiamo quasi, di quante ore ogni giorno vengono dissipate nelle attività digitali. Trovo che la tecnologia sia fantastica, che internet sia una delle più esaltanti invenzioni mai fatte, e che le opportunità che abbiamo oggi per poter informare, comunicare, esprimerci, siano immense.

Il problema non è il progresso in sé, ma l’uso che se ne fa.

Nelle lezioni di danza, e addirittura in quelle di yoga, pratica che normalmente si fa proprio per restare ben radicati nel momento presente, non manca quasi mai ad un certo punto di sentire una suoneria partire, o quella pernacchia sommessa della funzione ‘vibrazione’, che è quasi più fastidiosa: mi fa pensare a quelli che scartano lentamente le caramelle al cinema con l’intento di fare meno rumore, e invece fanno rumore lo stesso, ma per il doppio del tempo. Scartati ‘sta caramella e basta, se proprio devi, no? Ecco: la vibrazione non è che non si senta, allora perché non lasciare direttamente la suoneria, che magari la usiamo per farci un grande salto? Fino a qualche anno fa se un telefono suonava durante la classe, l’allievo prontamente chiedeva scusa e spegneva in tutta fretta, emanando imbarazzo da ogni poro. Oppure, se era in attesa di una telefonata importante, mi chiedeva di poterlo tenere acceso e di solito lasciava il cellulare sullo stereo. Adesso senza troppi complimenti lasciano squillare finché chi chiama non riattacca, oppure interrompono ciò che stanno facendo per uscire a rispondere, magari mentre sto assegnando l’esercizio, per poi puntualmente ricevere da queste persone una richiesta di ulteriore spiegazione, una volta rientrate in sala.

Volete dirmi che non riusciamo più a stare neanche un’ora e mezza senza essere raggiunti al telefono?

Certo che se noi adulti siamo diventati così dipendenti dalla tecnologia non mi stupisce che anche i bambini crescano con questa mania, del resto anche ai piccolissimi viene consegnato ogni tipo di dispositivo pur di farli stare buoni e zitti. Ancor prima di un libro, imparano l’utilizzo dello smartphone di mamma o di papà per vedere i cartoni o giocare. Le nuove generazioni hanno grandi opportunità davanti, il progresso gli permette di accedere ad una banca dati inconcepibile fino a qualche decennio fa, cerchiamo però di aiutarli a compensare gli effetti collaterali di questa sovraesposizione di informazioni, sviluppando in loro manualità, pensiero logico, attenzione, empatia, e tutte quelle virtù che fanno di noi degli esseri pensanti e non degli automi. Individui e non estensioni passive e inerti della macchina.

Crediti fotografici: Maurizio Tamellini

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