Nell’antica tradizione giapponese si contano ben 72 micro-stagioni durante l’anno, ognuna delle quali contiene piccoli dettagli che la differenziano da quella precedente e introducono quella successiva. Queste stagioni hanno nomi evocativi: Kisaragi, “mese del cambio d’abito stagionale”; Yayohi, “crescita dell’erba”, e così via.
Questa micro-stagione di inizio di ottobre, per me, se dovessi proprio trovarle un nome, sarebbe “il bagno di dolore”. Passare dalle mie consuete due ore di allenamento al giorno, alle cinque ore di lavoro quotidiane, in media, in abbinamento con i primi cali di temperatura, è una convergenza di eventi che ha sempre effetti nefasti sul mio corpo.
Ogni mattina, con cautela, apro il coperchio del mio sarcofago e procedo allo sbendaggio. A seguito di questa operazione comincio a fare i primi movimenti, con i quali il mio stato di mummia egizia si rivela in tutta la sua polverosa rigidità, e spesso vorrei solo mettermi dentro ad una teca di un museo e lasciarmi ammirare, standomene lì immobile, ma il lavoro chiama e quindi bisogna fare qualcosa per rimettere in moto lo strumento.
Non appena tento di stiracchiarmi, le articolazioni si producono in un concerto scrocchiarello, nel quale ogni giuntura ha una sua specifica voce: soprani, contralti, tenori, voci che si fondono in una sinfonia cacofonica che pare eseguita in assenza di un direttore d’orchestra.
Dopo è la volta dei muscoli, come vecchie cartacce appallottolate, senza nessuna intenzione di lasciarsi dispiegare, che sembrano essersi accorciati nottetempo.
Tutto duole, persino i capelli, i denti e il palato.
A quel punto, decido di mettere giù i piedi per alzarmi, con l’idea di camminare fino alla stanza da bagno. È tutto un susseguirsi di “ahi”, “ouch”, “ahia” ad ogni passo claudicante, in equilibrio precario, mentre il mio sistema propriocettivo lavora sodo per evitare di farmi collidere con gli incisivi direttamente sul bordo del lavandino.
La prova decisiva è sedersi sulla tazza, con gli ischiocrurali e i glutei che si tendono per evitare che il bacino si schianti sul trono di porcellana, ed è proprio una volta compiuta questa mission impossible, che pensi: “ce la farò mai ad alzarmi da qui?”
Theda Bara – 1917 – Cleopatra – Publicity Shot – @~ Watsonette