Il 18 febbraio è stato il compleanno di una persona davvero speciale per tutti i danzatori che hanno bazzicato nella città di Milano in cerca di lezioni, sto parlando di Walter Venditti, ballerino del Teatro alla Scala, classe 1929, conosciuto da tutti come Il Maestro. Sono andata a trovarlo, nella sua scuola, dove tiene lezione di danza classica tutti i giorni, portando in dono una bottiglia di pregiato vino biologico, rosso, fermo, la cui scelta è stata un vero dilemma dal momento che sono astemia, ma volevo avesse qualcosa che gli facesse pensare a me, in un altro momento della giornata. Il Maestro Venditti è un'anima che danza da 87 anni, non solo con il corpo ma specialmente con lo spirito, muovendosi con grazia e leggerezza sulle ali del tempo, che pare essere una trappola inesorabile per tutti, tranne che per lui.
Al di là della straordinarietà di quest'uomo, dell'energia vitale che trasmette a tutti coloro che hanno il privilegio di stargli attorno, quello che mi colpisce, come mistero insondabile, è la sua relazione con la danza, un fuoco ancora pienamente acceso, caldo e confortante, come se fosse stato appena ravvivato. Un'intera vita spesa al servizio di Tersicore, ed ogni giorno è come se fosse il primo, con la curiosità di bambino che con occhi avidi e vigili brama di catturare nuove sfumature e conquistare nuovi traguardi.
Il giorno del suo compleanno, c'è stato un raduno di allievi nella Scuola del Balletto Ambrosiano da lui fondata, arrivati senza alcun accordo comune, per celebrarlo. Il Maestro, in splendida forma, quando mi ha vista mi ha abbracciato forte e mi ha subito chiesto: come stai? Ecco, lui è interessato a sapere come stanno le persone e non a cosa stanno facendo. Questo per far capire il soggetto e quanto sia più vicino al cuore che al collo del piede. Gli ho risposto di stare bene, e gli ho chiesto come stava lui, piuttosto. Al che mi dice: “…sto qua….finché morte non ci separi, capisci? È come un matrimonio” e parte in una delle sue classiche risate tonanti che ti mettono di buon umore solo a sentirle. Un matrimonio ben riuscito, mi viene da pensare mentre incontro il suo sguardo dolcissimo, in cui la passione e il desiderio non si decidono a venire meno. Una danzatrice, mia amica e sua allieva, mi ha detto che qualche giorno prima, mentre dava lezione ha anche fatto tutta la sbarra, completa, giusto per tenersi in allenamento.
Sono rimasta a guardare la seconda parte della classe, con il suo gruppo di allievi che lo coccolano, si fanno prendere amichevolmente in giro, ridendo insieme a lui. Tra loro esiste un dialogo silenzioso fatto di sguardi, di amichevoli rimbeccate, comprendono le sue sequenze senza troppe spiegazioni, sebbene non siano affatto facili. Osservarlo lavorare adesso, che ho smesso di danzare per dedicarmi esclusivamente all'insegnamento, è una vera ispirazione e un esempio da seguire, per comprendere il senso stesso di questo difficile ruolo che ogni giorno mi ritrovo a ricoprire. In effetti mi rendo conto di quanto averlo conosciuto, ed essere stata sua allieva per tanti anni, abbia influenzato il mio modo di pormi nei confronti della classe. Ho fatto mia la sua ironia, che alleggerisce l'atmosfera anche quando la danza presenta degli ostacoli, da superare o sotto cui soccombere, facendo della danza un dialogo sempre possibile. Una delle sue frasi tipiche è “nun ce pensà” , detta magari prima di partire per una diagonale di pirouette, e come si fa a non sentire il cuore che si solleva leggero incrociando quegli occhi così vividi? Credo molto nell'ironia e nella capacità di ridere delle difficoltà, con gentilezza e rispetto, come lui sempre ha fatto, come componente essenziale in un formatore, per allontanare questo senso di impotenza che può manifestarsi di fronte alle sfide che lo studio della danza ci pone. Non è raggiungere il traguardo che farà di te una danzatore migliore, poiché non ne esistono di definitivi, quanto la costanza e la determinazione con la quale ci provi con tutto te stesso, quindi è inutile starci troppo a pensare: fallo e basta. E poi la sua onestà intellettuale, la semplicità, il vivere una dimensione artigianale del mestiere del palcoscenico (descrizione in cui si riconosce molto), che lo rendono un essere umano prima ancora che un danzatore o un maestro. Trovo che anche questo sia un aspetto molto importante per un formatore nell'arte del movimento: avere tanti interessi, coltivare una vita al di fuori della danza, essere consapevoli che quello della scena è un lavoro come un altro, fatto anche di ripetizioni e di routine. Ma se ogni giorno ti poni alla sbarra con occhi nuovi e il cuore aperto, la motivazione resterà sempre accesa al tuo fianco. La sbarra per lui è un vero feticcio, l'icona della fatica e della dedizione. Tutti coloro che sono stati suoi allievi fanno parte di una famiglia nella quale si condividono storie, aneddoti, aforismi, citazioni che il Maestro dona generosamente a tutti con lo stesso amore, come questo Elogio alla Sbarra da lui composto:
È lì, ogni giorno ti aspetta.
È il giudice della tua formazione
Ti confronta con il tuo fisico
Essa è il tormento, è odio,
è amore: è il Dio del danzatore.