Nello studio e pratica della danza, sovente non viene proferita parola riguardo alcune competenze più sottili, che non fanno propriamente parte del codice di passi e posizioni, ma che per me sono fondamentali per consentire agli allievi di utilizzare al massimo il proprio potenziale. Si tratta di abilità che possono essere applicate istintivamente dai danzatori più talentuosi, ma anche in questi casi fortunati preferisco portare consapevolezza su questo processo in modo da renderli coscienti di questi dettagli per nulla insignificanti, trasformandoli così in strumenti capaci di donare splendore e brillantezza alla danza.
Una di queste paroline magiche, che mi piace nominare durante le lezioni di danza, è ‘modulazione’. Nell’ambito della fisica e della musica, in riferimento sia alla voce umana che ad uno strumento, questa parola indica una variazione di qualità, intensità o tono, e credo che anche nel nostro caso questa azione, se volontariamente e consapevolmente condotta, abbia una sua importanza strategica per un utilizzo più efficiente dello strumento corpo durante il movimento danzato.
Osservando gli studenti a lezione mi rendo conto di come spesso, in particolare nello studio del balletto, una pratica molto richiedente dal punto di vista fisico, si tenda a spingere sempre al massimo contraendo tutto il corpo, utilizzando sempre la stessa quantità di forza per l’intero esercizio. Atteggiamento, questo, che si basa sull’idea che la potenza muscolare ingaggiata sia direttamente proporzionale al risultato finale, quando abbiamo già spiegato in diverse occasioni il motivo per cui questa formula non è coerente con il concetto non solo di danza, ma di fisiologia del corpo umano.
Il balletto trova la sua origine nella danza barocca, un’elegantissimo linguaggio coreutico in cui possiamo già riconoscere alcuni tratti distintivi di tutto ciò che oggi pratichiamo in sala, che nel trascorrere dei secoli si è arricchito di tutta una serie di movimenti degli arti inferiori, ampi e ariosi, che all’epoca non avrebbero mai potuto essere eseguiti, non solo a causa dei voluminosi abiti indossati dai danzatori, ma anche perché non corrispondenti alle richieste estetiche e di etichetta proprie del periodo.
In realtà da quella danza abbiamo ereditato e conservato i gesti più minimali, piccoli, delicati ed eleganti. Sono i piccoli port de bras, i movimenti della testa appena accennati ma così evidenti, i passi minimali e rapidi come pas de bourreè e batterie, o le piccole posizioni come cou de pied. Non sempre abbiamo bisogno di alzare il volume al massimo per rendere significativa la nostra danza, in questo campo non viene ascoltato chi urla più forte, ma chi comunica con chiarezza e consapevolezza. La modulazione è una abilità fondamentale in questi senso: saper modulare l’ampiezza del movimento, la forza da imprimervi, il ritmo di esecuzione, l’espansione nello spazio.
Questo ci consente di creare dei chiaroscuri nel nostro fraseggio, piccole e quasi impercettibili variazioni di intensità, velocità e ampiezza che permettono al racconto di emergere, vivo e vitale, espressivo e mai meccanico.
Alcuni ambiti in cui, ad esempio, la modulazione può fare una enorme differenza, dal punto di vista artistico, sono la sezione dei salti, nella quale tutti spingono al massimo dell’elevazione fin dai primissimi esercizi; oppure adagio e grand battement, dove l’imperativo assoluto è alzare le gambe il più possibile, a dispetto di ogni altra cosa. Questo atteggiamento che mira alla quantità, prima che alla qualità, probabilmente promosso da una certa idea collettiva su come dovrebbe essere la danza classica, in particolare negli ultimi anni nei quali stiamo assistendo ad una deriva puramente virtuosistica di quella che -non dimentichiamolo- dovrebbe essere una comunicazione artistica e non un esercizio ginnico, non aiuta di certo a ricercare ciò che conta di più in un movimento, e cioè la sua organicità, plasticità, ritmo e dinamica.
Bisogna saper modulare la quantità di plié e di spinta al suolo per poter ben differenziare un salto piccolo e scattante, che batte il pavimento con la precisione del becco di un picchio, da un salto arioso e grande che disegna una parabola aerea prima di posarsi nuovamente al suolo. Bisogna saper modulare la velocità durante l’esecuzione di un grand rond in un adagio, per poter creare quella sospensione nel punto di massima apertura, che sembra quasi deformare lo scorrere del tempo, rallentandolo. Bisogna essere in grado di modulare l’ampiezza di una preparazione, per permettere al salto che ne segue di emergere, sospendendosi per un istante al di sopra di tutto, come la cima di un grattacielo sullo skyline di una città.
Per quanto riguarda il ritmo, un utilizzo sapiente della musica può creare dei piccoli picchi di accelerazione all’interno della danza, seguiti da aperture che squarciano lo spazio o da rallentamenti improvvisi che permettono di evidenziare ciò che di quel movimento vogliamo mettere in luce. Modulare il ritmo crea una drammaturgia del movimento, di cui la musica del corpo diviene voce.
Come un direttore d’orchestra, quindi, provate a modulare i vostri strumenti musicali in modo da scegliere cosa far emergere alla globalità del suono, distribuendone sapientemente la potenza.