Luca Giaccio e il coraggio di mettersi in gioco

di Francesco Borelli
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Ci sono ballerini che si avvicinano agli studi della danza per caso, altri che sin da piccoli hanno ben chiaro di voler fare questo nella vita. Tu a quale categoria appartieni?

I miei genitori erano e sono tuttora insegnanti di ginnastica artistica. A quattro anni ho iniziato a dedicarmi a questa disciplina avvicinandole lo studio della danza moderna per rendere più fluido il movimento. Compiuti gli otto anni, mi vide un insegnante la quale suggerì a mia madre di farmi studiare danza perché aveva visto in me delle grandi qualità. Fu cosi che feci l’audizione per entrare nella scuola del Teatro San Carlo di Napoli e andò bene. Nonostante una broncopolmonite che m’impedì di dare il meglio. Era il 1998.

Che bambino eri?

Pigro e svogliato. La sbarra mi annoiava e la mia prima insegnante all’interno della scuola spesso e volentieri m’invitava a uscire dalla classe perché ero disattento e non memorizzavo gli esercizi. In più avevo un fisico che sembrava non corrispondere ai canoni necessari per intraprendere la carriera del ballerino classico.  Dovetti anche a ripetere il terzo corso. Poi arrivò Anna Maria Razzi. Grazie a lei che vide in me qualcosa di più e a mia madre che mi aiutò ad affinare corpo con un allenamento specifico le cose cambiarono. E arrivai a diplomarmi nel 2007.

Che anni furono quelli della scuola?

I primi, come dicevo, non furono facili. Ma durante il quarto corso arrivarono altri ragazzi con i quali s’instaurò una competizione sana che mi spingeva a fare di più e meglio. E poi l’arrivo della Razzi fu determinante.  Con lei capii che avrei voluto fare questo nella vita e nient’altro.

Altra presenza illuminante nel mio percorso di studi fu l’incontro con Iride Sauri. Lei, in qualche modo, completò il lavoro compiuto nei primi anni dalla Razzi. Il metodo da lei applicato, il genere di lezioni che facevamo, permise a noi danzatori, già forti grazie al lavoro svolto con la nostra direttrice, di allungare i muscoli e rendere più fluido e armonico il corpo. Ancora oggi, ogni volta che ho qualche giorno libero, parto da Monaco dove vivo, e vengo a Milano per studiare con lei. Nella maestra Iride e nella sua famiglia ho trovato dei veri amici su cui so di poter contare sempre.

Hai lavorato moltissimo all’estero. Adesso risiedi a Monaco di Baviera, dove lavori nel teatro dell’opera della città. Cercare lavoro fuori dall’Italia è stata una scelta oppure un caso?

Io ho scelto di andar via. Anche se col tempo ho capito che bisogna lasciare andar le cose. Mi spiego meglio: progettare è giusto ed è importante avere le idee chiare. Ma la vita ci sorprende sempre con tante opportunità. E credo di avere imparato a coglierle a prescindere da ciò che desideravo prima che alcune cose accadessero.  Non va bene un’audizione? Non importa. Ne arriverà una migliore che mi porterà in un posto più consono a me e alle mie caratteristiche. Credo che un atteggiamento di questo tipo sia sano e produttivo.

Talento o fortuna. Che cosa ha inciso di più nello svolgimento della tua carriera?

Il talento è fondamentale. Un danzatore deve essere tecnicamente forte, talentuoso e intelligente. Poi vengono certamente la bellezza e la fortuna. Nel tempo ho capito però che ogni danzatore è diverso. Dietro ciascuno di noi ci sono storie diverse e capacità differenti. Io sin da piccolo sono stato attirato dalla bellezza greca. Perfetta, intonsa, fatta di linee infinite e gestualità classiche. A essa m’ispiro nel mio lavoro di tutti i giorni. E non parlo solo del mio corpo ma anche nella costruzione di alcuni personaggi che interpreto sulla scena. La danza è estetica e armonia. Il pubblico che assiste a uno spettacolo in teatro vuole vedere anche questo. Appagare la vista e poi, emozionarsi.

Hai trascorso un anno a Cuba con la compagnia di Alicia Alonso. Ci racconti quest’esperienza?

E' stato un anno vissuto all’insegna della meraviglia. L’incontro con un mito vivente come Alicia mi ha cambiato la vita. I danzatori cubani sono molto diversi da noi. Fortissimi e super tecnici. Da loro, e dal metodo dell’Alonso ho cercato di trarre ogni tipo d’insegnamento. E poi la Fracci ed io siamo gli unici italiani per cui Alicia Alonso ha creato una coreografia. Ho avuto l’onore e il privilegio di interpretare “Morte di Narciso” pensato per me e per le mie caratteristiche.

Con l’Alonso, donna unica al mondo, e la figlia Laura, che ha una sua compagnia e per la quale ho ballato in diverse occasioni, è nato un bellissimo rapporto. Spesso mi diceva che le ricordavo un suo storico partner, Jorge Esquivel. E, in effetti, in lui mi ritrovavo moltissimo. L’esperienza di Cuba rimane la più importante e bella della mia carriera.

Quali sono le caratteristiche che un danzatore, secondo te, dovrebbe avere?

Oggi ci sono moltissimi uomini bravi. Tecnici, belli, linee lunghe e bei salti. Ma come tecnica di partneraggio spesso lasciano a desiderare. Un ballerino, sulla scena, deve essere prima di tutto un uomo. Forte e solido. Bisogna amare le proprie partner e trattarle come fiori. Le danzatrici devono sentirsi sicure tra le mie braccia. E quando questa cosa mi è riconosciuta, mi fa immensamente piacere.

Se dovessi riconoscerti dei limiti come danzatore?

Amo moltissimo i balletti narrativi. Quelli in cui posso raccontare una storia. Lavorare su un personaggio, immergersi totalmente in esso. Amo i coreografi come Neumeier, Bejart, Ashton, Cranko, Balanchine. Nei loro balletti mi ritrovo moltissimo. Rendo meno nei Gala. A livello fisico invece ho muscoli molto forti e voluminosi, quindi devo fare moltissimo stretching e allungamento per rendere i muscoli più lunghi. 

Quale partner ricordi con maggiore affetto?

Myrna Kamara. Una danzatrice straordinaria e una persona buona. Tutto ciò che portiamo in scena, è bellissimo anche in virtù del rapporto che c’è tra di noi. Lavoriamo spessissimo insieme. Mi ha insegnato l’importanza di mettersi sempre in gioco. E ad avere coraggio. E poi Sadaise Arencibia, prima ballerina del Balletto Nazionale di Cuba. Danzare con lei è come volare. Trasmette una grande serenità. E’quasi evanescente, a tal punto che in scena, a volte, mi sembrava di non sentirla respirare.

Sono moltissime le personalità della danza che hanno intrecciato il tuo cammino.

Mi ritengo davvero fortunato. Carla Fracci mi propose un contratto al Teatro dell’Opera di Roma subito dopo il diploma. La ricordavo bimbo, al Teatro San Carlo interprete di Chéri di Roland Petit accanto a Massimo Murru. Mi sembrava una regina. Ritrovarla diciottenne, e ballarle accanto mi emozionò. Era come se un sogno fosse diventato realtà. Dopo due anni lasciai l’Opera di Roma e mi trasferii a Segovia in Spagna. L’incontro con Angel Corella e il lavoro con la sua compagnia fu formativo sotto molti punti di vista. Rimasi dal 2008 al 2011. Interpretai tutto il repertorio dell’American Ballet. Purtroppo per problemi economici la compagnia si sciolse. Ricordo con immenso affetto anche Renato Zanella, il quale mi scelse per interpretare il suo “Schiaccianoci” all’Arena di Verona.

E poi arrivò Victor Ullate.

Mi vide danzare in uno spettacolo e mi chiamò come primo ballerino a Madrid. Interpretai tantissimi ruoli in numerosissime tournèe. Rimasi con lui un anno. Subito dopo tornai all’Opera di Roma che intanto aveva visto succedersi alla direzione della Fracci quella di Micha Van Hoeche. Fui preso come aggiunta e scelto per interpretare Espada nel Don Chisciotte di Mikhail Messerer. Terminato il contratto, andai a Cuba.

Ballerini si nasce o si diventa?

Ballerini si nasce. Solo sul palco mi sento me stesso. ? come entrare in casa e sentirsi al sicuro. Dimentichi ogni cosa, anche la più brutta. E ti senti, infine, libero.

Oggi la condizione della danza in Italia non è delle migliori. I teatri chiudono, i corpi di ballo svaniscono e la cultura langue. Un danzatore deve andar via per riuscire a lavorare?

Amo l’Italia e desidero tornarci un giorno. I tempi però sono cambiati e le istituzioni non aiutano. E molti emigrano. La carriera di un danzatore è fatta di scelte. E siamo costretti a scegliere di andar via. Purtroppo i ballerini non possono fare molto. Se non danzare bene e rispettare il proprio lavoro. Allo stato l’arduo compito di aiutare gli artisti e invogliarli a rimanere.

Hai fatto tantissime cose importanti. Incontrato e lavorato con grandissimi personaggi. Interpretato ruoli di rilievo. Tra tanti successi conseguiti, hai commesso anche qualche errore? E se sì, riconosci di averli fatti?

Di errori ne ho fatti tantissimi. Scelte sbagliate, persone alle quali ho dato fiducia e che non la meritavano. Performance non perfette che avrei potuto eseguire meglio. L’importante è avere l’umiltà di riconoscere lo sbaglio e cercare di non commetterlo un’altra volta.

Hai ventisette anni. Sei in un momento della tua vita in cui la carriera è all’apice.

Trovo sia un’età importante. Un momento in cui l’esperienza accumulata negli anni favorisce esecuzioni migliori da tantissimi punti di vista. Certo il tempo passa e il corpo cambia avendo esigenze diverse. Ma la consapevolezza che si ha danzando è certamente migliore. Impari, col passare degli anni, a vivere la scena in maniera più profonda. E questo può donartelo solo il trascorrere del tempo.

Cosa ti aspetti dal tuo futuro?

La strada è ancora lunga. Ho tanto lavoro da fare, tanto studio e mille esperienze da vivere. Da piccolo dicevo sempre che mi sarebbe piaciuto ballare su tutti i palcoscenici del mondo. E così sto facendo.  Un giorno però mi piacerebbe tornare in Italia e regalare la mia esperienza a chi deciderà di darmi fiducia. Chissà magari insegnerò a dei bambini, forse nella scuola di mia madre, e continuerò a circondarmi di persone che mi facciano stare bene. E sarò, ancora, felice.

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