Lo scorso sabato, la sala dell’Arengo del Broletto di Novara ha ospitato il terzo incontro del Novara Dance Experience. Poco più di un’ora piacevolissima è servita al pubblico presente per conoscere Luciana Savignano, donna straordinaria, contraddistinta da una disarmante naturalezza, che si è raccontata a Francesco Borelli, mediatore sempre sul pezzo in grado di orchestrare il “botta e risposta” con la meravigliosa Luciana.
La signora Savignano è stata danzatrice étoile del Teatro alla Scala di Milano, identificata durante la sua carriera come ballerina “béjartiana”, nonché riconosciuta per le sue peculiari caratteristiche fisiche. Innumerevoli le sue apparizioni in scena, continua ancora oggi a calcare il palcoscenico grazie alla sua capacità di rinnovarsi, scoprendo nuove evoluzioni della danza, senza perdere la curiosità e la voglia di crescere senza presunzione.
L’incontro assume sin dalle prime battute l’aspetto di una chiacchierata tra amici, ritrovatisi per ripercorrere i propri ricordi; sì perché il nostro Direttore ha avuto l’onore (e l’onere) di essere partner di Luciana al Balletto di Milano. Da questa esperienza professionale ne è nata una profonda e duratura amicizia, chiaramente percepibile da tutti i presenti per la spontaneità e l’immediatezza con cui si è svolta l’intervista.
Luciana è un libro aperto, e non ha bisogno di nascondere le sue fragilità; fragilità di chi riconosce la propria difficoltà nello stare “in mezzo al mondo” e che ammette di aver trovato nella danza la sua dimensione, fatta di pause e di sospiri. La danza le ha permesso di trovare il suo posto grazie all’introspezione più profonda.
Fragilità, ma non immobilità; Luciana si è affacciata al mondo timidamente, “in punta di piedi” ma con una grande forza di volontà, e possiamo ben dire che la sua forza l’abbia dimostrata tutta! Duro lavoro, caparbietà e consapevolezza di dover essere nel posto giusto al momento giusto.
All’incontro ha preso parte anche Emanuele Burrafato, autore della biografia della Savignano, “L’eleganza interiore”, anche lui danzatore e profondo conoscitore del mondo artistico. Alla domanda del perché un libro su di lei, Emanuele risponde che la prima volta che gli è capitato di imbattersi in questa splendida artista, era in compagnia, all’Aterballetto; Luciana era ospite interprete di Bolero. Fu un incanto per gli occhi tanto che Emanuele, assorto, racconta di essersi dimenticato la sua parte.
Questo suscita la meraviglia.
Continuando il racconto di se stessa, nel ricordare il suo rapporto con i maestri coreografi, non manca più di un cenno a Maurice Béjart che crea per lei La Luna, il brano che più rispecchia Luciana perché il maestro, nel ricamarle il ruolo addosso, ha saputo cogliere il suo io interiore, il suo gesto artistico, la sua velata malinconia, il suo tutto.
Tra le collaborazioni di oggi, una delle più fruttuose è certamente quella con Susanna Beltrami; di lei, solo parole di lode e grande riconoscenza. Una coreografa con cui colloquiare e raccontare una storia danzando. La Luciana di oggi si descrive come una danzatrice che deve necessariamente raccontare una storia: questo è il suo fine ultimo.
Partner importanti ricordati nel corso della serata ma su due si sofferma la conversazione; Paolo Bortoluzzi, interprete d’eccezione tra gli italiani, sempre misurato e pacato, le ha insegnato a dosare l’energia; Rudolf Nureyev, con cui Luciana ha avuto sporadiche collaborazioni per via della diversità dei loro repertori, viene ricordato incuriosito dal suo modo di ballare, e non spietato come i più lo dipingono.
Luciana appare sempre di straordinaria umanità; anche quando, incalzata dalle domande su colleghi e ballerini di oggi da Francesco, risponde con naturalezza, riconoscendo l’immensa volontà artistica di Carla Fracci, la forza e le grandi responsabilità di Eleonora Abbagnato, la bellezza e l’intelligenza di Giueppe Picone, l’indomita personalità di Oriella Dorella, e così via.
Di Luciana si apprezza soprattutto l’anima, messa a nudo, priva di mascheramenti; l’anima che forse oggi manca alla danza attuale perché, come lei stessa sostiene, a guidare il ballerino in scena non deve essere la voglia di apparire ma la volontà di donare la propria artisticità.
Una donna serafica, una figura delicata, grata alla vita per ciò che le ha concesso e convinta che la sua carriera sarà sempre una lunga iniziazione, senza picchi né apici; ogni giorno, un nuovo inizio.