Nell’ambito di Short Theatre 2023, la giornata del 15 settembre si configura come un’esperienza dello spostamento tra gli spazi del Teatro India che accolgono lavori di danza corali o per figure sole.
Nello spazio “Arena” si svolge Stuporosa, un lavoro di Francesco Marilungo che indaga il concetto di morte e lo stato di lutto. Cinque interpreti, quattro danzatrici e una cantante e musicista che reinterpreta canti tradizionali in chiave elettronica e contemporanea, ricreano un’ambientazione mediterranea, riproducendo i suoi tratti ferocemente essenziali attraverso la bicromia bianco-nero. Le cinque figure, in stupendi abiti neri ottocenteschi firmati da Lessico Familiare, evocano le donne in lutto, le prefiche, forse oggi ancora attive in qualche paese dell’entroterra del Sud, e la statua della Madonna Addolorata di cui si possono apprezzare i numerosi esemplari mentre sfilano durante le processioni seguite dalle comunità cittadine o contadine presso le quali la musica e la danza ricoprono un ruolo d’importanza primaria.
È soprattutto una danza ritmica che coinvolge la parte inferiore del corpo, le gambe e i piedi, come quella delle interpreti che in questo lavoro prima sembrano scivolare sul pavimento, disegnando delle traiettorie prive di una meta definitiva, poi si fermano in un atteggiamento di dolore (forse simile alle immagini che Marilungo vede nell’Atlante figurato del pianto nel libro Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria di Ernesto De Martino dal quale il coreografo sostiene di essere partito per questa sua nuova creazione). Le danzatrici di fronte al pubblico continuano a muoversi verso destra e poi verso sinistra, con piccoli passi e spostamenti di peso da un piede all’altro; riprendono a vagare ma senza incontrarsi.
Un’incapacità o una volontà che in ogni caso denuncia la mutazione subita dal lutto che da un insieme di pratiche sociali appartenenti a una dimensione rituale comunitaria si è ridotto a un’occasione per esibire il proprio dolore, o meglio, la partecipazione personale al dolore collettivo: quella corda di capelli intrecciata d’ispirazione “Nižinskajana” utilizzata in un altro rito sociale all’inizio del secolo scorso, viene dipanata fra tutte le danzatrici accomunate dallo stesso dolore, dalla stessa colpa, dalla stessa finzione, o semplicemente dalla compresenza. A turno, le interpreti si avvicinano al microfono al quale affidano il loro pianto forzato, esibizionista a cui si contrappone un lamento funebre che intonano ignorandone il motivo e il senso delle parole, mentre si purificano le mani, si rinfrescano la nuca, prestano soccorso alla danzatrice che cade a terra dopo una danza estenuante e angosciante; anche per il pubblico che gradualmente si protende per avere conferma delle sensazioni ricevute o forse per scorgerne un senso più profondo, oltre quello manifesto. Ma il senso è tutto qui, sulla superfice bianca del palcoscenico (poi ricoperta da lunghi teli neri che a loro volta vengono rimossi), sulla superfice nera dei costumi (di cui le danzatrici si disfano rimanendo soltanto con una sottoveste bianca), sulla superfice trasparente dell’acqua contenuta all’interno di una piccola vasca “battesimale”, sulla superfice corporea del seno visibile, emblema della vittima immolata.
La superfice è già abbastanza misteriosa, il visibile è già molto profondo per i membri del pubblico, gli “spettatori” appunto, che possono perdersi, la facciata è già abbastanza eloquente per denunciare la superficialità di un istituto culturale d’impronta magica, la morte e il lutto che ne consegue, oggi completamente addomesticato da schemi assertivi monocolore che ne inibiscono le manifestazioni più scandalose e spropositate. Ad ogni modo, il rito è un atto di riconoscimento che qui si consuma di fronte al pubblico, mentre una affianco all’altra, forse con consapevolezza, le danzatrici continuano a intonare il lamento funebre della nostra vita.
La “Sala Oceano” accoglie l’esordio coreografico di Martina Gambardella: Mute -Studio. La giovane coreografa e interprete ci accoglie seduta al centro del palcoscenico e attende il cambio di luci per iniziare il suo esercizio di ascolto e di visualizzazione dello spazio che la ospita. Gradualmente si attiva assorbendone le potenzialità e le energie che costantemente ci attraversano senza averne contezza, perchè completamente obliterati dall’ossessione di muoverci, spesso senza una ragione chiara o comunque una consapevolezza. Il corpo in scena sembra rispondere al contatto con altri corpi, attraversare stati differenti, assumere sembianze mutevoli in un vuoto affollato di presenze labili e confinanti. La performer dopo aver forgiato lo spazio vibrante che solitamente ci plasma, gradualmente si zittisce assumendo una postura di ascolto ponendo l’orecchio a contatto con il pavimento. Mute – Studio sembra proporre, nella solitudine, una prassi di frequentazione dell’alterità dalla quale oggi fuggiamo costantemente.
Nella “Sala A” del Teatro India, invece, si dispiega una visione che ci rimanda subito ai video e alle numerose immagini su Instagram accompagnati dal tag #vitalenta. Ci riferiamo all’ultimo spettacolo della coreografa algerina Nacera Belaza, L’Envol, per la quale si è ispirata all’iconico scatto di Richard Drew, The Falling Man, che immortale un uomo mentre cade dalle Torri Gemelle dopo l’attentato. La vittima mostra una strana quiete come quella che contrassegna la nostra visione in cui i quattro performer, prima in gruppo, poi soli, poi tutti insieme individualmente, si alternano in un’articolazione di attrazione e repulsione sotto la fisicità delle luci che ne dettano una percezione alterata, quasi dissolta, ma per questo non meno incisiva. Lo spettacolo mediante la lentezza e l’iterazione dispone noi spettatori in una condizione di contemplazione e ci educa all’accoglienza incondizionata in grado di alterare la qualità dei nostri corpi e delle nostre vite.
Durante l’ultima sera d’estate, queste tre opere di danza hanno rivelato e palesato a noi spettatori nuove occasioni d’interazione, inedite relazioni ma soprattutto rare predisposizioni comportamentali e posture fisiche con le quali iniziare e attraversare la nuova stagione autunnale.
Crediti: Luca Del Pia, Sabrina Cirillo, Laurent Philippe