Lo ammetto, la danza contemporanea non è proprio quella che prediligo; il mio cuore batte da sempre per il mondo classico, che sento più simile a me, quello che fa vibrare più intensamente le corde del mio cuore. Poi però ci sono degli incontri che cambiano la tua percezione, che ti aprono finestre su mondi nuovi, mettendo in crisi certi tuoi punti di vista che pensavi assodati ed è quello che è successo quando ho visto dal vivo le coreografie di Marco Laudani. Le sue creazioni mi hanno subito emozionata, nel suo gesto coreografico sono riuscita a cogliere un’infinità di sfumature dell’anima, e la cosa mi ha talmente colpito che ho sentito l’esigenza di confrontarmi con Marco: una lunga e stimolante chiacchierata che mi ha fatto capire tante cose.
Domanda di rito: come ti sei avvicinato al mondo della danza?
In casa mia si è sempre respirata un’aria molto artistica, mia mamma ha sicuramente contribuito essendo stata un’appassionata d’arte e di interior design. Questo ha stimolato da subito la mia parte creativa. Ma, in verità, prima di approdare alla danza ho provato tanto altro, cose molto diverse tra loro, anche il tiro con l’arco! Poi a 12 anni c’è stato il vero colpo di fulmine per l’arte coreutica.
E hai iniziato i tuoi studi a Catania, la tua città immagino.
Esattamente: ho iniziato a studiare danza classica a Catania, ma sentivo che qualcosa mi mancava… la mia creatività artistica voleva esprimersi, ma non come danzatore, io volevo fare il coreografo. Per questo alla mia formazione come danzatore ho sempre associato una curiosità al mondo della coreografia attraverso studi mirati, master e stages.
Da subito? E non il danzatore?
Sono stato danzatore, ma sentivo che volevo fare altro; io volevo creare.
Per fortuna il destino ha lavorato per me: si è presentata l’occasione di creare per Riccardo Ferlito, i cui genitori sono i direttori di una scuola di danza a Catania, un solo che poi è stato visto dal direttore della John Cranko School di Stoccarda, scuola nella quale Riccardo era stato ammesso. Tadeusz Matacz, direttore della JCS, fu talmente colpito dal mio assolo che volle sapere chi fosse il coreografo e, non solo propose proprio quel pezzo all’interno dello spettacolo che la scuola prepara tutti gli anni ma, venni invitato anch’io a Stoccarda come insegnante ospite.
E fu da lì che iniziò il connubio con la prestigiosa Accademia di Stoccarda?
Beh, non subito, prima mi “studiarono” molto attentamente; mi proposero infatti di rimanere quella estate a Stoccarda e di lavorare in stages e workshop con i loro allievi. Alla fine dell’estate mi proposero subito di creare dei nuovi lavori per loro.
Una grande soddisfazione davvero.
Assolutamente sì, anche perché mi misero subito al lavoro: mi chiesero una coreografia di gruppo, “Spirits of Nature”, che fu subito molto apprezzata dalla stampa tedesca e un’altra per Riccardo Ferlito a cui creai “Into your arms”, dedicato a mia madre che ho perso troppo presto. Queste due creazioni hanno segnato la mia svolta alla John Cranko School: infatti da quel momento ho continuato a lavorare lì come Guest Teacher mettendo in scena tanti altri titoli per la scuola tra cui : ”Touch me”, “Clap your hands to the sky” e “Blanc”.
Quanto ti ha segnato anche nel lavoro la perdita di tua madre, alla quale eri molto legato, e da cui hai ereditato, penso, tutta la tua artisticità?
Immensamente. Questo dolore ha creato uno spartiacque in me, ma nella sua tragicità è diventato un punto di forza perché mi sono immerso nel mio lavoro completamente per lenire questo grande dolore.
Ma la tua attività artistica non si è fermata a Stoccarda vero?
No, io sono un vulcano sempre attivo, non potrei mai fermarmi in un solo posto per sempre. Sono un freelance di natura, questo mi permette di seguire tanti progetti diversi, di nutrirmi di svariate esperienze e soprattutto di dedicarmi ad OCRAM, la mia compagnia che ho creato nel 2013 e che ha comunque sede a Catania che è la città che ho nel cuore e in cui vivo.
Ecco appunto, parliamo d OCRAM, perché questo nome?
Ocram è il mio nome al contrario, ma non l’ho chiamata così per egocentrismo, ma perché nasce da me, dalla mia esigenza di esprimere il mio linguaggio artistico attraverso essa.
Mi ha colpito il fatto che i tuoi danzatori siano tutti rigorosamente siciliani per scelta, in più, vivi a Catania nonostante tu sia un giramondo: quanto c’è della tua terra nel tuo lavoro?
La sicilianità è tutto nel mio lavoro. Per farti capire quanto fondamentale sia la mia terra nel processo di creazione coreografica, il mio ultimo lavoro si chiama “Amuninni” che in dialetto siciliano significa “andiamocene”. Narra di quando le famiglie siciliane si dovevano separare perché i mariti erano costretti ad emigrare soprattutto in America per trovare fortuna. Ho scoperto, leggendo e parlando con alcuni anziani catanesi, che c’era una tradizione al momento della partenza: il marito sulla nave, teneva in mano una corda e l’altro capo di questa corda era tenuta dalla moglie che stava sulla banchina. Mentre la nave si allontanava, marito e moglie scuotevano la corda per sentire fino all’ultimo il loro legame attraverso l’energia che passava in questa corda e che veniva inesorabilmente spezzato quando la nave si era allontanata tanto da disperdere in mare la corda. Un disperato tentativo d trattenere la persona amata accanto fino all’ultimo istante. Ecco, “Ammunini”parla di questo e c’è dentro tutta la mia Sicilia.
Penso che però tu tragga ispirazione anche da tanto altro vero?
Viaggiare per me è una fonte di ispirazione immensa. Bali, la Thailandia, Singapore, New York sono stati luoghi magici. Ma sono attratto anche da argomenti più strettamente legati alla nostra realtà, temi anche scottanti fanno scaturire in me la voglia di dire qualcosa attraverso la danza. Per esempio, ho creato da poco per la compagnia Kaos di Firenze, un pezzo che si chiama “Ivan” che debutterà a Roma in dicembre il cui tema è assolutamente attuale purtroppo e cioè il cyberbullismo.
Cosa pensi della situazione culturale italiana, tu che lavorando all’estero così spesso hai un termine di paragone molto concreto?
Penso che in Italia ci siano artisti meravigliosi, ma ritengo anche che manchi la volontà di collaborare, di creare network, sinergie: sarebbe una linfa vitale per la diffusione capillare della cultura e del suo insito valore. In più, si dovrebbe assolutamente stimolare l’amore per la cultura nei bambini, nelle scuole, per far crescere il pubblico del domani. Mi stupisce vedere all’estero gli spettacoli sempre sold out dove andare a teatro per genitori e bambini è un’assoluta normalità mentre per noi è un evento.