Mario Marozzi: una carriera tra le stelle

di Francesco Borelli
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Étoile internazionale, danzatore dalla tecnica pura e virtuosa, artista che ha segnato un periodo lunghissimo della danza italiana. Oggi responsabile per la sezione danza della Milleluci Entertainment. Quanto e in che modo è cambiata la tua vita?

E’ cambiata moltissimo e mi manca quella quotidianità che vivevo come danzatore, la lezione della mattina, le prove e soprattutto la magia e la bellezza che si vive sul palcoscenico davanti ad una platea che è li anche per te. Ma questo fa parte del passato. Ora lavoro dietro le quinte e presiedo la direzione artistica dei nostri spettacoli con l’obiettivo di sempre, regalare al pubblico delle grandissime emozioni.

Che ricordi hai di te bambino? Che cosa sognavi?

Moltissimi ricordi, come tutti i bambini, quasi sempre legati alle straordinarie emozioni di passione e di felicità che provavo verso la danza. Tra questi, il giorno della mia ammissione alla scuola di ballo del teatro dell’Opera di Roma ed il mio primo spettacolo nell’Aida a Caracalla nel quale, all’età di soli 9 anni, interpretavo il ruolo del capo moretto e quindi, cos’altro potevo sognare se non di diventare un danzatore professionista e poter dedicare ad essa la mia vita?

Ti sei formato presso la scuola del Teatro dell’Opera di Roma. Che differenze esistono tra la scuola attuale e quella da te frequentata?

La sede della scuola è sempre la stessa ma nel tempo sono cambiati i maestri, i metodi di insegnamento e la danza si è evoluta e la scuola di ballo dell’opera di Roma rimane a mio avviso ancora di alto livello poiché ogni anno produce danzatori di talento.

La scuola, si sa, è il momento in cui ciascun danzatore si affida alle capacità di un docente per formarsi e crescere. C’è un insegnante in particolare cui devi dire grazie? E che allievo eri?

I primi anni di scuola sono i più importanti per  la  formazione di un danzatore. Io ho avuto la fortuna di avere una prima insegnante straordinaria, la Maestra Olga Amati, una gran bella persona ed una grande artista che, fin dai primi passi , oltre alla tecnica di base, ha saputo insegnarmi e trasmettermi l’amore per la danza.

Ero un allievo appassionato che cercava di migliorarsi ogni giorno e quindi ero naturalmente determinato e poco incline alle distrazioni tipiche di un adolescente.

Primo ballerino, poi ètoile. Una carriera tra le stelle che ti ha permesso di danzare tanto e sempre con risultati eccelsi. Ci racconti i tuoi anni ruggenti? Quelli dei grandi successi?

Fin dall’età di 18 anni mi sono stati affidati ruoli da primo ballerino. Poi ho iniziato le mie prime importanti esperienze internazionali danzando in Inghilterra per un anno e, successivamente, compatibilmente con gli impegni all’Opera di Roma, ospite in numerose altre compagnie tra cui, la Deutsche Oper Berlin, il Milwaukee Ballet ed il Théâtre du Capitole di Tolosa. Tutte esperienze queste che hanno fortemente contribuito al completamento qualitativo della mia formazione tecnica ed artistica. Con l’umiltà del caso, ritengo che il mio miglior successo, che peraltro ricordo con grande felicità, sia stato a Caracalla nel 1988 quando ho interpretato il ruolo di Spartacus.

Impegno, dedizione, professionalità. Qual è l’aspetto preponderante nel conseguimento di un obiettivo?

Non credo che ce ne sia uno su tutti. Sono tutti essenziali e tutti concorrono allo stesso modo. Ai tre aspetti che hai citato aggiungerei il talento, un carattere forte ed umilmente disciplinato. Per raggiungere obiettivi importanti bisogna anche essere preparati a superare le tante difficoltà che il percorso richiede come, ad esempio, gli infortuni.

Qual è la qualità che ti riconosci, più di altre, come danzatore?

Sulla scorta dei tanti giudizi della critica, degli addetti ai lavori e del pubblico direi la mia fisicità ed una spiccata tecnica di salto.

E un limite?

Una minore elasticità ed “apertura” che, per fortuna, ai miei tempi, era meno importante di oggi.

Hai danzato nei balletti dei maggiori coreografi. In quali ti sei maggiormente identificato? Chi sentivi più affine al tuo essere danzatore?

Sicuramente il maestro Vladimir Vasiliev al quale mi sono sempre ispirato e con cui ho anche lavorato. Peraltro, ancora oggi,  intrattengo con lui ottimi rapporti personali ed artistici.

Date le mie caratteristiche, prediligevo interpretare i ruoli eroici che erano quelli a me più affini, quelli che richiedevano appunto una grande tecnica di salto maschile. E quindi direi “Il lago dei cigni”, “Spartacus”  di  Yuri Grigorovich e Il “Don Chishiotte” di Zarko Prebyl.

Nella danza esistono i sacrifici? o si tratta solo di scelte?

E’ senz’altro vero che la scelta richiede rinunce e sacrifici molto impegnativi, soprattutto nell’ambito della vita privata di un danzatore ma, è pur vero che la vita ci offre anche tante altre belle cose. Ci sono i figli, gli affetti, le relazioni, le altre arti. Anche queste cose meritano di essere vissute. Certamente non è facile, ma credo che le scelte troppo radicali producano risultati peggiori.

C’è una serata, più di altre, che ti è rimasta nel cuore? Quella che non ti scordi più?

Certamente. Nelle due occasioni in cui ho avuto l’onore ed il privilegio di danzare al Bolshj ed al Cremlin di Mosca, da sempre sono considerati il tempio della danza. In entrambe le circostanze ho interpretato “Lo schiavo d’oro” del balletto Sherazade.

“La danza mi ha permesso di addormentarmi come Carmen e di svegliarmi Gelsomina”. Così ha detto Oriella Dorella. Che cosa ha donato a te la danza?

Il senso della bellezza ed una vita a colori piena di indimenticabili ricordi ed emozioni che porterò sempre con me.

Non solo artista eccelso in teatro ma anche danzatore televisivo. Celebri le tue partecipazioni a “Fantastico” con Heather Parisi e i balletti al fianco di Lorella Cuccarini. Come sei arrivato in TV?

Grazie a Franco Miseria che in quegli anni, nei suoi programmi televisivi, utilizzava e valorizzava anche molti danzatori classici che provenivano da grandi compagnie.

Nel 2012 celebri il tuo addio alle scene durante una memorabile serata al Teatro dell’Opera di Roma. Che ricordi hai di quella notte?

Meravigliosi. Mi fu riservata una grandissima ed emozionante festa sul palcoscenico nella quale, tra gli applausi interminabili del pubblico e centinaia di calici brindanti, ricevetti il saluto affettuoso di tutti gli artisti e le maestranze del Teatro dell’Opera di Roma e, di ciò, devo ringraziare in particolare il direttore Micha van Hoecke.

Per lungo tempo si era ventilata la tua nomina a direttore del Teatro dell’Opera. Ci fu anche una petizione firmata da tanti esponenti del mondo del balletto. Come nacque quell’idea? E come andò a finire?

Con questa domanda mi dai la possibilità di fare chiarezza su questa storia. La mia candidatura alla direzione del Corpo di Ballo, nasce da un idea di un gruppo di circa 200 persone, quasi tutti artisti e lavoratori dello spettacolo, che si sono uniti con lo scopo di promuovere la meritocrazia nel “Sistema Italia” e, più in particolare nel mondo della cultura.

Alcuni di loro avevano saputo del mio spettacolo di addio al teatro dell’Opera e, quando alcuni giornali pubblicarono la notizia che il mandato per questo incarico era in scadenza, si riunirono per decidere chi sostenere.

Fu determinante un’intervista del sindaco Marino che disse di voler considerare l’importanza delle figure professionali romane per incarichi di prestigio su Roma.

Mi chiesero se ero interessato a ricoprire quel ruolo.

Naturalmente ne fui lusingato ed accettai con lo spirito di un bambino a cui si chiede se vuole lo zucchero filato. Tuttavia furono fatte altre scelte, assolutamente rispettose.

Oggi l’Italia è un paese culturalmente alla deriva. I corpi di ballo chiudono e lo stato sembra girare le spalle, totalmente indifferente al declino del nostro paese. Qual è il tuo pensiero a riguardo?

È innegabile che in passato gli enti lirici abbiano commesso degli errori e siano stati amministrati male ma, non per questo, dobbiamo pensare che la migliore soluzioni sia quella di chiudere ed eliminare i copri di ballo. L’attuale situazione è drammatica ed è intollerabile per un paese come il nostro storicamente ricco di arte e di cultura. A tal riguardo spero, come tutti, che la nostra classe politica prenda atto di questo scempio. La cultura è  indispensabile e funzionale alla crescita equilibrata di un paese.

Che cosa farebbe Mario Marozzi per tentare di cambiare le cose?

Da soli non si cambia nulla. Ci vuole una squadra con all’interno competenze, innovazione, idee e progetti nuovi. Ci vorrebbe una maggiore attenzione dei media e, in particolare, della nostra televisione pubblica. Nel mio piccolo, con il gruppo di lavoro della Milleluci Entertainment srl, di cui sono direttore artistico, e con soli investimenti privati, sto cercando di creare e di realizzare nuovi spettacoli che gradualmente possano attrarre l’interesse smarrito verso la danza del grande pubblico popolare cosi come avviene in quasi tutti gli altri paesi d’Europa e del Mondo.

Che cosa pensi della direzione di Eleonora Abbagnato?

Compatibilmente con le difficoltà di una struttura di cui conosco profondamente le dinamiche interne, credo che Eleonora stia svolgendo un lavoro egregio.

Ti faccio i nomi di alcuni artisti del Teatro e della TV. Puoi regalarci un pensiero su ciascuno di loro?

 Carla Fracci.

Irraggiungibile. Nella danza sicuramente l’artista italiana più  importante e conosciuta dell’ultimo secolo.

Alessandra Ferri.

Bravissima. L’erede di Carla Fracci, una di noi, la nostra più affermata interprete internazionale.

Maya Plisetskaya.

Unica, eccelsa. Bellissima persona con cui ho avuto l’onore ed il privilegio di danzare.

Roberto Bolle.

Il numero uno in assoluto. Un grande artista, umile ed eccezionale, un amico.

Heather Parisi.

Talento allo stato puro. Imprevedibile e fuori dagli schemi, ha scolpito e caratterizzato  pagine importanti della storia della Tv.

Lorella Cuccarini.

Un esempio assoluto di serietà, di professionalità e di dedizione al lavoro. Artista completa come forse nessun’altra, che gode di un forte consenso popolare.

E Mario Marozzi?

Fate voi….

Crediti fotografici: Caterina De Benedictis e Corrado Falsini

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