Masters of dance: il Tulsa Ballet torna in Italia con una serata dedicata alla grande coreografia

di Giada Feraudo
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Nuovo importante appuntamento, martedì 16 aprile p.v., presso il  Teatro Astra di Torino, per la rassegna Palcoscenico Danza diretta da Paolo Mohovich, che ospiterà questa volta lo spettacolo Masters of dance, del Tulsa Ballet.

Per l’occasione il programma prevede una serata che riunisce lavori coreografici del passato e della contemporaneità. Saranno rappresentati, infatti, La Table Verte, masterpiece di Kurt Jooss, presente nel repertorio di pochissime compagnie, il celeberrimo Who Cares? di George Balanchine e infine Shibuya blues, un pezzo della pluripremiata coreografa colombiana Anabel Lopez Ochoa.

Il Tulsa Ballet, diretto da vent’anni da Marcello Angelini, è considerato fra le dieci migliori compagnie statunitensi. Il suo repertorio spazia dai balletti classici al contemporaneo e comprende lavori firmati da coroeografi quali Kylián, Forsythe, Duato, Balanchine, Tharp, Elo, Robbins, Wheeldon, Cranko, Hynd, McGregor, Hans van Manen, Kudelka, Taylor e MacMillan.

La prima coreografia in programma, La Table Verte, è poco rappresentata sulle scene. Si tratta di un lavoro di Kurt Jooss su musiche di Frizt Cohen, e risale al 1932, poco prima dell’avvento del nazismo con le sue disastrose conseguenze. Il pezzo fu creato per il “Concours international de chorégraphie” a Parigi, a cui Jooss fu invitato a partecipare. L’originalità del lavoro gli fece vincere il primo premio e fu un passo fondamentale nella sua carriera.

La Table Verte è una sorta di guerra senza tempo, rappresentata in modo allegorico in una serie di quadri, ognuno dei quali rappresenta una variazione di uno stesso tema. Si tratta di una sorta di danza macabra che prende forma all’interno di una conferenza diplomatica in cui i partecipanti, “the gentlemen in black”, tutti in maschera ad eccezione della Morte, discutono intorno ad un tavolo rettangolare coperto da un tappeto verde. Finiscono per estrarre le pistole dalle loro tasche e sparare in aria, simboleggiando una dichiarazione di guerra. Le successive sei scene ritraggono diversi aspetti del tempo di guerra: la separazione dai propri cari in “The Farewells”, la guerra stessa in “The Battle” e” The Partisan”, la solitudine e la miseria in “The Refugees”, il vuoto emotivo e l’atmosfera di gioia forzata in “The Brothel” e, per finire, i sopravvissuti feriti e scossi in “The Aftermath”. Il balletto termina così come è iniziato con i “gentlemen in black” attorno ad un tavolo verde. In questi episodi la figura della Morte è trionfante, ritratta come uno scheletro che si muove con forza e in modo meccanico come un robot, reclamando incessantemente le proprie vittime. La struttura circolare del balletto riflette il senso di frustrazione dei discorsi dei diplomatici, indifferenti alle devastazioni della guerra e impegnati in ipocriti quanto inconcludenti negoziati.

La Table Verte nulla ha a che fare con le battaglie individuali di ognuno ma è simbolo dell’insensatezza della guerra e degli orrori da essa causati. La Morte, sempre presente, ha qui un carattere iconografico e simbolico, diventa partner di ognuno di noi, seducendoci e portandoci a danzare con lei verso la fine nello stesso modo in cui abbiamo vissuto.

La serata continua in modo più frivolo con la celebre coreografia di George Balanchine Who Cares?, che identifica il balletto ma anche il vecchio brano di George e Ira Gershwin scritto nel 1931 per Of Thee I Sing, che ben rappresenta il loro stile di composizione raffinato. Nel 1937 George Gershwin chiese a Balanchine di andare a Hollywood per lavorare con lui alle Follies di Samuel Goldwyn ma si ammalò di un tumore prima di terminare le musiche per il balletto del film. Trent’anni dopo, George Balanchine coreografò Who Cares? su sedici canzoni che Gershwin compose tra il 1924 e il 1931, tra cui si ricordano, fra le altre, ‘S Wonderful, l’omonima Who cares?, The man I love, My one and only e I got rhythm. La prima rappresentazione del balletto ebbe luogo sabato 7 febbraio 1970 al New York State Theater Lincoln Center, con i costumi di Barbara Karinska e le luci di Ronald Bates.

Il programma si chiude con Shibuya blues, di Annabelle Lopez-Ochoa, coreografa pluripremiata, nominata da Dance Magazine come la più ricercata coreografa dei nostri tempi. Ha creato lavori per oltre 50 compagnie di danza in tutto il mondo quali The New York City Ballet, English National Ballet, San Francisco Ballet, Atlanta Ballet, Les Grands Ballets Canadienes, The Washington Ballet, The Royal Ballet of Flanders e Tulsa Ballet. Di origini belga colombiane, ha completato la sua formazione al Royal Ballet Academy ad Anversa, in Belgio, e ha collaborato con varie Compagnie tra cui Scapino Ballet Rotterdam, dove è stata solista per sette anni.

Il lavoro di Anabel Lopez Ochoa racconta esperienze emotive attraverso un linguaggio astratto e uno stile contemporaneo che di tanto in tanto attinge elementi dalla tecnica classica soprattutto per quanto riguarda i virtuosismi. Non ci sono qui copioni o personaggi definiti ma ogni danzatore narra una storia diversa. Questo racconto si basa molto sulla connessione e comunicazione fra ballerini e spettatori, ottenuta principalmente attraverso un sapiente utilizzo dello sguardo.

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