Siamo ormai agli sgoccioli di questo ricco 2016 e soprattutto siamo sotto una pioggia di stelle candenti e fiocchi di neve delle tante rappresentazioni de “Lo Schiaccianoci” di Pëtr Il’ič Čajkovskij in bella mostra qua e là per il mondo. Un preludio festoso e sdolcinato ad un nuovo anno che è sempre più alle porte con uno stuolo di novità e tante riprese di vecchi titoli e grandi coreografi cari al pubblico di ogni dove. Proprio come accade esattamente ogni anno, con un bilancio più o meno rispondente al vero ed una serie di previsioni per l’anno successivo così da sbizzarrirsi su una classifica ideale degli appuntamenti imperdibili e dei grandi nomi dell’anno. Noi crediamo, in verità, di lanciare in anticipo il nome buono per tutte le stagioni così da mettere d’accordo tutti sui buonissimi auspici di questo 2017.
Scriviamo di Maurice Béjart, nato il primo gennaio del 1927 a Marsiglia, morto a ottant’anni a Losanna e così a dieci anni di distanza siamo qui a festeggiarne e celebrarne le ideali novanta primavere con un tourbillon di titoli, interpreti e ricordi di uno degli uomini di danza più influenti del Novecento. Eppure non ha mai coreografato uno “Schiaccianoci” tipico di questi giorni natalizi, così intento invece a scoprire e riscoprirsi nell’innovazione che lo ha condotto poi a diventare un coreografo atipico ed apprezzato in tutto il mondo. La sua danza a tutto tondo, concepita per un teatro totale, ha reso Maurice Berger, in arte Béjart, un autore versatile con un passato classico ed una formazione in itinere propedeutica alla sperimentazione di una vita. E pensare che i primi passi sono stati mossi presso la scuola marsigliese del Teatro dell’Opéra e poi a Parigi e Londra con Vera Volkova, prima di debuttare ufficialmente a diciotto anni a Vichy e con Roland Petit.
Giusto alla metà del secolo scorso ha potuto anche debuttare nelle vesti di coreografo, evidentemente le più adatte al genio sregolato dell’ancora ventitreenne Maurice Béjart. E il primo titolo lo metteva subito al cospetto del grande repertorio del Novecento, ovvero con una ripresa de “L’Uccello di fuoco” che successivamente ha riadattato al Teatro dell’Opèra di Parigi nel 1970. Ma prima del grande successo di Igor Stravinskij, Maurice Béjart aveva messo mano a “Sinfonia per un uomo solo” di pierre Henry ed all’altro celebre titolo del compositore di Lomonosov “La sagra della primavera”, divenuto poi il balletto più importante del Ballet du XX Siecle che lo stesso coreografo marsigliese ha fondato nel 1960. Il suo repertorio è stato studiato dai maggiori addetti ai lavori, riconducendolo alle origini del suo idioma classico fino ad evidenziarne sempre più il neo-espressionismo e la matrice filosofica orientale con i titoli “Mass for the Present Time”, “Bakhti”, “Nizinskij Clown de Dieu”, “Golestan” e “Garden of Roses”. Ma la versatilità dell’autore si è manifestata nel tempo attraverso lavori differenti che, di volta in volta, lo hanno indirizzato verso filoni nuovi o vecchi come con “La Traviata”, il “Bolero”, “Les Noces”, “I Trionfi”, “Romeo e Giulietta”, “Baudelaire”, “I sette peccati capitali” e “Mallarmé III” che ne hanno valorizzato una profonda poliedricità artistica e soprattutto culturale.
Base teorica fondamentale per il nuovo incarico del 1970 nelle vesti di direttore del Centro europeo di perfezionamento e ricerca per gli interpreti dello spettacolo MUDRA. Quella scuola-laboratorio ha dato i natali a numerosi nuovi artisti ed interpreti del teatro totale di Maurice Béjart, sempre più invaghito del repertorio musicale di Richard Wagner e dei titoli non sempre pertinenti con la danza ed il balletto. Fino a diventare il profeta della danza contemporanea in patria ed in Belgio, che poi ha abbandonato per il Béjart Ballet Lausanne dove ha definitivamente trapiantato le proprie attività dal 1987 agli ultimi suoi giorni di vita. E prima di morire era in corso l’ultima coreografia rimasta incompiuta, “Il giro del mondo in 80 minuti” che avrebbe dovuto debuttare nel dicembre del 2007. Da quel giorno la direzione della compagnia è passata nelle fidate mani di Gil Roman, probabilmente il migliore prosecutore dell’arte coreutica franco-belga di Maurice Berger, in arte giustamente Béjart.