Michele Barile: “sono costantemente grato per ogni cosa che mi accade”

di Francesco Borelli
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A soli trent’anni puoi guardarti indietro e dire di “aver vissuto”; tante sono le esperienze di lavoro accumulate e molteplici, conseguentemente, le esperienze di vita. A che punto sei del tuo percorso?

Credo di essere, in qualche modo, alla resa dei conti. Mi spiego: guardo indietro e, conscio di ciò che ho fatto, penso ai tasselli mancanti e mi adopero per colmare le lacune. Ѐ come se avessi preso consapevolezza di ciò che mi manca e di ciò che vorrei, oggi, mi completasse.

Che cosa ti manca?

Nulla nello specifico. Mi riferisco al desiderio di studiare con un determinato maestro, piuttosto che lavorare con un coreografo. D’altronde nella vita, per ogni desiderio che si realizza, un altro prende forma.

Ci sono stati errori di valutazione nel tuo passato?

Nel mondo del lavoro, spesso, bisogna accettare condizioni non confacenti la tua persona. Situazione, questa, incontrata quasi ovunque. Non parlo però di un qualcosa che abbia necessariamente un’accezione negativa. La danza è fortemente invadente, tanto lavorativamente, quanto personalmente. E spesso si vivono situazione che non sono comode per te e il tuo modo di essere.

Tu che persona sei?

Sono una persona estremamente tranquilla ma nello stesso tempo determinata e curiosa nei confronti del lavoro e della vita.

Perché hai iniziato a ballare?

Sono di un paesino della provincia di Bitonto e quando ero bambino fu aperta la prima scuola di danza. Per tutto il paese rappresentò una grande novità e così mi iscrissi. Avevo solo quattro anni ma ricordo, in maniera nitida, la dedizione con cui affrontavo le lezioni e il palcoscenico.

Crescendo hai avuto dei modelli di riferimento?

Sicuramente Michele Merola: tanto la sua persona, quanto la sua danza mi rispecchiavano completamente. Michele è stato una sorta di fratello maggiore e i suoi insegnamenti me li porto dietro ancora adesso.

Qual è stata la grande occasione?

Certamente il primo contratto di lavoro che in qualche modo ha dato concretezza a un sogno. Fino ad allora avevo considerato la danza una grandissima passione ma quella firma sul contratto, i primi soldi guadagnati, la tournèe in giro per il mondo, cambiò tutto.

Dai l’impressione di essere una persona riflessiva, capace di comportarsi e con bei modi. Che percezione hai di te stesso?

Sono una persona che si pone continuamente delle domande e che non si sente mai all’altezza delle situazioni. Questo, ovviamente, porta a delle crisi che vorrei esistessero meno. Ciò riguarda tanto il mio essere ballerino che maestro. Soprattutto nell’insegnamento mi pongo mille quesiti e mi chiedo, sempre, se riuscirò a dare qualcosa ai ragazzi e sarò in grado di farmi capire e donare loro la mia esperienza.

Come sei arrivato ad “Amici”?

Lavoravo con Diana Ferrara per l’”Astra Roma Ballet”, il primo contratto di cui parlavo prima, e feci le audizioni. Era l’edizione del 2009/2010 che vinse Emma. Feci un anno da allievo, poi l’anno successivo lavorai in compagnia da Michele Merola. Sentivo la necessità di tornare alle origini, forse perché poco abituato ai ritmi televisivi. Però, contemporaneamente alla compagnia, feci anche alcune esperienze in TV. Durante una puntata di “Italia’s Got Talent” Maria De Filippi mi chiese di fare Amici da professionista e rimasi per quattro edizioni e mezza.

Come valuti la tua partecipazione di Amici?

Per me è stata un’esperienza fondamentale, tanto che oggi, se non ci fosse stato Amici, sarei stato in grado di dirti un terzo di ciò che sto dicendo. Timido come sono mi ha regalato, nel tempo, maggiore sicurezza. Mi ha cambiato non solo professionalmente ma anche personalmente.

Come ti poni rispetto alle polemiche che caratterizzano il programma?

Tendenzialmente sono pro Celentano. In generale credo però che le polemiche riguardo al fisico, ai comportamenti etc. etc., siano dinamiche proprie di ogni realtà accademica o professionale. Semplicemente ad Amici avviene tutto davanti alle telecamere.

Qual è la qualità che ti riconosci in quanto danzatore?

Non ho mai avuto grandi doti fisiche. Ciò che ho adesso è frutto di un grandissimo lavoro, a tratti maniacale. Per me il lavoro non finiva mai in sala ma continuava a casa con una serie infinita di esercizi e prove. Se mi riconosco una qualità è certamente la determinazione e l’intelligenza.

Da danzatore con esperienza come vedi la situazione attuale? Come sono i ragazzi oggi?

Senza voler esagerare, penso che la situazione sia un po’ disastrosa. Sono cresciuto con un grande senso di responsabilità rispetto al lavoro e di educazione nei confronti dei maestri e dei coreografi. Nei ragazzi di oggi, ogni parola, ogni espressione, per me è di più. Forse sono i tempi che insegnano “la maleducazione” la mancanza di rispetto, la sguaiatezza.

C’è una notte, tra le tante vissute, che non ti scordi più?

Sono una persona costantemente grata per ciò che mi accade. Mille sono le emozioni provate. Ogni notte è bellissima. Sono ancora un bambino che si stupisce per le cose. Quando questo aspetto di me cambierà dovrò iniziare a preoccuparmi.

Ci racconti l’audizione per Angelin Preljocaj?

Amavo molto la sua compagnia e spesso avevo visto i suoi spettacoli. Quando vidi il bando di audizione mandai il materiale e mi presentai a Parigi. Durò tre giorni. Eravamo centinaia di persone. Tant’è che solo il primo giorno fecero sei o sette lezioni di classico convocando le persone nelle singole classi. Fu durissima perché si trattava di un linguaggio del corpo che non mi apparteneva affatto e arrivavo a sera completamente distrutto.

Come hai reagito quando ti han detto che saresti entrato in compagnia?

Potrà sembrare presuntuoso da parte mia ma l’avevo già deciso. Quando nei tre giorni di audizione passavo alla selezione successiva sapevo che era giusto così, come se fosse stata l’evoluzione naturale di ciò che stavo vivendo. Credo che a loro sia arrivata la mia determinazione e la mia sicurezza. Sapevo che lo volevo. Spesso i ragazzi “tentano” l’audizione ma è sbagliato. Bisogna volere.

Dopo circa un anno e mezzo con la compagnia, hai deciso di lasciare. Perché?

Rimanere in un contesto lavorativo per troppo tempo mi porta inevitabilmente ad avvertire un senso di appiattimento, artistico e umano. Danzare solo un tipo di linguaggio per me è inconcepibile e limitante. La varietà, nel lavoro e nella vita, mi fa sentire vivo e mi regala sempre nuovi spunti. Dopo un anno e mezzo non avevo più stimoli e così ho lasciato.

Sembra che tu abbia molto forte il senso dell’arte e della bellezza di questo mestiere. Di danzatori ne esistono tanti. Di artisti?

La maggior parte dei danzatori non “sceglie” realmente la danza. Ho incontrato spesso ballerini che vivono il nostro mondo come un “mestiere”, una sorta di lavoro stabile che ormai fa parte della vita e, conseguentemente, si svolge. Per me è assurdo.

Oriella Dorella mi ha detto: “La danza mi ha permesso di addormentarmi come Carmen e di svegliarmi Gelsomina”. A te cosa ha permesso?

La danza è uno stimolo continuo: artistico e personale; mi ha donato una crescita costante e la possibilità di mettermi continuamente alla prova.

Quanto conta la bellezza per un danzatore?

Un aspetto gradevole è una qualità certamente apprezzata su un palcoscenico. Ma la bellezza non è solo quello: è un insieme di elementi che uniti tra loro rendono chi danza pieno di attrattiva. Mi riferisco alla personalità di ciascuno, alla tecnica, alla qualità di movimento e alla sensibilità di ogni artista.

Se Michele Barile avesse una sua compagnia di danza, che tipo di ballerini sceglierebbe?

Sceglierei persone semplici. Di un danzatore amo la mancanza di sovrastrutture, quasi si trattasse di una tela bianca sui cui poter scrivere ciò che si desidera. Oggi anche un ragazzino di dodici anni mostra una predisposizione fortissima verso un certo modo di ballare. E questo può essere normale certo, ma nello stesso tempo percepisci che sarà difficile poterlo “modellare”. Molti bambini danzano e si comportano come fossero uomini di trenta. Non ci si concede più la possibilità di cambiare.

Dove vorresti essere a cinquant’anni?

Non ne ho davvero idea. Non perché io non abbia obiettivi o desideri da realizzare ma non riesco a pormi il problema. Certamente la danza farà ancora parte della mia vita perché per me è un’esigenza vera. Ma il resto non lo immagino.

Rifaresti tutto ciò che hai fatto?

Si, assolutamente.

C’è qualcosa che rifaresti meglio?

Tutto. Sono molto critico con me stesso.

Ti senti una persona realizzata?

Si, e felice.

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