Rossella Brescia: un’incantevole testarda

by Francesco Borelli
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Incontro Rossella Brescia un uggioso mercoledì sera a Milano. Fuori piove, il freddo è pungente e penso che, in fondo, sarei potuto rimanere a casa al caldo delle pareti domestiche. Poi arriva lei. Bella da togliere il fiato, elegante, con l’allure tipica della ballerina classica e la solarità e la dolcezza di chi dalla vita ha avuto tutto e di questo è grata. Puntuale, ti abbraccia con una sincerità commovente, e inizia a raccontarsi nella maniera più diretta e schietta, come fosse una cara amica che non ti vede da tanto tempo. 

Tutti i danzatori hanno cominciato per un motivo. Qual è stato il tuo?

Il motivo fu Alessandra Ferri. Io abitavo a Martina Franca e purtroppo non esistevano teatri che accogliessero la danza e i grandi balletti. Allora andava in onda su Rai Uno un indimenticato programma di Vittoria Ottolenghi, “Maratona d’estate”, e lì mi capitò di vedere Giselle interpretato appunto dalla Ferri. Rimasi incantata. Mi colpì molto il suo modo di fare danza, la sua teatralità, la capacità di raccontare la storia senza parole. Al di là della grandezza tecnica ovviamente che allora, però, non capivo. M’iscrissi in una piccola scuola e capì subito che si trattava di una cosa assolutamente nelle mie corde. E m’innamorai.

Pensavi, da bambina, che saresti diventata un personaggio noto e conosciuto a tutto il pubblico italiano?

Assolutamente no. Io volevo ballare. Ciò che è arrivato dopo, la televisione, la pubblicità non erano cercati. Io sono arrivata a Roma per fare la ballerina, per imparare il mestiere. Ho sostenuto l’esame all’Accademia Nazionale di Roma e mi han preso. Ho studiato tantissimo. Rinunciavo a tutto. Nella mia vita esisteva solo la danza.

Tu sei indubbiamente una danzatrice fisicamente dotata. Gambe meravigliose, schiena, piedi. Pensi che le doti siano cosi fondamentali nella danza?

Le doti sono importanti. Non prendiamoci in giro. La danza è una scienza esatta. Soprattutto se si balla il repertorio classico. In quel caso non si può assolutamente prescindere. Poi esistono tanti stili e allora subentrano anche altre cose. Ma la fisicità è fondamentale laddove si deve avere tecnica e precisione. Io consiglio la danza vivamente a tutti. Ti libera la mente, ti porta in un altro modo. Quando però deve diventare un mestiere bisogna avere la coscienza e la consapevolezza del proprio corpo.

Tu sei stata sempre convinta che saresti riuscita a fare la ballerina?

Sì. Io volevo fare questo. Come ti ho già detto la televisione è arrivata in un secondo momento. Avevo una fisicità non proprio da danzatrice classica. Non ero né eterea né diafana. Mi vedevo formosa e sapevo che certe cose non avrei potuto farle. Ancora bambina mi dissero che sarebbe stato meglio se mi fossi rifatta il seno. Consapevole di questo ho deciso di continuare a studiare il classico, cosa che faccio tuttora ogni giorno, e buttarmi sulla danza moderna.

Che ricordi hai degli anni in Accademia?

Per me esisteva solo la danza. Pensavo a studiare. Avevo l’ambizione di imparare la tecnica al massimo delle mie possibilità. Non di diventare qualcuno. Quando vedevo allieve o danzatrici più brave di me, le guardavo e cercavo di capire e imparare. Era lì che trionfava la danza. Non potevo essere invidiosa. Ma solo ammirata. E poi ho avuto sempre insegnanti estremamente carine. Tranne un’occasione. In quel caso andai dalla direttrice e le chiesi di cambiarmi di corso, sottolineando come in un momento di disperazione avrei potuto lasciare e poi pentirmene per tutta la vita. Lei capì. E tutto andò bene.

Il tuo esame finale come andò?

Benissimo. Mi diplomai col massimo dei voti. E sostenni l’esame con la maglietta. Tutti in body e calze rosa ed io…con la maglietta. Andai ancora dalla direttrice, Lia Calizzi, supplicandola perché sapevo che senza quell’indumento mi sarei sentita fuori luogo e avrei preso una votazione bassa e me lo permise.

Tu hai tantissima forza di volontà?

E’ come se nella mia vita avessi fatto il militare. Ho grande dedizione, rispetto per questo lavoro. Forse anche un po’ di sano masochismo, tipico del danzatore. E un amore infinito per la danza che mi riporta, tutti i giorni, alla sbarra.

Hai iniziato come ballerina in tanti programmi televisivi. Ma quando hai capito che eri diventata una star e che il grande pubblico iniziava a conoscerti e amarti?

Come danzatrice questo tipo di riconoscimento è arrivato con “Amici”. All’inizio gli unici professionisti eravamo io e Kledy. Ballavamo tutto. Dal classico al jazz all’hip hop. E le persone ci riempivano d’affetto. Poi sicuramente lo spot della Tissot ha fatto la differenza. Interpretavo una donna avvenente e sensuale. L’esatto contrario di come mi sento nella vita. Ma anche lì mi son sentita un soldatino. Bisognava rifare la scena di un film. In un’ora avevamo finito. La disciplina che viene dalla danza mi accompagna in ogni aspetto della mia vita.

Secondo te qual è la tua forza di ballerina?

Credo che la mia forza stia nella necessità di raccontare una storia. Devo interpretare un personaggio, una vita che non è la mia. Mi soffermo sul connubio tecnica-espressività. Bisogna avere entrambe le cose. Non se ne può prescindere.

Qual è il personaggio del repertorio che ti piacerebbe interpretare?

Kitri. E’ un personaggio forte, deciso. Una donna carismatica che sa quello che vuole.

E tra quelli che hai interpretato invece? A quale ti senti più legata?

Indubbiamente Carmen. È una donna come me. Che combatte per difendere le proprie idee. E’ un personaggio sempre attuale. Vuole vivere l’amore nel modo in cui ha sempre desiderato. Lascia Don Josè e, forte delle proprie convinzioni, va incontro alla morte.

Una volta in TV esistevano grandi prime donne, corpi di ballo con quaranta danzatori. Oggi tutto questo non esiste più. Perché secondo te?

Perché non esistono più i varietà e il balletto è una forma di spettacolo che costa moltissimo. La televisione è cambiata. E bisogna guardare avanti senza soffermarsi troppo sul passato. Ciò che è stato è un grande tesoro di cui possiamo disporre per andare oltre e innovare. La televisione ha delle esigenze che non si possono ignorare, ha tempi velocissimi. Falqui ci impiegava giorni per registrare un balletto. Oggi sarebbe impensabile. Bisognerebbe trovare qualcuno che abbia voglia di rischiare, far conoscere la danza nella sua interezza.

Che cosa farebbe Rossella Brescia per diffondere la cultura della danza in Italia?

Oggi la danza interessa poco. Io sarei disposta a rischiare in prima persona, magari conducendo una sorta di “Maratona d’estate” adattato ai tempi e ai gusti di oggi. I progetti per la danza sarebbero molto ben accetti.

Mi racconti il momento in cui ti sei sentita la ballerina più felice del mondo?

Tante serate al Teatro Massimo di Palermo. Ho avuto notti bellissime. Ma non solo. Anche nei teatri di città in cui la danza solitamente non arriva, ed io so cosa significa vivere in realtà di questo tipo. Magari di fronte a persone che scoprono la danza per la prima volta. Quelle serate mi hanno riempito di gioia infinita.

Il successo può infastidire e provocare invidie. Ti sei mai sentita poco amata o invidiata?

Non più di tanto. Cerco sempre di capire e di mettermi nei panni delle altre persone. Mi fanno male le cattiverie gratuite, quello sì. Ma da parte mia ho sempre mantenuto una grande umiltà. Ripeto, le persone più brave di me le ho sempre guardate con ammirazione. Ho sempre cercato di rubare con gli occhi e imparare. Poi ognuno fa il proprio percorso.

Prima ti ho chiesto quando ti sei sentita la ballerina più felice del mondo. Quando, invece, ti sei sentita triste?

Bè, mi capita di sentirmi triste quando mi faccio male e in scena, non riesco a dare il massimo. E’ come se offendessi il pubblico. Una volta mi capitò di andare a terra durante delle piroette. Non misi per mia scelta la sottogonna che era troppo pesante e l’abito di raso e seta mi s’impigliò tra le gambe. Lì mi sono arrabbiata tantissimo con me stessa. Era stata colpa mia. Mi sono sentita sconfitta. Ma dopo una sconfitta ci si rialza subito. E per questo devo dire ancora grazie alla danza.

Tu pensi che sia proprio la disciplina il regalo più grande che ti ha fatto la danza?

Assolutamente sì. La disciplina è stata la mia ancora di salvezza. Tante cose fatte le devo alla mia capacità di programmare le cose, e di buttarmi a capofitto in ogni progetto, con dedizione assoluta e voglia di fare sempre meglio. Bisogna essere impeccabili anche e soprattutto per rispetto nei confronti del pubblico.

Come ti vedi in futuro?

Mi occuperò di danza, magari in forme diverse rispetto a oggi. Insegnerò, e chissà, magari condurrò la nuova Maratona d’estate. (Qui ride N.d.R.)

Una domanda che faccio sempre in ogni intervista. Come definiresti te stessa?

Testarda. Onesta nel mio lavoro. E sono un’inguaribile ottimista. Mi piace ridere e far ridere.

Ti senti una donna di successo?

Non lo so. Di certo ho fatto tante cose. La parola successo però non mi piace. Non la vedo adatta a me. Sono proiettata sempre verso il futuro. Verso ciò che sarà e che accadrà.

Fuori continua a piovere. Ma il freddo non lo sento più. Rossella si è rivelata persona bella, semplice e con tante cose da raccontare. Donna forte e colma di infinito rispetto verso un mondo che tanto ama e che tanto le ha dato. Mi allontano dall’hotel in cui ci siamo incontrati contento, e certo che “l’amica che non vedevo da tanto tempo” mi abbia lasciato tante cose. Fra tutte, la voglia di non arrendersi mai e continuare a studiare, sempre. In fondo, la danza è così: quando la incontri non ti lascia più, per tutta la vita.

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