Roberta Lanfranchi: “Vi racconto la favola della mia vita”

di Francesco Borelli
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Vi ricordate quando da piccoli vi raccontavano le favole? Vi ricordate in particolare quella della principessa bella e buona, che, grazie alla forza della determinazione e alla bontà del suo cuore, ottiene, alla fine, ciò che desidera? Oggi quella favola ve la racconto io. O meglio, ve la racconta lei: Roberta Lanfranchi. Una principessa delle fiabe dolce e gentile. Forte e umile. E bellissima. 

Inizio col farti una domanda con riferimento a una notizia di cui non ero a conoscenza. Tu hai studiato al Teatro alla Scala? 

Ride. Questo è un grande equivoco da oltre venti anni. L’intervistatrice di allora, poco ferrata sul mondo della danza mi chiese dove avessi studiato. Risposi che avevo avuto maestri provenienti dalla Scala come Bruno Telloli, Walter Venditti. Da lì dedusse che avevo studiato in Scala. Ma non era per niente cosi. 

Cosa ti ha spinto a cominciare lo studio della danza? 

Sono nata con una lussazione all’anca sinistra. Oggi la sistemano in breve tempo, ma quarant’anni fa le cose erano più complicate. Fino a due anni non ho in pratica camminato. Facevo frequenti controlli in ospedale e ogni volta piangevo. Una dottoressa consigliò a mia madre di iscrivermi a danza. E cosi cominciai. Ma non mi piaceva affatto. Volevo fare altro. Poi nel mese di Maggio di quel primo anno mi comprarono il tutù in vista del saggio. M’innamorai e da quel momento la danza è entrata prepotentemente nella mia vita. E quel tutù lo conservo ancora. 

Dove hai studiato e quali furono i tuoi maestri?

Ho iniziato a Cremona, la mia città. Poi la mia insegnante di allora, Giada Orio, mi suggerì di dedicarmi alla danza con maggiore impegno. Cosi iniziai ad andare a Milano nella scuola di Bruno Telloli e Walter Venditti. Tre giorni la settimana la mia mamma veniva a prendermi all’uscita della scuola e mi portava fino a Milano. Ho continuato questa vita per nove anni. Nel tempo, i tre giorni a Milano si trasformarono in trasferte quotidiane. I sacrifici erano tantissimi ma li affrontavo con piacere. Intanto mi diplomai e per pagarmi la scuola di ballo facevo la babysitter e l’insegnante privata di Italiano e Matematica. 

Intanto arriva il 1995. Che cosa è accaduto in quell’anno? 

Dovevo ancora compiere i ventuno anni. Andai a fare una lezione di moderna jazz al MAS. Durante il riscaldamento entrò in sala Brian Bullard. Alla fine della classe andai verso l’uscita della sala e sentii: “Ehi tu”. Mi sono girata e avvicinata a lui. Mi disse che non aveva bisogno di farmi alcun provino e che mi aspettava lunedì a Cologno Monzese per le prove. Avrei fatto “Non dimenticate lo spazzolino da denti”. Rimasi a bocca aperta. Andai via senza dire nulla. Dopo la doccia uscii e lui era ancora lì. “Non mi hai dato risposta” mi disse. Accettai. Ne parlai con mia madre che mi vide talmente felice ed entusiasta da appoggiarmi. Fu il mio primo lavoro. 

E poi arrivò “Buona Domenica” con Lorella Cuccarini e le coreografie di Franco Miseria. 

Fu un’audizione durissima. Eravamo in tantissime. Ma alla fine mi prese. Durante il programma, nel mese di Marzo del ‘96, arriva in sala prove la produttrice di Striscia la notizia. Scelse alcune di noi ballerine invitandoci a presentarci il giorno successivo per l’audizione delle veline. Era tutto surreale. Facevo un lavoro che amavo, guadagnavo dei soldi, ogni giorno c’era una sorpresa. Il giorno dopo andai. Non ti dico com’ero vestita. Le altre in perizoma, reggiseno, senza calze, truccatissime, corpi oleati e sandali gioiello. Io maglietta, ciclisti e stivali senza tacco. Mi sentivo inadeguata. Feci il mio provino e andai via. Tutto tacque fino ad agosto. Mi chiamò Antonio Ricci in persona per dirmi che sarei stata la prossima velina mora. Ed io riattaccai. Pensavo fosse uno scherzo. Mi richiamò dicendomi che se non mi fossi presentata il lunedì successivo per l’inizio delle prove avrebbe preso un’altra. E lì capii che ero stata presa. 

Cosa speravi da piccola? Quali erano i tuoi sogni di bambina? 

Sapevo che non avrei mai potuto fare la ballerina classica. Pur facendo lezioni tutti i giorni, mi dedicai anche ad altri stili. Ma nei miei sogni non c’era la danza. La amavo profondamente è vero, ma sembrava un mondo lontano Volevo fare la maestra. Tutto è arrivato inaspettato. E Striscia la notizia mi ha cambiato la vita. 

Cosa ti ha lasciato un’esperienza di questo tipo?

Il senso di famiglia lavorativa. Di protezione, di cura dei propri collaboratori. Si prendevano cura di noi. Siamo rimasti amici. 

Quale programma ti ha dato di più? 

A livello di danza sicuramente “Buona Domenica” nel 95 e poi “Fantastica Italiana” su Rai Uno nel 98, 

Quando è arrivato il teatro musicale nella tua vita?

Il musical nel 2004. Si trattava di “Se il tempo fosse un gambero” di Pietro Garinei al Teatro Sistina di Roma. E pensare che avevo detto no anche a Pietro Garinei. Venne a vedermi in uno spettacolo di prosa col quale debuttai come attrice al Parioli. Io non ero assolutamente a conoscenza del fatto che in platea ci fosse anche lui. Due settimane dopo mi chiamò. Questa volta non attaccai (Ride N.d.R.). Mi propose il ruolo di Rosetta in Rugantino. Io spaventatissima rifiutai perché non sapevo parlare romano. Ci salutammo. Mi sembrò di avere perso l’occasione della mia vita. 

Ma poi, come in tutte le favole che si rispettino, è successo qualcosa di bellissimo. 

Mi richiamò il maestro Garinei, parlandomi dello spettacolo che avrebbe rimesso in scena dopo vent’anni. Mi disse che la prosa l’aveva già vista e non dovevo sostenere nessun provino. E che mi avrebbe mandato lo spartito per la parte cantata. Io ringraziai e corsi a documentarmi. Anche in questo caso la protagonista femminile parlava romano. E la cosa mi preoccupò, di nuovo, moltissimo. Andai comunque a sostenere il provino. In platea c’erano Garinei e il maestro Trovajoli. Salii sul palco. Si accesero le luci. Cantai e pensai di averla fatta decentemente. Finita la canzone, il maestro Trovajoli si alzò in piedi e mi disse: “Ora me la canta?”. Rimasi gelata e risposi solo sì. La ricantai. Terminata l’esibizione, si alzò nuovamente in piedi e mi chiese se sapevo cosa fosse il vibrato e se sì di farlo. Dopo la terza volta non disse altro se non: “Può scendere”. Mi veniva da piangere. E invece mi diedero il benvenuto al Sistina. 

Oggi sei Milly in “Sette spose per sette fratelli”. Quanta necessità senti di essere sul palco? 

Ne ho bisogno. E’ una passione talmente grande da non poterne fare a meno. Faccio ciò che amo. E mi sento privilegiata. A volte sembra di stare in una centrifuga ma non tollero chi fa il mio lavoro e si lamenta. C’è gente che non sa cosa mettere sotto i denti. Non sarà certo un aereo da prendere o un autografo da firmare a rendere la vita di noi artisti così difficile da sostenere. Siamo fortunati e non c’è altro da aggiungere. 

È più importante il riconoscimento degli addetti ai lavori o del pubblico? 

Sono importanti entrambi. Grazie agli addetti ai lavori posso continuare a fare questo lavoro. Ma è il pubblico che ti sceglie. Esce da casa, paga un biglietto e se gli regali delle emozioni, ti applaude. E non esiste nulla di più bello.

Tra un grande show televisivo o un musical in teatro cosa sceglieresti? 

Di certo il musical. Magari il ruolo di Mary Poppins. Amo i ruoli rassicuranti che collimano perfettamente con la mia personalità. Milly per esempio, la protagonista di “Sette spose per sette fratelli”, è esattamente come me. Determinata ma dolce al contempo. A casa sono una madre severa. Sull’educazione e il rispetto non transigo. Però sono anche giocherellona e assolutamente disponibile nei confronti dei miei figli. 

Quali sono le doti che ti riconosci e a livello artistico e a livello umano? 

A livello artistico di certo la coerenza. Non ho mai accettato programmi o lavori che mi avrebbero potuto snaturare. Sono una persona sobria, semplice e coerente. Alcune cose proprio non mi appartengono. 

Ci sono stati momenti in questa favola bellissima che è la tua vita in cui non ti sei sentita amata o apprezzata? 

Mi è capitato le volte in cui mi son vista passare davanti gente totalmente incapace. In quelle occasioni ho provato un forte sdegno. Da ragazza ci rimanevo molto male. Oggi, a quaranta anni, ho una stabilità tale che mi permette di non prendermela più. 

Parli molto con te stessa? Sei una persona che riflette tanto sulle cose? 

Io sono sempre stata un tipo taciturno e timido. Mi piace molto ascoltare e poco parlare. Sono riflessiva e totalmente rispettosa nei confronti degli altri. Mi faccio tante domande e cerco di fare sempre la cosa giusta. O almeno ci provo. 

Che traguardo è aver compiuto i quaranta anni? 

Per me è solo un numero. Però è vero che negli ultimi tempi le cose sono leggermente cambiate. Ho più consapevolezza e mi sento più forte oggi che a venti anni. Sono piena di energia e voglia di fare. Nonostante l’ultimo nato non dorma ormai da due anni (Ride N.d.R.). 

Parlando della tua carriera di danzatrice, qual è stata secondo te la dote per la quale Brian, Franco Miseria o Saverio Ariemma, in quelle audizioni di cui abbiamo parlato, scelsero te piuttosto che altre? 

Non so. Forse la luce, l’entusiasmo. Io non credo di essere più brava di altre però, ripeto, forse hanno letto nella mia danza la forza della determinazione, della passione e la voglia di fare bene. 

Quali sono le caratteristiche vincenti della Roberta ballerina? E quali invece i limiti?

Ho sempre amato i grandi salti e i giri. Mi regalavano un senso di libertà. Invece ho dovuto lavorare molto sull’apertura della mia gamba sinistra. Il problema all’anca mi ha sempre complicato un po’ la vita. 

Da spettatrice cosa ami guardare in teatro? 

Tutti i balletti. Sarei capace di vederli uno dopo l’altro. Senza stancarmi mai. Ma poi amo anche la commedia musicale e il musical. L’importante è che ciò cui si assiste sia di qualità. E che le persone in scena siano in grado di fare le cose per cui sono pagati. 

Adesso una domanda che faccio sempre. Come definiresti te stessa? 

Mi definirei una buona esecutrice. Non penso di poter interpretare qualunque ruolo ma cerco di regalare emozioni al pubblico. Come la danza mi ha insegnato, mi metto nelle mani del regista o del coreografo e faccio esattamente ciò che mi è chiesto. Tornando alla definizione penso di poter dire di essere una privilegiata che ogni giorno si prende cura di questo privilegio. Mi rendo perfettamente conto di essere stata molto fortunata per tutte le occasioni che ti ho raccontato fino a adesso. Ma se poi le occasioni non le culli, non le coccoli, non valgono nulla. 

Qual è la differenza tra te bambina che studiava danza e s’impegnava per ottenere un risultato e i ragazzi di oggi? 

Oggi i ragazzi hanno tutto subito. Non hanno il tempo di desiderare le cose e lavorare per guadagnarsele. E poi genitori e figli comunicano poco. E non c’è nulla di peggio. In questo devo dire che la danza è stata una grande maestra. Mi ha regalato un ferreo senso della disciplina. E la consapevolezza che per ottenere un risultato bisogna sudare. Non ti può essere regalato nulla. 

Che tipo di maestra di danza saresti? 

Credo che sarei una brava insegnante. Severa, certo, ma di fronte all’impegno ti apro le braccia a vita.  Io sono cosi, totalmente coerente con me stessa. In ogni cosa. In televisione, in teatro, a casa. Sono una persona che ha vissuto una favola, ma se l’è anche guadagnata.

Ho incontrato Roberta nel suo camerino del Teatro Nuovo di Milano tra una replica e l’altra di “Sette spose per sette fratelli”. Alcuni incontri non sono suscettibili di definizione. A volte bisogna andare oltre il contingente e pensare a un sogno. Magari a una fiaba. In cui fortuna, talento e determinazione si fondono con dolcezza, bontà d’animo e un grande cuore. Roberta per me, è stata tutto questo: una principessa delle favole la cui storia profuma di pulizia, impegno, monito positivo e infinito amore. 

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