Avevamo interrotto il nostro racconto sulla storia dell’operetta italiana proprio mentre Carlo Lombardo era sul punto di presentare quello che sarebbe stato un suo grande successo.
Esattamente un secolo fa, otteneva consensi a Milano un buon lavoro di Karl Weinberger, tradotto abilmente da Carlo Lombardo in La Signorina del Cinematografo. Naturalmente il successo portò al Lombardo imponenti introiti e l’operetta venne regolarmente replicata.
Ma, il 24 maggio del 1915, l’Italia entrò in guerra contro i paesi della Mitteleuropa e, da quel momento, vedere campeggiare in cartellone un lavoro scritto da “l’odiato straniero” non era più cosa gradita al pubblico italiano. Così Lombardo, allo scopo di salvare l’operetta, si limitò a modificare il nome dell’autore, nascondendo quello di Karl Weinberger e attribuendo il lavoro a se stesso. Il pubblico finse di non accorgersene e l’operetta continuò ad andare in scena.
Il successo ottenuto da La Signorina del Cinematografo spinse la Società Nazionale del Grammofono (La Voce del Padrone) a metterla sul mercato, producendone addirittura due versioni diverse; l’esecuzione venne affidata alla celebre cantante d’opera Dora Domar, affiancata dal comico Leo Micheluzzi.
Naturalmente sull’etichetta il nome dell’autore rimase quello di Carlo Lombardo, il quale decise di dedicarsi alla rielaborazione di altri lavori firmati dagli “odiati stranieri”, dando così alle scene La Regina del Fonografo, Madama di Tebe e, soprattutto, la Duchesssa del Bal Tabarin. Forse non tutti conoscono la vicenda di quest’ultima operetta, piacevolmente divertente e piccante, ma, sicuramente, almeno una volta, hanno ascoltato il valzer di Frou Frou del Tabarin.
Questo particolare “sottogenere” dell’operetta incontrò immediatamente il gusto del pubblico, ottenendo un grande successo rispetto ai lavori “più all’italiana”; operette come Addio Giovinezza di Pietri, pur restando delle pietre miliari nella storia del genere, ricevettero un favore forse meno eclatante. Ricordiamoci che, in un periodo drammatico come quello della guerra mondiale, apparivano di certo più coinvolgenti le “cascate” di una duchessa poco virtuosa che le palpitanti lacrime della povera Dorina.
Intanto, anche Pietro Mascagni si cimentava con la nostra amata operetta, scrivendo Sì; tuttavia, il taglio volutamente intellettuale tipico delle sue composizioni le rese inadatte a rientrare pienamente nei canoni imposti dal genere.
Migliore sorte toccò, sempre nel 1919, a Il Re di Chez Maxim, che il buon Mario Costa diede alle scene dopo aver messo mano alle musiche già composte dal collega Carlo Lombardo, realizzando così un godibilissimo lavoro.
In questo periodo moltissimi compositori di buona vena e chiara fama regalarono interessantissime perle alla piccola lirica, ma, per parlare di Bellini, Carabella, Cuscinà e tanti altri, vi diamo appuntamento ad un prossimo incontro.
Elena D’Angelo