Fabrizio Mainini, il re del balletto in TV si racconta tra passato e presente

di Francesco Borelli
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Nell’immaginario collettivo è uno dei re della danza in TV. Talentuoso, energico, ballerino dalla tecnica impeccabile, partner delle più grandi showgirl, esempio per migliaia di ragazzi che volevano essere come lui. Incontrarlo non ha scalfito il “mito”. Fabrizio Mainini è simpatico ed esplosivo come nelle centinaia di coreografie che, in tanti anni di bella televisione, lo hanno visto interprete d’eccezione.

Fabrizio, tu hai fatto parte di un periodo della televisione in cui i danzatori erano straordinari e il momento del balletto fra i più attesi. Che ricordi hai di quegli anni?

Erano anni fantastici. Noi ballerini eravamo visti come grandi divi, quasi irraggiungibili. È vero, però, che si trattava di un periodo in cui la televisione stessa era considerata come qualcosa di lontano e speciale. Oggi la televisione è di tutti e tutti la fanno. Anche la notorietà è cambiata. In parte si è persa un po’ della magia che ai miei tempi dominava la TV.

Quale fu il primissimo programma cui hai partecipato?

Era il 1987 e partecipai al Festival Di Sanremo con Lorella Cuccarini.

Quando, invece, hai cominciato a studiare danza?

Ammiravo profondamente mio fratello Vinicio, anche lui danzatore, e fu grazie a lui che fin da piccolino respirai il mondo della danza. Ma amavo l’acrobatica, le grandi evoluzioni, i salti mortali. Vinicio, però, mi “costrinse” letteralmente a iniziare con la danza classica dalla quale era necessario partire per essere bravi ballerini. E così feci. Dopo due mesi di lezioni già riuscivo in virtuosismi che altri impiegavano molto tempo a imparare. Mi veniva tutto semplice e immediato. Vedevo i passi e li ripetevo. Ho iniziato alla scuola di Enzo e Flavio Turchi per poi diplomarmi all’Accademia Nazionale di danza di Roma. Ma ero una mosca bianca. Di mattina alla sbarra con le scarpette e il pomeriggio andavo a fare break dance per strada. Ci si trovava nell’attuale galleria Sordi in via del corso, dove c’era un pavimento di marmo lucido adatto alle nostre esibizioni. E questo fu una fortuna perché nel tempo riuscii a mescolare le cose e fare in qualche modo la differenza.

Quando hai capito che quella della danza sarebbe stata la tua strada?

Dopo i tre anni in Accademia mio fratello mi consigliò di accettare una borsa di studio presso la scuola di Renato Greco. Esperienza davvero formativa. Si studiava ogni disciplina. Dal classico al contemporaneo, dalla danza di carattere fino al canto e al trucco. Studiavamo dalla mattina alle nove fino alla sera alle venti. In quei mesi capii, grazie anche ai grandi insegnanti che ebbi, che amavo quel mondo e volevo appartenervi. Lo stesso Victor Litvinov mi preparò per il Gran Premio di Losanna. Che però non feci. Dovetti partire per il militare. Avevo diciannove anni. E stetti fermo un anno. Finito il militare, entrai nella compagnia di Renato Greco.

Torniamo agli anni d’oro della TV…

Hai detto bene…Anni d’oro. I balletti duravano sei, sette minuti. Oltre a quelli a tema esistevano le cosiddette “fantasie”, gli attuali medley o mash up. E poi c’erano le sigle. Le prime erano registrate ed erano amatissime e seguitissime dal pubblico. Oggi solo Carlo Conti valorizza ancora il balletto, seppure in maniera minore rispetto a venti anni fa.

Che differenza c’è tra i ballerini di allora e quelli di oggi?

Una volta eravamo molto più versatili. Oggi si tende a specializzarsi in uno stile in cui magari si eccelle ma… il resto? Un ballerino deve saper danzare tutto. Questa è la cosa che più consiglio ai ragazzi che studiano o lavorano con me. Bisogna conoscere e studiare tutte le discipline. La versatilità, oggi, è cosa rara.

Quali sono le caratteristiche che secondo te hanno favorito l’evolversi di una carriera come la tua? Così ricca e duratura?

Come ti dicevo prima la capacità di fare ogni cosa. Avevo la tecnica classica, il virtuosismo, ma anche la break e l’acrobatica. Probabilmente anche la fisicità ha giocato la sua parte.

Da ballerino, qual è il programma cui sei più legato?

Di certo “Buona Domenica”, l’edizione del 1994/95 con Mia Molinari e poi “Carramba”, in cui ero l’unico danzatore maschio con un corpo di ballo solo femminile. Cosa mai accaduta in TV fino a quel momento. Esperienza che potei ripetere con “Beato tra le donne” su Canale Cinque.

Al di là dell’ovvio talento, quanto hanno inciso la fortuna o i giusti incontri in una carriera così felice e fortunata?

Parecchio. La fortuna ha inciso per un buon 60 per cento. Di mio, però, mi riconosco il fatto di essermi dedicato al mio lavoro anima e corpo. Non mi sono mai risparmiato. E non mi sono mai montato la testa.

Tu sei stato il partner di grandi artiste della TV. Da Lorella Cuccarini a Heather Parisi fino a Mia Molinari. Mi parli di ciascuna di loro? E del rapporto che, con loro, hai instaurato?

Lorella è una lavoratrice instancabile. Caparbia, determinata, professionale. Nel tempo è infinitamente migliorata ed è un’artista in grado di interpretare ogni ruolo. L’ho incontrata qualche tempo fa come coreografo e non è per niente cambiata. Arriva sempre due ore prima degli altri. Chiede sempre un giorno in più di prova. È unica. È una macchina da guerra. Sei quasi intimorito dal suo stacanovismo. Heather al contrario, consapevole delle sue infinite doti, s’impegnava un po’ meno. Ma da lei ho imparato a stare davanti alle telecamere. Non le sfuggiva nulla. E aveva una grandissima grinta. Ci siamo anche scontrati in alcuni momenti. Ma sono state esperienze formative. Con lei ho ballato tantissimo. Ogni passo a due era un’esperienza sentimentale/emotiva non indifferente. Mia Molinari è una ballerina strepitosa. Ma, secondo me, non si è mai posta nella maniera giusta per il balletto in TV. Si preoccupava di essere una grande ballerina tecnica, virtuosa. Ma la TV non voleva solo quella. Ha pensato troppo alla tecnica e meno all’immagine. Era comunque, e resta una grandissima professionista.

Sei stato insieme a pochi altri danzatori come Silvio Oddi o Andrè De La Roche un punto di riferimento per tanti ragazzi che, crescendo e desiderando essere ballerini, volevano essere come te. Come ti poni di fronte a tutto questo?

Certamente m’inorgoglisce. Ma nel tempo non ne ho avuto consapevolezza. Io danzavo perché amavo farlo. Senza retro pensieri. Di certo, dopo la “Buona Domenica” del 1994 che in qualche modo mi consacrò al grande pubblico, capii che tanti vedevano in me un riferimento. Comunque tutto ciò mi ha onorato e mi onora.

Quando è avvenuto il passaggio dall’essere solo ballerino al mondo della coreografia?

Si è trattato di un passaggio graduale. Intorno al 2001 mi chiamarono come coach di danza in un programma che si chiamava “Operazione Trionfo”. Subito dopo la fine della trasmissione, uno degli autori mi presentò Carlo Conti. E da lì cominciò tutto. Nel frattempo, a trentotto anni, fui chiamato da Maria De Filippi per ballare nel programma “Amici” e accettai. Fu una sfida con me stesso perché tornai a ballare pur non essendo in un periodo di allenamento costante.

Pensi di aver colto tutte le occasioni che la vita ti ha offerto, oppure ritieni di aver perso qualche treno?

Sarei potuto andare in America. Avrei potuto studiare lì, perfezionarmi e forse, tornando in Italia, avrei potuto avere ancora maggiori possibilità.

Quali tra i tuoi colleghi stimi di più?

Andrè De La Roche e Silvio Oddi. Due professionisti immensi e due persone meravigliose.

Come insegnante cosa senti di poter dare ai tuoi allievi?

Ciascun insegnante può dare ai ragazzi qualcosa di diverso. Il mio obiettivo è far “sentire” ai ragazzi ciò che stanno ballando. Trasferendo nella loro danza un’emozione. Oggi ci sono bravissimi danzatori, ma pochi artisti.

Perché pensi sia così?

Non voglio essere retorico, ma oggi i ragazzi hanno qualsiasi cosa, e si concentrano meno sui sentimenti nei confronti di ciò che fanno. E la danza non è semplice. Se ho capito qualcosa nel corso degli anni, è che la tecnica è importante ma non è il numero di pirouettes che fa la differenza. Ciò che importa, dando per scontata una buona tecnica, è il cuore.

Cosa vuoi fare da grande?

Sono giorni che mi sto facendo questa domanda. Forse un grande spettacolo in teatro. Mi piacerebbe sviluppare ulteriormente le mie potenzialità. Ma sono ancora troppo giovane per pormi un quesito del genere.

Una lunga intervista trascorsa tra ricordi e risate, constatazioni dell’oggi e nostalgia di ieri. Quando saluto Fabrizio sono pieno di forza ed energia, perché lui per primo ha conservato intatti la stessa grinta, lo stesso entusiasmo e la medesima passione di quei balletti che hanno fatto storia. D’altronde, quando sei stato il re della danza in TV, lo rimani per sempre.

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