Cynthia Harvey: “Danzare è come respirare, ma è anche la capacità di esprimere ciò che si sente”

di Giada Feraudo
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Avere di fronte a me Cynthia Harvey, una delle ballerine che più ho ammirato fin da quando ero ragazzina, quando non mi stancavo mai di guardare lo stesso video infinite volte, è un bel sogno inaspettatamente realizzato. Il cielo è grigio, siamo in un bar rumoroso, ma non importa: la risata argentina di Cynthia è così limpida, il suo sorriso così sincero e le sue parole talmente vere e interessanti da far dimenticare tutto il resto.

è un grande piacere per me essere qui con Lei. Prima di tutto vorrei farLe sapere che il Don Chisciotte che Lei danzò con Michail Baryshnikov e l’ABT (American Ballet Theatre) è stata la prima videocassetta VHS che ho ricevuto in regalo quando avevo forse tredici anni: l’ho guardata così tante volte che ora ci sono molti punti in cui si può solo vedere una sorta di rumore bianco…

Fa sempre piacere sentire queste cose! Quando uscì questa registrazione esistevano soltanto vecchie videocassette VHS, poi la compagnia ci contattò entrambi per dire che avrebbero convertito la registrazione in DVD, ma all’epoca sapevamo a malapena cosa fosse un VHS e non avevamo la minima idea di come si potessero ricavare soldi da ciò. Fu però interessante perché mi fece conoscere a molte persone che volevano vedere il balletto.

Era la versione registrata per la televisione americana, giusto?

Fu registrata dal vivo, durante una performance. Era il 1984. Non avrei dovuto danzare io, avrebbero dovuto farlo altri due danzatori. Io quell’anno non avevo ballato Don Chisciotte nella tournée, perciò quando mi dissero “Vorremmo che fossi tu a farlo” andai in panico, naturalmente. Non avevo mai danzato prima di allora alcune delle variazioni e, dato che per me saltare era facile, Misha (Michail Barishnikov, ndr) volle che facessi la variazione con i salti, così mi toccò mettere insieme tutto molto velocemente. Alla fine nel primo atto la variazione con i salti andò nel migliore dei modi: penso che quando si è giovani e si può saltare come dei matti allora sia divertente, ricco di energia.

Più tardi danzai il balletto con altri partner, e ho dei video privati che non mostrerò mai a nessuno (qui, ride di cuore) con, ad esempio, Julio Bocca e altri, anche con Misha, e in alcuni di essi danzai meglio, mi piacerebbe che ci fossero video autorizzati di quei balletti.

Penso che quella sia una delle migliori versioni del Don Chisciotte che io abbia mai visto: personalmente quando penso a Don Chisciotte ho in mente la versione dell’ABT, ricordo anche diversi dettagli di questa produzione: per esempio nel primo atto, subito dopo la prima entrata, si ruppe il ventaglio… E qualcuno me ne diede un altro molto velocemente! (Ride di nuovo, di gusto)

è perché c’è così tanta energia, così tanta vita, procede molto velocemente, ci sono molti elementi come il vaudeville, il teatro musicale, la commedia musicale… penso che ci siano molti approcci possibili ma questo era quello di Misha…

è stata Lei a voler danzare fin da quando era bambina o sono stati i Suoi genitori a mandarLa a scuola di danza?

No, sono stata io! Li ho fatti diventare matti! Quand’ero bambina stavo in piedi di fronte alla televisione (qui, ritorniamo ai tempi in cui era in bianco e nero! – Nuova risata, sincera e divertita) tentando di imitare ciò che vedevo. Mia madre era preoccupata da ciò che facevo perché ero terribile, quindi i miei genitori decisero di mandarmi da un’insegnante locale e frequentai un corso estivo, dove semplicemente capii che danzare era la cosa giusta per me. La sentii giusta fin dall’inizio e sono stata davvero fortunata a trovare immediatamente un’insegnante molto valida e piccole classi in cui ricevetti molte attenzioni personali. La mia insegnante voleva una figlia femmina, aveva due figli maschi, e penso mi considerasse come se fossi sua figlia; passò molto tempo con me lavorando su piccole cose, e io spero di averla ripagata perché era semplicemente l’insegnante giusta, avevo i genitori giusti, era il tempo giusto, e tutto funzionò bene. Non è solo una singola cosa che fa un danzatore, è l’insieme di tutto.

Qual era il Suo ruolo preferito?

Direi che il mio ruolo preferito era Giselle. Prima di tutto perché non ci sono fouettés: per me era un buon inizio! E perché amo il periodo romantico del balletto. La maggior parte delle persone che mi hanno vista in Don Chisciotte non lo sanno ma io mi sento meglio a danzare Giselle, amo davvero questo stile, e poi c’è l’elemento attoriale. è meraviglioso quando puoi mettere così tanto in un ruolo: ci sono così tanti modi in cui può essere interpretato, è come una cipolla, togli via gli strati e conservi il meglio. In ogni performance scopri qualcosa di nuovo, qualcosa di te che puoi mettere nel ruolo.

Questo ruolo Le ha insegnato qualcosa?

Sì. Prima di tutto il sentimento del perdono. Penso che Giselle perdoni Albrecht alla fine e credo che ad un livello superiore, come persona, ognuno possa farlo nella vita reale. Si può decidere di andare nell’altra direzione come Myrtha, oppure di essere come Giselle: è importante avere il senso del perdono e non essere vendicativi nella vita reale. Ho imparato questo dal balletto, penso che si debba trovare qualcosa di sé stessi nel balletto e qualcosa del balletto in sé stessi, nell’ottica di farlo sembrare reale, di essere abbastanza abili, abbastanza veri per rappresentarlo, per il pubblico.

C’è un momento particolare nella Sua carriera, o anche quando era un’allieva, che ricorda più di altri?

Ci sono alcuni momenti in tutta la mia vita che non ricordo affatto, ed è strano. Ora, con i social media, è più facile perché le persone ti ricordano delle cose di te che forse avevi dimenticato … Il più grande momento che ricordo nella mia carriera fu quando Anthony Dowell mi scelse per fare Kitry per la prima volta. Anthony Dowell era il migliore all’epoca: voglio dire, avevo le sue foto sulle pareti della mia camera! Fra le belle esperienze prima di tutto c’è quella di danzare con Misha. Era un uomo di poche parole ma ciò che diceva era solitamente importante, e di quelle cose ricordo tutto.

Mi ricordo anche di Erik Bruhn: lavorò con noi all’ABT e io ero una sorta di uccellino, proprio alla fine del mio contratto da solista, e lui mi scelse per fare La Sylphide. Dovevo provare di fronte ad altre ballerine ma non ero mai stata in una stanza dove stavo imparando un ruolo principale insieme ad altre ballerine della compagnia. Ero completamente in soggezione, così lui mi venne accanto e mi disse: “Non ti avrei scelta se non avessi pensato che l’avresti potuto fare!” Penso di essere scoppiata in lacrime o di aver detto qualcosa come: “Oh mio dio! Lui è Erik Bruhn, è un dio del balletto!”

C’è una performance che ricorda in modo particolare?

Quando penso alle performance è strano perché non sono tangibili: la rappresentazione finisce e tu ricordi solo dettagli come “Non ho fatto quel fouetté”, o “Non ho chiuso quella quinta posizione”, cose a cui il pubblico non fa veramente attenzione. è molto difficile allontanarsi dalla performance e dire “Ho fatto bene” oppure “Non ho fatto bene” perché non siamo dei buoni giudici di noi stessi. Generalmente cercavo di non portare sul palco le mie emozioni della giornata, buone o cattive che fossero, ma ricordo una volta (penso di essere stata arrabbiata per qualcosa) in cui una maestra di ballo mi disse: “Hai danzato molto meglio con la tua rabbia!” Pensavo che stesse scherzando perché io non mi ero sentita bene per niente ma, al contrario, era molto seria!

Molte ballerine a un certo punto hanno deciso di interrompere la propria carriera ma dopo alcuni anni sono tornate alle scene: Lei non l’ha fatto.

No, non l’ho fatto. Per molte ragioni: se avessi avuto la facilit`a e la fisicit`a di una Sylvie (Guillem, ndr) o di un’Alessandra (Ferri, ndr) probabilmente avrei considerato la possibilit`a di continuare più a lungo, nonostante avessi un figlio, ma non le ho mai avute, per me non è mai stato così facile. Questo senza nulla togliere a loro: entrambe sono artiste meravigliose e so che lavorano duramente, non voglio dire che sia facile, ma un certo fisico è molto più adattabile al balletto rispetto ad un altro, e poi io avevo avuto un infortunio. Se non si hanno infortuni nel corso della propria carriera si hanno migliori probabilit`a di continuare il proprio lavoro quando si è più avanti negli anni!

Cosa considera la cosa più difficile nella sua carriera da ballerina?

Suppongo sia un problema di aspettativa. Voglio dire che l’immagine che una persona rappresenta, per esempio come ballerina, non è necessariamente l’immagine di quello che quella persona è nella vita reale. Quando sei una ballerina le persone molto spesso si aspettano che tu sia perfetta nella vita reale ma è soltanto una semplice aspettativa che hanno su di te.

Personalmente penso di non essere molto polivalente: avere una vita privata, così come essere una ballerina, era molto difficile per me, così ad un certo punto decisi di smettere perché non potevo essere una buona madre e una brava ballerina nello stesso tempo.

E come insegnante?

Come insegnante direi che forse è l’aspettativa, di nuovo. Prima di tutto ho imparato molto da Barishnikov, e ho vissuto e ballato negli anni Ottanta, l’et`a d’oro della danza: c’erano così tanti artisti meravigliosi e non avevano la tecnica che i danzatori hanno oggi. Penso che con la tecnica di oggi, se i ballerini potessero infondere nelle loro performance le cose che io ho visto, quel cuore, quell’anima, allora potremmo spingere la danza sempre più avanti. Ma al momento provo un certa frustrazione quando vado in uno studio o insegno in giro per il mondo e l’interesse è tutto su “quanti” e “quanto alto”: mi spaventa quando qualcuno è solo interessato a quanti giri fai o a quanto alta sia la tua gamba. Adesso l’aspettativa per i danzatori è di fare di più, più alto, più lungo, ma questo non è la danza, e mai lo è stato per me. Voglio vedere le persone muoversi, non è solo un passo o una gamba, non è un esercizio di isolazione, danzare è un movimento, ed è un verbo: muoversi! Viaggiare, prendere spazio, e anche l’abilit`a di esprimere ciò che si sente dentro.

Attualmente insegna in molti posti diversi, è spesso invitata nelle compagnie, viaggia molto …

Penso di essere una zingara in un certo senso, mi piace non stare a lungo in uno stesso posto. Penso di annoiarmi molto in fretta. Attualmente vivo nella campagna inglese, in un paese molto isolato, con mio figlio e la mia famiglia: quando lasciai la mia carriera da ballerina realizzai che a volte mi mancava il cameratismo, lo stare fra persone che pensavano nel mio stesso modo e ridevano agli stessi scherzi. è questo il motivo per cui viaggiare nelle grandi citt`a, in tante diverse scuole e compagnie, è bene per me.

Per Lei e anche per i danzatori che segue!

Ecco perché penso che per una compagnia sia così importante avere esterni che vengono, perché quando si vede qualcosa per molto tempo si perde la prospettiva e mi piace abbastanza avere una distanza, in un certo senso. Quando arrivo è come vedere qualcosa con occhi nuovi e credo sia questo il motivo per cui avere me di tanto in tanto funziona per le compagnie e per le scuole; conosco piuttosto bene il repertorio e posso arrivare con uno sguardo fresco. Penso che i danzatori lo apprezzino. Non è questione di quanto bravo sia un insegnante, perché nella maggior parte dei casi diciamo più o meno le stesse cose: è il modo in cui queste sono date, magari è leggermente diverso, ma generalmente i danzatori reagiscono positivamente, e questo aiuta lo staff del balletto e la compagnia, me inclusa. Tutto ciò di solito funziona anche sugli studenti perché quando un coach o un insegnante viene da fuori e resta per un periodo limitato generalmente procede in modo più veloce, e questo fa sì che gli allievi reagiscano più rapidamente. La mia fondazione è specializzata proprio in questo genere di insegnamento.

Qual è il nome della fondazione e come funziona?

“En avant”. Perché vogliamo andare avanti, non indietro!

Io e i miei colleghi andiamo nelle compagnie e nelle scuole e diamo masterclass. Personalmente viaggio molto, per dare ai danzatori l’opportunit`a di sentire cosa gli esperti hanno da dire. Lavoriamo anche su ruoli secondari, non è necessario fare per forza Odile! Lo scopo della fondazione è quello di dare un supplemento a ciò che i ballerini hanno nelle loro compagnie o nelle scuole perché a volte ci si concentra su cose diverse. Mi ricordo che l’anno scorso stavo provando con le ragazze, credo fosse Giselle, mostrai loro qualcosa e queste dissero: “Oh, non ne avevamo idea!” Questo succede perché l’informazione che hanno è a partire da un video e, invece di comprendere davvero l’intenzione, guardano una bella ballerina come la Zakharova ma non capiscono che ciò che lei fa non è necessariamente quello che loro dovrebbero essere e fare: il fatto che le sue gambe si alzino così tanto è solo la sua fisicit`a e quello è ciò che lei può fare con le doti che ha. Il fulcro è su qualcos’altro: stiamo raccontando una storia. Questo è l’obiettivo che ha fatto nascere questa fondazione.

Cosa pensa che un insegnate debba davvero fare per crescere bravi danzatori? Spesso sento gli insegnanti dire che i ballerini devono andare oltre la tecnica: cosa ne pensa?

Bisogna necessariamente cominciare con la tecnica. Per me la prima cosa è dimostrare agli studenti cosa è bello e cosa non lo è perché lo devono sapere: la danza è un’arte estetica.

Io cerco sempre di divertirmi in quello che faccio, mi diverto quando insegno, e la musica ha una parte importante in questo perché ha tempi diversi, si possono introdurre ritmi diversi, per me è la prima cosa. Quando gli studenti si sentono a proprio agio con la tecnica di base e con la musica, quello è il buon momento per mostrare quello su cui abbiamo lavorato perché lo scopo è di uscire sul palcoscenico, non di restare nello studio per tutta la vita. Io posso essere quella che è sempre in studio perché adesso non devo ballare! Penso che apprezzare il processo sia molto più interessante del risultato, perché questo non è tangibile e solitamente non lo si ricorda, come ho detto, ma nello studio si ricorda ogni cosa: ci sono molte altre persone che stanno facendo la stessa cosa che stai facendo tu, c’è uno specchio, cosicché è quasi impossibile che ci si possa dimenticare ciò che si sta facendo, e la cosa migliore che si possa fare è apprezzare davvero tutto questo. Per me è molto meglio che ballare!

Quali sono i Suoi futuri progetti?

Sono stata recentemente a New York e a San Francisco; il prossimo appuntamento sar`a a ottobre a Parigi: per il momento ho Nicholas Le Riche, Clairemarie Osta e Isabelle Guérin come coach. Forse ci concentreremo su Giselle, lui può lavorare su Albrecht, Nicholas è un tale artista!

Sarebbe bello se potessero aiutare le future generazioni, penso che loro vogliano offrire ai giovani e ai fan la possibilit`a di capire alcune complessit`a dei vari ruoli del balletto, quindi sono felice di poterli supportare e di produrre questo per loro.

Abbiamo una rubrica, nella rivista, che si chiama “Danzaperché?”, appositamente dedicata alle persone che vogliono dirci perché danzano e perché amano danzare. “Danzaperché” per Lei?

Perché non posso fare niente d’altro. è come respirare, io devo danzare, e questo risale a quando ero bambina. E poi perché nella musica posso trovare il mio posto, la mia pace. Era il mio destino? Semplicemente non lo so, e non mi interessa, perché non ho mai fatto altro, perciò non ho idea di cosa mai avrei potuto essere, forse un sindaco, o avere un ruolo accademico, chi lo sa? Chi può immaginarlo? è un’ipotesi.

Fuori il cielo è sempre grigio e inizia anche a piovere ma io sono davvero grata a Cynthia per il tempo che mi ha voluto dedicare, quasi rinunciando al suo pranzo, perché l’ha fatto con grande semplicit`a e disponibilit`a, senza avermi mai conosciuta prima e senza sapere nulla preventivamente.

All’immagine di una delle mie ballerine preferite da sempre sono contenta di poter affiancare quella di una donna meravigliosa, semplice e disponibile, che parla con il sorriso sulle labbra e che spero, in futuro, di avere la fortuna di incontrare ancora.

Crediti fotografici: Ian Whalen

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