Lia Courrier: “Quanto è alta la soglia del dolore nei danzatori?”

di Lia Courrier
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Chi ha scelto di formarsi con la danza ha dovuto anche affrontare la gestione del proprio rapporto con il dolore, una convivenza che comincia già dai primissimi anni di studio per continuare poi nell’ambito lavorativo. Io stessa ormai non ricordo più l’ultima volta in cui non ho sentito male già dal sortire dalle coperte, sono ormai arrivata alla conclusione che se una mattina mi svegliassi senza dolore, potrei avere seri dubbi sulla mia stessa esistenza. Dolori articolari, muscolari, traumatici,  degenerativi, cronici, dovuti alla postura, all’usura, passeggeri, stagionali, dolori localizzati sempre nello stesso punto o che si spostano attraverso il corpo: questa è la collezione che mi ritrovo dopo i miei 34 anni in compagnia della danza.

Le componenti che si muovono attorno, dietro e dentro al dolore possono appartenere sia alla sfera fisica che a quella emotiva: alcuni sintomi sono il risultato di anni e anni di movimenti eseguiti scorrettamente, o semplicemente dell’allenamento costante e continuo con cui abusiamo dei nostri corpi, ma altri possono essere la conseguenza di un sovraccarico emotivo nel rapporto con il nostro corpo danzante o dovuti allo stress e alla pressione psicologica che la scena a volte impone. Non è così semplice risalire all’origine dei sintomi che via via si succedono nelle nostre vite, e che spesso sono intimamente connessi tra di loro. Il movimento, però,  è per noi anche l’ unica cura davvero efficace, per questo abbiamo l’abitudine di cominciare le nostre giornate con una lezione di danza o con un training, che possa oliare bene le articolazioni, metterle in moto per trovare subito sollievo. È Madama Danza la medicina per il corpo e per il cuore ed è sempre da Lei che andiamo a cercare salvezza, guarigione e conforto, anche nei giorni più freddi e bui. Nella frase più citata di tutti i tempi, forse proprio perché contiene tanti livelli di verità stratificati in molteplici significati, Pina Bausch ci esorta: “Danzate, danzate, altrimenti siamo perduti”.

L’abitudine al dolore, però, comporta dei rischi, poiché negli anni la soglia di sopportazione si sposta sempre più lontano, rendendo il danzatore pericolosamente resistente. Il dolore è uno dei modi con cui il corpo comunica con noi, ogni piccolo sintomo è un iniziale campanello d’allarme che noi possiamo ascoltare o decidere di ignorare, magari inibendolo con dei farmaci. È così che i sintomi diventano sempre più forti, fino al punto in cui il corpo si ritrova costretto a prendere decisioni al posto nostro, ad esempio attraverso un evento traumatico. Quando la soglia del dolore si alza oltre un certo limite, tendiamo a sottovalutare questi segnali anziché ascoltarli o concederci del riposo quando il corpo lo richiede. La vita lavorativa spesa sul palcoscenico, inoltre, stimola il ramo ortosimpatico del sistema nervoso autonomo, con una risposta a livello immuno-endocrinologico e produzione di sostanze come l’adrenalina, che hanno un forte potere antidolorifico. Sotto l’effetto di questo bagno chimico, possiamo spingere corpo nella danza come se niente fosse, salvo poi, una volta smaltito lo sballo, ritrovare quel dolore ancora più forte e invalidante di prima.

Alla luce della mia esperienza come allieva, danzatrice ed insegnante, ho capito che quello della formazione è il momento in cui si è più vulnerabili, in cui è importante costruire non solo la tecnica e la forza, ma anche una propria etica del corpo danzante. Il nostro compito di formatori è quello di osservare come gli allievi gestiscono il dolore, guidandoli nello sviluppo della capacità di ascoltarsi e di interpretare i messaggi che il corpo invia costantemente, agendo di conseguenza, con rispetto. Questo li aiuterà anche ad avere un rapporto più sano con la danza, senza investirla di un ruolo di assoluta supremazia, al di sopra di tutto, della salute stessa del proprio strumento. Non dovremmo mai forzare gli allievi a danzare sul dolore, poiché alcuni di loro sono già naturalmente propensi ad andare avanti ad oltranza, in virtù di questo innato spirito di sacrificio e senso del dovere, che riscontro in quasi tutti coloro che abbracciano seriamente la professione coreutica. Spesso i ragazzi non sono ancora in grado di comprendere il dolore a livello sottile, noi possiamo aiutarli facendo loro domande, per permettergli di localizzare e descrivere quel dolore, ad esempio, cosa molto utile al cospetto di un osteopata. Quando li vediamo sofferenti per diversi giorni, possiamo invitarli ad assistere alla lezione, chiedendogli di fare osservazioni sul lavoro, dalla propria insolita postazione, per renderli comunque partecipi e mostrare loro che si può imparare anche guardando. Ovviamente consiglieremo di consultare uno specialista nei giorni successivi o non appena sarà possibile.

È molto importante educarli all’ascolto e non al massacro, fargli capire che non esiste nulla di più importante della salute : non il saggio di fine anno, non il concorso, l’esibizione o lo stage. Quando si manifesta un sintomo che noi riteniamo meritevole di attenzione, abbiamo la responsabilità di fare capire che è importante avere cura di sé, e che la danza offrirà altre occasioni in futuro, se il proprio strumento sarà conservato in salute.

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