Il “Faust” di Poda al Regio di Torino: “un tuffo vertiginoso verso un inconscio dolcissimo”

di Giada Feraudo
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Torniamo oggi a parlare della danza all’interno delle opere liriche, una presenza frequente ma declinata in modo molto diverso rispetto al balletto tradizionale. Nelle opere, infatti, il balletto non è, naturalmente, l’elemento principale, anche se talvolta alcuni momenti musicali sono esclusivamente dedicati a questa forma espressiva. è il caso, ad esempio, del “Faust”  di Charles Gounod: la prima rappresentazione dell’opera, che si svolse all’opéra-lyrique di Parigi nel 1859, non si presentava infatti nella forma attuale, assunta soltanto nel 1869, quando debuttò all’Opéra di Parigi, dopo dieci anni di crescente successo, profondamente rimaneggiato e con l’aggiunta dei balletti, a cui fu dato spazio nel quadro della notte di Valpurga (V atto), che la forma del sontuoso grand-opéra imponeva all’epoca.

Recentemente rappresentato al Teatro Regio di Torino nella versione di Stefano Poda, che molta critica ha definito visionario in ragione dell’atmosfera metafisica e trascendentale di cui è permeata tutta la regia, “Faust” ha letteralmente mandato in visibilio il pubblico sabaudo, talvolta un po’ parco di entusiasmo e di applausi. L’impatto visivo dato dalla scenografia, dai colori e dai costumi è grandioso: la scena si apre su un enorme anello mobile, simbolo dell’alleanza fra Faust e Mefistofele ma anche, per dirla con le parole dello stesso Poda, “il cerchio in cui si chiude l’esperienza della vita” che resterà il fulcro della scenografia per tutti i cinque atti dell’opera, mentre le pareti (anch’esse mobili) che chiudono lo spazio danno talvolta una sensazione claustrofobica, altre di spazio infinito e ultraterreno, a seconda dell’utilizzo delle luci.

I ballerini fanno la loro comparsa all’inizio dell’opera ma, per i primi quattro atti, si mescolano al coro e svolgono, in questa regia, perlopiù funzione di mimi, eccezion fatta per il valzer che chiude il secondo atto, in cui hanno maggiore visibilità e danzano un canone fatto di gestualità molto secca, senza particolare ampiezza di movimento e utilizzo dello spazio. Strumenti del sottile gioco di controllo condotto da Mefistofele, che ne guida il movimento delle braccia, nel complesso molto rigido e volutamente non naturale, i danzatori sembrano qui tradurre gestualmente l’aria “Satan conduit le bal” appena cantata dal personaggio.  

Nell’ultimo atto, che comprende una lunga parte musicale dedicata al balletto, siamo nel regno di Faust, sulle montagne dello Harz, nell’interminabile notte di Valpurga. I danzatori rappresentano qui le anime infernali, i loro corpi seminudi dipinti di nero. Molto interessante e originale l’idea di rappresentare le cortigiane e le regine dell’antichità che si offrono a Faust come se fossero un banchetto umano, in cui le “portate” scorrono davanti agli occhi del dottore trasportate da decine di braccia. La lunga scena successiva è interamente occupata dalla danza. Le anime infernali conducono una danza sfrenata nel regno delle ombre, danza scomposta, frammentata, fatta di movimenti improvvisi, violenti e sussultori che lasciano senza fiato in un crescendo vorticoso che tutto coinvolge e trascina, compresi gli applausi scroscianti del pubblico.

Stefano Poda, che ha curato anche le coreografie dell’opera, lasciando tuttavia spazio all’improvvisazione personale dei danzatori, definisce la sua interpretazione della notte di Valpurga come un sogno, idea mutuata da Goethe, che riecheggia le visionarie atmosfere shakespeariane e che il regista traduce, anche visivamente, come “un tuffo vertiginoso verso un inconscio dolcissimo”.

Immagine 1: Charles Castronovo (Faust) e Ildar Abdrazakov (Méphistophélès)

Crediti fotografici: Edoardo Piva, Ramella&Giannese

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