Per #storiedidanza, Giada Feraudo ci racconta “La Bayadère”

di Giada Feraudo
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Prima rappresentazione assoluta: Teatro Imperiale Bol’šoj Kamennyj, San Pietroburgo, 23 gennaio 1877
Balletto in tre atti (originariamente in quattro atti e sette quadri con apoteosi)
Coreografia di Marius Petipa
Libretto di Marius Petipa e Sergej Kudekov
Musica di Léon Minkus

Il balletto, ambientato in India e fortemente permeato di quell’esotismo così di moda nella seconda metà del XIX secolo, periodo delle grandi esplorazioni geografiche, ha origini piuttosto oscure e varie sono le ipotesi plausibili sulla vera genesi del lavoro.

Le prime incertezze si hanno sulla figura del librettista. Nella Pietroburgo zarista si usava, prima del debutto di un balletto, pubblicarne sul giornale il libretto, una lista di danze e un articolo che ne descrivesse le fasi creative. Nel caso de La Bayadère, però, non si citò nessun autore del libretto. Quando Marius Petipa allestì di nuovo il balletto nel 1900, la Gazzetta di San Pietroburgo pubblicò il libretto, questa volta facendo il nome dello scrittore e drammaturgo Sergej Kudekov come autore. Come aveva già fatto in passato Petipa scrisse una lettera di rettifica all’editore del giornale nella quale affermava che solo lui era l’autore del libretto, mentre Khudekov aveva contribuito in minima parte come direttore di scena.

In relazione alle fonti dell’intreccio un altro lavoro con temi simili, che narrava di un’India esotica e misteriosa e che può aver ispirato Petipa fu l’opera-balletto in due atti di Filippo Taglioni, intitolata Le Dieu et la Bayadère. L’interprete principale era naturalmente la celebre Maria Taglioni, e fra il pubblico c’era anche il giovane Marius Petipa. Fu un successo enorme per l’epoca, anche se l’unica parte di questo balletto che ancora si balla oggi è il Pas de Deux, più noto come Grand Pas Classique.

Un’altra fonte di ispirazione potrebbe essere un lavoro del francese Théophile Gautier, Sakuntala, un balletto su musica di E. Reier e coreografia di Lucien Petipa, fratello di Marius. Nel 1839 una compagnia di baiadere indiane visitò Parigi e lo scrittore scrisse quelle che forse furono le sue pagine più ispirate nel descrivere la ballerina principale della compagnia, la misteriosa Amani. Anni dopo, nel 1855, la ballerina si impiccò a Londra durante una crisi depressiva e per ricordarla Gautier scrisse il libretto di Sakuntala. L’opera debuttò a Parigi, all’Opéra, il 14 luglio 1858, e fu presto dimenticata. Una sorte ben differente spetterà invece a La Bayadère, destinato a diventare uno dei balletti più celebri e rappresentati di tutto il repertorio classico.

Nel corso degli anni il balletto La Bayadère fu allestito e rivisitato più volte, a cominciare dallo stesso Petipa, che ne presentò una nuova versione nel 1900, poi Agrippina Vaganova nel 1932, Rudolf Nureyev (solo la scena de Il regno delle ombre nel 1963 e, nel 1992, tutto il balletto, che fu la sua ultima coreografia), Natalia Makarova (solo la scena de Il regno delle ombre nel 1974 e tutto il balletto nel 1980).

Le redazioni successive alla prima non hanno modificato la sostanza generale dell’impianto coreografico, essendosi limitate a spostamenti di questo o quel brano o all’aggiunta di nuove danze con il solo intento di migliorare la drammaturgia della narrazione.

La Bayadère fu creato espressamente per Ekaterina Vazem, prima ballerina dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo. Petipa lavorò ininterrottamente a questa produzione per sei mesi. L’allora direttore dei Teatri Imperiali, il barone Karl Karlovich Kister, non aveva alcuna simpatia per il balletto e appena possibile diminuiva il budget. A quel tempo nella San Pietroburgo zarista l’Opera italiana era molto più in voga del balletto e la compagnia lirica monopolizzava lo spazio destinato per le prove, il teatro Imperiale Bolshoi Kamenny. La compagnia di balletto aveva solo due giorni alla settimana per le rappresentazioni mentre l’Opera andava in scena anche per sei o sette giorni. Petipa riuscì ad avere solo una prova generale in cui mettere insieme tutte le scene e le danze fino ad allora provate separatamente. Durante questa prova Petipa ebbe un contrasto con la prima ballerina riguardo alla sua entrata per il Grand Pas d’action del finale ed ebbe anche molti problemi con gli scenografi, che avevano costruito effetti teatrali complicati. A complicare la situazione, il barone Kister aveva aumentato il prezzo del biglietto in modo che fosse più caro di quello dell’Opera, già a sua volta piuttosto dispendioso, e questo avrebbe potuto essere un grosso deterrente per una larga parte di pubblico.

Il successo di questa produzione fu, contro ogni aspettativa, enorme, tanto che il balletto fu rappresentato per ben settanta volte, fino al ritiro dalle scene della Vazem, nel gennaio del 1884, ma venne successivamente messo da parte, fino a quando Petipa non ne rimontò una nuova versione, nel 1900. Fra i cambiamenti più importanti ci fu l’aggiunta degli allievi nella scena del Regno delle Ombre. Petipa cambiò l’ambientazione da un castello incantato ad un paesaggio roccioso e cupo sulle vette dell’Himalaya. I danzatori del corpo di ballo passarono da trentadue a quarantotto, dando l’illusione di spiriti che discendono dal cielo nella famosissima Entrata delle Ombre. Il quadro detto “delle Ombre” è un grande capolavoro coreografico, ambientato in un onirico regno dei morti, sublime esempio di atto bianco, dalle rigorose geometrie e dalle complesse figurazioni che si succedono, eteree, in un’atmosfera ricca di suggestioni, sapientemente creata dalla musica di Minkus. Il regno delle Ombre diventò uno dei grandi momenti del corpo di ballo e molte giovani ballerine soliste fecero il loro debutto danzando una delle tre variazioni delle Ombre.

 

La trama

La trama tratta temi particolarmente cari alle platee ottocentesche: esotismo, promesse amorose tradite, sentimentalismo, romanticismo, gusto per il soprannaturale.

Atto I

Prima di partire per una battuta di caccia alla caccia alla tigre il guerriero Solor incarica il fachiro Mahedawee di comunicare a Nikija, la bella baiadera, che l’attenderà al tempio. Da questo escono solennemente il Grande Brahmino e gli altri sacerdoti per celebrare il rito di adorazione del fuoco. I fachiri e le baiadere eseguono le danze sacre. Dimentico del suo ruolo e del voto di castità, il Grande Brahmino dichiara a Nikija il proprio amore, giurando di deporre ai suoi piedi tutte le ricchezze dell’India, ma ottiene il fermo rifiuto della ragazza. Intanto, mentre con le altre baiadere serve ai fachiri l’acqua consacrata, Mahedawee le trasmette segretamente il messaggio di Solor. Scesa la notte, Solor e Nikija si ritrovano al tempio e, davanti al fuoco sacro, egli le giura amore eterno, proponendole di fuggire insieme, mentre il Grande Bramino, nascosto nell’ombra, origlia il loro discorso nonostante la sorveglianza di Mahedawee.

Il mattino seguente il Rajah annuncia alla figlia Gamzatti che potrà finalmente vedere l’uomo da lui sceltole come sposo, il coraggioso guerriero Solor. Egli è colpito dalla bellezza di Gamzatti, ma il ricordo di Nikija e del giuramento fattole lo tormenta. Prima della festa di nozze, cui dovrà partecipare anche Nikija, in qualità di danzatrice del tempio, il Grande Brahmino si reca dal Rajah, chiedendogli udienza riservata per rivelargli la relazione fra Solor e la bella baiadera. Anche se adirato nei confronti di Solor, il Rajah non cambia la sua decisione: Solor e Gamzatti si sposeranno e la baiadera dovrà morire. A nulla valgono preghiere e minacce del Brahmino, che non si aspettava una simile reazione.

Intanto, Gamzatti, che ha origliato la conversazione, convoca Nikija per comunicarle che dovrà danzare alla sua festa di nozze e le mostra il ritratto del fidanzato. Alla vista di Solor Nikija si rifiuta di danzare e respinge sdegnosamente i regali che Gamzatti le propone perché rinneghi il proprio amore. Fra le due scoppia la gelosia e lo scontro si trasforma in una lite furibonda fino a quando la baiadera, in un impeto di rabbia, cerca di pugnalare la figlia del Rajah. Aiya, una cortigiana, suggerisce a Gamzatti di uccidere Nikija.

Atto II

Nel giardino del palazzo del Rajah si celebra il fidanzamento di Solor e Gamzatti con una splendida processione e un complesso divertissement che culmina con il passo a due dei fidanzati. Il Rajah ordina a Nikija di eseguire la danza beneaugurante. Mentre la baiadera danza, per ordine di Gamzatti un fachiro le porge un cesto di fiori in cui è nascosto un serpente velenoso che morde la fanciulla. Il Grande Bramino interviene e le offre un antidoto se accetterà il suo amore, ma Nikija rifiuta e continua a danzare ormai in preda al delirio, fino a quando non cade a terra priva di vita.

Atto III

Addolorato e tormentato dal rimorso per la morte di Nikija, Solor prega il fachiro Mahedawee di distrarlo dai suoi tetri pensieri. Sotto l’effetto dei fumi del narghilé e della danza magica del fachiro Solor cade in un sonno profondo. Il suo spirito vaga nel regno delle tenebre e dall’oscurità emergono le ombre delle baiadere morte, che come una lunga catena scendono dalle pendici dei monti. Fra esse Solor vede Nikija, alla quale giura che non la dimenticherà mai.

Risvegliatosi, il guerriero si precipita al tempio per chiedere perdono agli dei, ma è troppo tardi. La loro furia lo punisce per l’amore tradito, mentre fra terremoto, tuoni e lampi crollano le pareti del tempio.

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