Per #storiedidanza, Giada Feraudo ci racconta “La morte del cigno”

di Giada Feraudo
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Prima rappresentazione privata: San Pietroburgo, Teatro del Circolo dei Nobili Signori, 1905
Prima rappresentazione pubblica: San Pietroburgo, Teatro Marinsky, 22 dicembre 1907
Balletto in un’unica scena
Coreografia di Michel Fokine, ispirata al poema di Lord Tennyson The Dying Swan
Musica di Camille Saint-Saëns,da Le carnaval des animaux

La morte del cigno è un balletto di Michel Fokine su un pezzo composto da Camille de Saint-Saëns.

La nascita di questa breve coreografia, interpretata da molte grandi ballerine, si deve ad Anna Pavlova: nel 1905, appena diventata prima ballerina presso il Teatro Mariinskij, chiese a Fokine di creare per lei un assolo che aveva promesso di presentare, in un gala privato, con gli artisti e il coro dell’Opera Imperiale Russa, nella Hall dell’Ambasciata dei Nobili di San Pietroburgo. All’epoca Fokine era un appassionato del mandolino e per diletto aveva cominciato a studiare Il cigno, la pièce n. 13 del ciclo Le Carnaval des animaux di Camille Saint-Saëns, con l’accompagnamento pianistico di un amico. Propose quella musica, dove il violoncello espone il tema in tempo di 6/4 in sol maggiore sugli arpeggi di due pianoforti, e la danzatrice accettò. Nacque così quel piccolo ma prezioso gioiello della danza che è arrivato quasi intatto fino ai giorni nostri e di cui la Pavlova fece un vero e proprio cavallo di battaglia, che danzò migliaia di volte, fino alla morte, avvenuta prematuramente all’età di 49 anni, nel 1931.

Il titolo originario del balletto era Il Cigno ma in seguito, grazie alla intensa e drammatica interpretazione di Anna Pavlova, fu chiamato La morte del cigno. Tra il cigno morente e la Pavlova si stabilì una vera e propria identificazione: nel parco della sua villa di Londra la danzatrice teneva infatti un cigno cui era particolarmente affezionata e del quale studiava attentamente tutte le movenze per poterle riprodurre al meglio sulla scena. Si racconta addirittura che la Pavlova, sul suo letto di morte a L’Aja, gridò: “Datemi il mio costume di cigno!“.

La breve coreografia, che non prevede scene e nemmeno particolari difficoltà e virtuosismi tecnici, è tutta incentrata sull’aspetto interpretativo, e richiede quindi, da parte della danzatrice, grandi doti espressive. L’elegante e meravigliosa sequenza di movimenti creati da Fokine esprime tutto il dolore e la drammaticità di un uccello morente, solitario, un esempio di come la danza possa soddisfare non solo l’aspetto visivo attraverso l’estetica del movimento, ma penetrare anche nell’anima, generando emozioni e immaginazione.

Della versione originale di Fokine esiste una versione cinematografica, che non rende però adeguatamente l’idea del pathos della Pavlova, soprattutto perché la tecnica e gli strumenti di ripresa dell’epoca erano ancora a livello pionieristico.

Le più grandi ballerine hanno affrontato questo pezzo di straordinaria complessità ma poche l’hanno reso unico. Fra tutte, memorabile è rimasta l’interpretazione della ballerina russa Maya Plisetskaia, che con il suo inimitabile lavoro di braccia, così fluide da sembrare liquide, ha reso al cigno morente un’intensità eccezionale. Nel 1975, in una sua esibizione alla Scala di Milano, i tre minuti di assolo furono accolti da un quarto d’ora di ovazioni.

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