Ogni volta che rimetto cervello e corpo in modalità lavorativa è un po’ come se rientrassi in una stanza dopo molto tempo. Una stanza in cui spesso ho la sensazione che nessuno abbia mai aperto le finestre, tolto la polvere o buttato via i rifiuti mentre ero assente. Ritrovo tutto lì: gli oggetti a cui sono affezionata e da cui non mi separerei mai, ma anche il ciarpame che mi ero ripromessa di portare al macero, ma che per qualche strano motivo poi alla fine ho lasciato lì in un angolo.
I corsi di formazione per insegnanti riconosciuti dal CONI, ad esempio, fanno parte della seconda categoria.
In questi giorni non vedo che proposte formative, rivolte agli insegnanti, con i riconoscimenti più disparati, per cui si è scelto un linguaggio altisonante che in teoria dovrebbe dare lustro e attendibilità a ciò che invece poi si scopre essere un progetto di uno, massimo due week end, con un programma che non si potrebbe svolgere neanche in un decennio, compresso in un tempo troppo breve persino per sviscerare anche solo il primo punto del primo argomento. Normalmente non esiste una selezione di alcun tipo per accedere a questo tipo di corsi , quindi giunti a conclusione, a tutti viene rilasciato il cosiddetto ‘diploma’ o ‘qualifica’ con tanto di loghi, timbri e firme, che in molte scuole di danza fanno bella mostra di sé su una parete in cui vengono allineati come trofei. Un mercato veramente tossico, anche approssimativo nella maggior parte dei casi, diretto verso una delle categorie più vulnerabili del mercato del lavoro, con lo scopo di fare soldi. Per fortuna le persone non sono così sprovvedute, ma la mancanza di chiarezza in questo settore crea comunque una dispersione enorme in termini di energie, risorse finanziarie e chiarezza.
Ribadisco per l’ennesima volta che l’unica realtà in grado di rilasciare un titolo riconosciuto come Laurea è l’AND (Accademia Nazionale di Roma). Neanche la Scala, con il suo nome, il suo prestigio e la sua storia, può farlo. Quindi questi attestati con il timbro del CONI hanno come unico scopo quello di farvi rientrare nei contratti con le ASD. Il CONI, infatti, ha offerto alle scuole di danza un cospicuo sgravio fiscale, con i contratti che conosciamo bene, a patto però che tutti gli insegnanti siano inquadrati come ‘dilettanti’. Parlando a titolo strettamente personale, io non mi sento affatto una dilettante, né faccio questo mestiere come lavoro extra, dal momento che è la mia principale ed unica fonte di guadagno, e invece mi trovo costretta a mantenermi sotto una certa soglia di reddito oppure ad aprire una posizione Iva totalmente ingiustificata e sovradimensionata per il movimento di denaro che produco. Questo perché lo Stato permette questa irregolarità, sotto alla luce del sole, di inquadrare un professionista in ambito dilettantistico, mettendo una epica pezza su un buco grande quanto una casa, una cosa che poteva accadere solo alla categoria degli insegnanti di danza: drammaticamente frammentata e totalmente disinteressata a qualsivoglia diritto.
Quindi possiamo anche indignarci che il CONI accolga con sé, accanto alla danza, anche sport quali: lancio del formaggio, lancio del ruzzolone, Dama, Morra o la Lippa, ma fatto sta che queste pratiche, legate alla cultura popolare, sono nel posto giusto. Siamo noi ad essere nel posto sbagliato, quali professionisti di un linguaggio artistico e non dilettanti di una disciplina sportiva. Il risultato? Presto detto: nelle scuole di danza ormai sono state totalmente integrate nell’offerta discipline che con la danza hanno davvero poco a che fare, molto più vicine ad un concetto di fitness, quali Zumba, Balla e Brucia, oppure quelle forme d ballo che sono nate fin dall’inizio come ‘Danza Sportiva’, per le modalità con cui vengono praticate e portate davanti al pubblico, ossia balli da sala o latino americani. Ormai si entra nelle scuole di danza per fare sport e non per studiare danza. In questo contesto caotico, dove il confine non è più liquido, ma totalmente scomparso, chi propone la danza come un’attività creativa basata su consapevolezza, disciplina, ripetizione e studio quasi maniacale del dettaglio, spesso ha le classi vuote o comunque la sua proposta viene percepita dai genitori come qualcosa di troppo serio e impegnativo per i propri figli, che hanno bisogno di ‘svago’.
In situazioni e contesti migliori del nostro, la formazione per chi sceglie di insegnare dura almeno due anni, e le discipline che compongono il programma non sono solo quelle legate alla tecnica della danza, ma anche ad altri aspetti altrettanto importanti, se non di più, come formazione musicale, pedagogia applicata, anatomia, fisiologia e tante altre competenze fondamentali per essere un insegnante di danza e non un collezionista compulsivo di attestati ‘riconsciuti’. Insegnanti consapevoli formano allievi consapevoli.
Il riconoscimento, infine, dovrebbe arrivare dalle sedi istituzionali statali e non da un ente privato come il CONI. Certo è che poi vai a guardare meglio e trovi di quelle cose da far accapponare la pelle, come un progetto della Regione Piemonte, del 2014, che propone un monte di 800 ore ‘post diploma’, in cui c’è scritto (cito testualmente): “il danzatore contemporaneo può lavorare all’interno di produzione teatrali, cinematografiche, televisive, oppure come artista di strada”. Ecco. Con enorme stima e rispetto per tutti gli artisti di strada, che hanno scelto questa modalità espressiva, per chiudere con una nota di cinica ironia, direi che questa è l’unica affermazione attendibile in quel terribile guazzabuglio che ho letto sul sito della Regione: a continuare su questa china finiremo proprio tutti per strada.