Romeo e Giulietta, un titolo sempreverde nell’interpretazione di Petr Zuska e Federico Ievoli

di Giada Feraudo
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Una lettura originale che nello stesso tempo recupera alcuni elementi della tradizione, spesso espunti da altre versioni, quella del Romeo e Giulietta di Petr Zuska, in scena in questi giorni presso il Teatro Nazionale di Praga, con repliche fino al mese di febbraio.
Questo balletto ebbe la sua prima rappresentazione assoluta il 14 novembre 2013 presso l’Opera di Stato e attualmente è stato di nuovo ripreso.
Ad essere sinceri il titolo, celebre in tutto il mondo, è sempre stato fra il balletti più di successo presso il Teatro Nazionale di Praga, grazie anche al fatto che ebbe la sua prima mondiale proprio nel 1938, nell’allora Cecoslovacchia, presso il Teatro Nazionale di Brno.

«C’è un bel gruppo di italiani nella compagnia» spiega Federico Ievoli, interprete del personaggio di Romeo «il primo ballerino Giovanni Rotolo, il solista Francesco Scarpato, il mezzo solista Gianvito Attimonelli e i membri del corpo di ballo Domenico Di Cristo, Danilo Lo Monaco, Anna Dal Castello e, naturalmente, il sottoscritto».

A Federico Ievoli abbiamo rivolto alcune domande per conoscerlo meglio e per poter capire più da vicino la produzione.

Federico, raccontaci in breve il tuo percorso, e come sei arrivato nella Compagnia Nazionale di Praga.

Il mio percorso inizia a Napoli, la mia città natale, dove, fin da bambino, ho studiato presso la Scuola di Ballo del Teatro San Carlo. Dai dodici ai quattordici anni ho frequentato la scuola “Everydance” di Sant’Arpino (provincia di Caserta), diretta da Antonietta Schmitz Genovese, con Dorina Iancu come docente per il classico e Cristina Monticelli per il moderno. A quindici anni sono poi entrato al sesto corso della Scuola di Ballo della Scala, dove mi sono diplomato nel 2011. In seguito è stato molto difficile trovare lavoro e, dopo aver sostenuto parecchie audizioni senza esito positivo, sono entrato a far parte del Balletto di Siena diretto da Marco Batti, dove sono rimasto per tre anni, facendo molta esperienza nella danza contemporanea. A ventuno anni sono entrato a fare parte del Czech National Ballet sotto la direzione di Peter Zusk, precedentemente direttore artistico della compagnia nonché coreografo di Romeo e Giulietta e ormai questa è la mia quarta stagione a Praga. Da due anni la compagnia è diretta da Filip Barankiewic, un polacco ex principal dancer presso lo Stuttgart Ballet. Sono molto contento, è una compagnia molto grande che comprende ben ottantadue elementi, con un repertorio che spazia dai classici quali La Bayadère, Il Lago dei cigni, La fille mal gardée, Lo Schiaccianoci, Serenade e altri, a coreografie neoclassiche e contemporanee di artisti come Ohad Naharin, Ekman, Kylián, Bigonzetti, Gatà. La compagnia danza in più di centoventi spettacoli ogni anno e, quello che è più interessante, offre davvero moltissime opportunità per i giovani.

La trasposizione scenica di questa versione di Romeo e Giulietta è molto fedele alla tragedia shakespeariana, di cui integra personaggi ed episodi altrove espunti (vedasi, ad esempio, la regina Mab). Quali sono gli aspetti salienti che il coreografo ha voluto sottolineare in modo particolare e quali indicazioni ha dato in fase di montaggio dello spettacolo?

Mi piace molto questa produzione di Romeo e Giulietta pur non essendo così tradizionale. Il ruolo affidato alla Queen Mab (che, tra l’altro, Shakespeare cita solo in un breve passaggio) è un’idea originale che funziona e serve da filo conduttore per tutto lo spettacolo, ha un po’ un ruolo fatale per tutti gli attori. Del resto l’intera vicenda fa perno sul destino al quale siamo tutti sottomessi e sulle opposizioni come amore e morte, bene (Frate Lorenzo) e male (Queen Mab), Montecchi e Capuleti (i colori viola e rosso, ragazzi e ragazze in due gruppi distinti e separati) e le maschere che rappresentano la casa di appartenenza indossando le quali si è obbligati a fare scelte che non sempre sono dettate dal cuore ma sono più spesso imposte da altri. Questo ancora oggi un messaggio importante, sempre attuale. Purtroppo non ho avuto l’opportunità di preparare questo ruolo con il coreografo, e nemmeno di assistere alla creazione perché all’epoca non ero ancora membro della compagnia, ma ho avuto la fortuna di avere coach che mi hanno seguito molto attentamente nella preparazione del personaggio di Romeo. Da quando sono qui ho inoltre avuto opportunità di ballare diversi ruoli minori da solista o mezzo solista ma questa è stata un’esperienza unica e importantissima per la mia crescita artistica.

Che personaggio è Romeo in questa versione? È una vittima del destino oppure è consapevole delle proprie decisioni?

Petr, il coreografo, è una persona molto sensibile e semplice, il suo Romeo è quasi un ragazzo di oggi, che lotta per il suo amore a qualunque costo, senza inutili fronzoli, sognatore ma allo stesso tempo con i piedi per terra. Consapevole delle sue decisioni fino a che il destino interviene inesorabilmente portandolo via con sé.

Ci tengo a sottolineare che non sono il primo Romeo italiano, il solista napoletano Francesco Scarpato era stato scelto per ballare la seconda prima nel 2013 e ancora oggi continua a interpretare il ruolo, danzato successivamente anche da Guido Sarno.

Ti manca lavorare in Italia?

Certo, mi mancano il mio Paese, la mia casa, la mia famiglia, ma non è veramente un bisogno perché so che per le vacanze ci tornerò, oppure i miei cari mi verranno a fare visita, quindi tutto sommato sono tranquillo anche vivendo all’estero.
Ho comunque avuto esperienze lavorative anche in Italia oltre che fuori e ho cercato di trarre il meglio da entrambe le situazioni su tutti i fronti invece di abbattermi.

Cosa manca in Italia nella danza, dalla tua prospettiva di giovane danzatore che lavora all’estero?

Sulla questione danzatore italiano all’estero vorrei spendere alcune parole in quanto ci sono opinioni contrastanti: alcuni ballerini che lavorano in Italia si trovano bene pur incontrando delle difficoltà mentre ho letto più di una volta che coloro che adesso lavorano all’estero non tornerebbero più in Italia perché non ci sono abbastanza opportunità lavorative. La mia opinione è un po’ nel mezzo. Sicuramente in Italia per mancanza di fondi, di educazione culturale e per il sistema non è facile intraprendere questo mestiere, ma questo non significa che si lavori male, gli enti lirici hanno un alto livello e, sinceramente, se smettessero di chiuderli ci farebbero un piacere! D’altro canto all’estero la valorizzazione del danzatore è alta, il pubblico è più numeroso, ci sono più fondi per la cultura e la quantità degli spettacoli è maggiore. Ci sono però anche degli aspetti negativi come quello di non essere nel proprio Paese, di non poter parlare la propria lingua o il fatto di sentirsi “stranieri”. A mio avviso pro e contro in tutti e due i casi, sta ad ognuno cogliere l’opportunità che si presenta in quel momento. Per quanto mi riguarda sento che Praga è ancora il mio posto, posso imparare tanto e fare ancora esperienza.
A parte degli aiuti economici per la danza, quello che forse manca in Italia è la tradizione di andare a teatro. Detta così sembra un controsenso ma se riflettiamo bene vediamo che abbiamo una tradizione plurisecolare prosa, concerti, opera e balletto, però a volte la mia sensazione è che tutto questo sia soltanto accessibile ad un’élite di persone, complici sicuramente anche i prezzi dei biglietti, talvolta davvero proibitivi. Ad esempio, qui a Praga abbiamo diciotto recite di Schiaccianoci durante il mese di dicembre, e tutti i cittadini sono abituati a venire a teatro. Le rappresentazioni sono sempre sold out, vengono intere famiglie con i bambini, i nonni e non importa se ne capiscono o meno. Che sia il giorno il Natale o di Capodanno, la gente viene a teatro.
È certamente una questione di mentalità ma personalmente sento che negli ultimi anni qualcosa in Italia è cambiato, speriamo bene!

La versione di questo Romeo e Giulietta è stata concepita in stile Neoclassico e si basa essenzialmente sulla presenza e sulla determinazione dei contrasti e degli opposti, come sottolinea il coreografo Petr Zuska, il quale dichiara anche che al momento della creazione di questo balletto il suo obiettivo era quello di creare una produzione che possedesse qualcosa di unico e soprattutto di differente, che non fosse ancora stato visto. A cominciare dal personaggio di Frate Lorenzo, che nella maggioranza dei casi è soltanto una comparsa, un ruolo di passaggio, mentre invece qui è simbolo della fiducia umana in dio, nel bene e  nell’ordine. La sua controparte è Queen Mab, una presenza impalpabile, appartenente al regno delle ombre e dell’irrazionale, menzionata nella tragedia di Shakespeare nel monologo di Mercuzio, uno dei più lunghi ed intriganti della pièce. Queen Mab non è per forza un personaggio negativo, che rappresenta il male, ma è il simbolo dell’imprevedibile, una sorta di lato oscuro, che può essere negativo ma anche positivo allo stesso tempo. È la personificazione del puro principio femminile, che comporta necessariamente la consapevolezza del suo opposto. Non è un caso che il fondale della scena sia dominato dai profili di un volto maschile e di uno femminile che si aprono e si chiudono quasi in un bacio, per permettere le entrate e le uscite, quasi sempre di Mab, e dei personaggi che lei trascina via con sé.

Nel corso dello svolgimento delle vicende Mab è colei che, per così dire, “tira le fila” dei fatti, e proprio in quanto imprevedibile, compare in scena anche nei momenti più inaspettati. Quando entra Mab il tempo si ferma, e la sua presenza è sempre indice di qualche cambiamento; normalmente non è percepita ma quando qualche personaggio in scena la sente è perché il suo stato sta cambiando: Mercuzio si rende conto della presenza di Queen Mab nel momento del trapasso, così come anche Tibaldo e lo stesso Romeo.

Nel corso di tutto lo spettacolo anche gli spettatori sono trascinati dall’intensità della storia in questo mondo ai limiti fra il reale e l’onirico, dove i confini sono spesso labili, dove il tempo è sospeso e Queen Mab sussurra agli animi.

Crediti fotografici: Martin Divišek.

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