Perché un danzatore contemporaneo dovrebbe prendere lezioni di danza classica?
Questa è una domanda che ricorre spesso nel mio lavoro. Nella percezione di chi fa ricerca del movimento, questa disciplina spesso viene vissuta come una forzatura innaturale del corpo in forme predefinite e puramente estetiche. In molti sostengono che sia addirittura dannosa per la ricerca del movimento, perché irrigidisce il corpo e forza sulle articolazioni. In generale il pensiero comune è che per un danzatore contemporaneo sia inutile studiarla costantemente. A queste osservazioni rispondo che si tratta pur sempre di danza, e che molto dipende dalla modalità con cui si pratica: quando la classe di un maestro è formata da ballerini classici, ovviamente dovrà tenere conto delle loro necessità, diverse da quelle di un danzatore contemporaneo, per questo potrebbe risultare inappropriato seguire quel tipo di lezione. Esistono ormai anche in Italia, però, il che vuol dire che altrove esistono già da tempo considerevole, classi indicate come 'balletto per il contemporaneo', appositamente formulate per chi ha bisogno di un lavoro diverso sul corpo. L'utilità del training della danza classica è confermata dalla sua presenza in qualsiasi formazione professionale per la danza contemporanea. Infine si tratta di muovere pur sempre lo stesso corpo, con una intenzione differente, certo, ma è un fatto innegabile che si tratti delle medesime forze biodinamiche che lo governano, così come sono sempre le stesse possibilità peculiari dello strumento: questo punto di vista sul corpo danzante consente di eseguire qualsiasi danza con rispetto e coerenza.
Una delle tante qualità che la danza classica dona a chi la pratica, ad esempio, è una grande chiarezza dell'organizzazione del corpo nello spazio, delle direzioni in cui si rivolge non solo nella sua interezza, ma in ogni suo singolo segmento. Vaganova e Cecchetti hanno dato dei punti di riferimento molto precisi per orientarsi nell'esecuzione di ciò che nel codice vaganoviano viene chiamato epaulement, che tradotto suonerebbe come spalleggiamento o spallamento, in virtù del quale il corpo si rivolge nelle varie direzioni spaziali, donando alla figura notevole dinamismo e rendendo ancora più seducente l'estetica di questo linguaggio grazie alla tridimensionalità e alla profondità.
Questi punti di riferimento si trovano all'esterno del corpo, su un quadrato che circoscrive il danzatore secondo una numerazione per angoli e lati, ma trovo interessante osservare come, per potersi dirigere con precisione verso questi punti, sia necessario introiettarli portandoli all'interno. È importante precisare che questa osservazione sullo spazio riguarda esclusivamente il corpo e il quadrato, poiché qui si considera solo lo spazio immediatamente attorno al danzatore e alla sua danza, non c'è riferimento allo spazio scenico nella sua totalità, come nel formidabile e sempre attuale trattato di Doris Humphrey, 'the art of making dances', dove si parla anche del peso comunicativo di un corpo che occupa un dato punto dello spazio scenico: cosa trasmette, ad esempio, una danza che inizia al centro del palcoscenico, oppure nell'angolo più lontano dal pubblico, in relazione anche alla direzione in cui si è rivolti. Questo non vuol dire che nella coreografia ballettistica non si tenga conto di questo punto di vista sullo spazio, ma credo che l'indagine più preziosa e approfondita del balletto, sulla questione spaziale, sia proprio quella che riguarda i riferimenti interni al corpo. Quando diciamo croisé, effacé, en face, non stiamo orientando il corpo in relazione allo spazio esterno, ma usiamo dei riferimenti interni, grazie alla visualizzazione del quadrato: una efficacissima astrazione mentale. Questa abilità, che va a lungo esercitata prima di diventare un automatismo eseguito con precisione, indispensabile per ogni componente di un corpo di ballo, è molto utile anche per sostenere una rapida memorizzazione delle sequenze, per una corretta espansione della forma nello spazio, per la chiarezza del proprio fraseggio danzato, per facilitare la trasposizione di una sequenza da destra a sinistra, oppure dirigendosi verso un altro fronte: richieste, queste, che vengono fatte in ogni ambito che abbia a che fare col movimento, per questo penso che seguire regolarmente la lezione di balletto possa donare preziosi strumenti ad ogni tipo di danzatore.
Personalmente utilizzo molto i cambi di direzione, spesso già dalla sbarra, ma soprattutto in centro, dove a volte sovverto ogni convenzione, lasciando che un'intera parte dell'esercizio venga eseguita con il corpo di spalle rispetto al fronte principale. Trovo che questi elementi siano, insieme a un frequente cambio di peso, e una varietà dal punto di vista ritmico-musicale, formidabili per ottenere un corpo pronto e reattivo, capace di una danza ricca di contrasti, sorprendente da eseguire e da guardare. Credo di aver compreso che, per la tipologia di danzatori con cui solitamente lavoro, sia molto più utile dedicarsi a questi aspetti che non altri più legati ad una idea performativa.
Penso che i ballerini dovrebbero regolarmente prendere lezioni di danza contemporanea, contact e improvvisazione, per arricchire il proprio vocabolario e sostenere questa meravigliosa evoluzione che il balletto sta vivendo, ma sono convinta anche che i danzatori contemporanei potrebbero solo trarre giovamento da una buona, intensa, tonificante lezione di danza classica.