Quante volte, poco prima dell’inizio di uno spettacolo, ascoltiamo una voce che esorta a fare silenzio perché “lo spettacolo sta per iniziare”? Ma oggi, sempre più spesso assistiamo a performances il cui inizio è il silenzio: ovvero, ballerini che si muovono sul e in silenzio. Movimenti lenti o veloci, sfioramenti lievi o invadenti e all’improvviso un contatto appena percettibile che funge da play per il brano musicale. Perché questa scelta? È supportata da idee solide o rientra soltanto in una tendenza assai diffusa?
La modernità possiede una sua particolare fonosofera di cui noi abitanti ne siamo completamente assuefatti. Il contesto relazionale di oggi è funestato da suoni e voci ridondanti. Nel 1997 l’antropologo David Le Breton, in un suo libro dedicato al tema, sottolinea il carattere di relazione che è proprio al silenzio che non implica di per sé una chiusura verso il mondo. In quanto contesto di ascolto e voce implicita, possiamo considerare la situazione in cui i danzatori si muovono sul e in silenzio come una possibilità più facile di relazione con il pubblico a cui è richiesta una postura di apertura e di ascolto verso ciò che accade di fronte a sé. È un momento di raccoglimento ma anche una condizione necessaria per porre attenzione al mondo che ci circonda. Il movimento strutturato sul silenzio può tradursi in esercizio di relazione e socialità.
Il silenzio rende anche le immagini più eloquenti e attrattive. Il filosofo francese Gaston Bachelard scrive che “per comprendere il silenzio, la nostra anima ha bisogno di vedere qualcosa che tace.” È difficile stabilire se l’esperienza di danzatori in scena, privi di un accompagnamento musicale, possa rappresentare “qualcosa che tace”. Il corpo ha un rumore “biologico” prodotto da tutti i ritmi degli organi coordinati dal battito cardiaco, e produce suono attraverso la collisione delle sue membra. Ma l’eco antico e sempre attuale dei corpi necessita di un ascolto paziente per essere udito. Questa volta al pubblico è richiesto un atteggiamento di umiltà e pazienza. Forse è anche un tentativo di interrogare le voci che ci abitano e cercare di renderle udibili. Altra ipotesi è che il silenzio in scena rappresenti un suono compatto e sordo che assorbe tutti i rumori che ci circondano, ma comunque non esercita sui danzatori un potere inibitorio poiché conservano, o almeno così sembra in alcuni casi, il controllo del loro corpo e delle loro percezioni.
La questione è capire che cosa di tutto questo, anche solo una parte o di più, vi sia nelle intenzioni dei coreografi e dei danzatori. Spesso le parti danzate sul e in silenzio sono particolarmente poetiche e suggestive. Ma altrettanto frequentemente quest’impressione nasconde una pochezza di contenuti e per questo decade dopo pochi secondi, sostituita dalla noia e dalla passività.
In ogni caso, il silenzio può rappresentare un esercizio di ascolto e di visualizzazione e stimola la nostra immaginazione. Le sue qualità estetiche spesso vengono ignorate o per meglio dire taciute anche dalla danza, nonostante ne faccia uso e a volte un abuso.