Avete mai notato come la danza sembri comunicare sempre attraverso le gambe e in particolare i piedi? In una considerevole percentuale di materiale promozionale di eventi di danza si vedono piedi o gambe, e quanto più queste sono arcuate e con il collo del piede accentuato, quanto più attirerà gli sguardi di quegli inguaribili feticisti dei danzatori. E pensare che la danza delle origini del balletto prevedeva che le gambe fossero coperte fino alle caviglie! Tutta l’enfasi era focalizzata sulla parte superiore del corpo: la grazia delle braccia, la delicatezza delle mani, l’espressività delle spalle e un viso serafico. Non che le gambe non si usassero, anzi, la danza barocca è ricca di salti e passi velocissimi, ma si guardava più alla qualità di movimento delle gambe che non alla loro bellezza puramente estetica e meccanica. Oggi invece le gambe (ormai sempre scoperte) e i piedi sono diventati veri e propri oggetti di culto.
Nel mio lavoro di insegnante ho fatto una scelta di principi, ossia guardare al corpo danzante da un punto di vista attento alla fisiologia, attingendo alle ragioni che stanno alla base della visione contemporanea sul movimento, proprio perché lavoro con corpi che spesso non hanno quelle caratteristiche fisiche richieste dal codice ballettistico. Ho fatto però anche una scelta di forma, rimanendo fedele il più possibile allo spirito e al senso del movimento, secondo la visione originale di questa forma d’arte. Per questo mi piace sempre riportare l’attenzione alla parte superiore del corpo, non solo per la pulizia e l’eleganza delle forme, ma anche aiutando gli allievi a trovare una ragione, un proprio racconto all’interno di quei movimenti, scoprendo che, infine, si tratta di un linguaggio ancora attuale se lo si affronta tenendo conto del punto di vista storico-emozionale delle origini. In più rassegnamoci: siamo abituati a guardarci negli occhi nel momento in cui comunichiamo con l’altro, quindi è secondo me indiscussa l’importanza assoluta di curare la parte superiore. Solo i danzatori guardano i piedi degli altri danzatori quando sono seduti in platea.
Il viso, in particolare, è quella parte del corpo che spesso sfugge al controllo. Possiamo mantenere nel proprio campo percettivo la testa, come unità, ma l’espressione del viso è proprio qualcosa che il più delle volte non viene considerata nella progettazione del movimento. Muoviamo la faccia per azione di muscoli specifici, che funzionano esattamente come ogni altro muscolo, quindi facendo rientrare anche il viso nella lista di cose da controllare, mentre danziamo, ci renderemo conto di quante volte la ‘maschera’ diventa il luogo in cui prendiamo una forza che in realtà andrebbe cercata altrove. Consapevolmente.
Negli anni ho osservato delle macro categorie di espressioni, che si svelano del tutto spontaneamente quando l’attenzione è focalizzata nella memoria di una sequenza o nell’esecuzione di un passo dall’alto coefficiente di difficoltà.
1.’lo scantazzo’, che in siciliano (la mia lingua madre) vuol dire ‘lo spavento. Si manifesta quando si contrae la fronte, nel tentativo di allungarsi il più possibile verso il soffitto, e le sopracciglia salgono talmente in alto da far strabuzzare gli occhi, congelando il viso in una espressione di puro terrore che mi porta sempre a dare un’occhiata in direzione di quello sguardo, per assicurarmi che per caso non ci sia un lupo mannaro o uno zombie alle mie spalle che tenta di attaccarmi.
2.’Thut-Ank-Amon’, ossia la mummia egizia. Questa compare quando la tensione nel collo, spesso nel tentativo di contrarre ogni muscolo dall’attaccatura del capelli fino alla punta delle dita dei piedi, blocca la testa, che non riesce più a girare liberamente. La persona di solito si limita a roteare gli occhi, prigioniera nel sarcofago, quel tanto che gli basta per controllare se c’è qualcuno nelle immediate vicinanze, evitando collisioni. Di pirouette manco a parlarne, ovviamente: di solito il soggetto imprime una spinta utile per farne trecento, ma non riesce neanche a completarne due poiché… no scatto di testa, no party.
3.Il ‘non morto’. Espressione che si mostra quando la persona smette di respirare. Puoi fargli la prova dello specchietto e niente, non si appanna. Mettere una candela accesa davanti al naso e la fiamma non si muove. Non respira. Questi soggetti per me sono un vero mistero: se chiedo loro di respirare diventano molli come budini e non riescono a fare più nulla, ma trovano la forza nella ritenzione. Campioni di apnea.
4.il ‘ghiottone’. Questa è l’espressione che appare quando la lingua fa capolino dalle labbra, di lato, nello sforzo di eseguire una danza. Molto pericolosa quando si fanno i salti: ogni volta che vedo un ghiottone saltare, mi aspetto di vedere cadere per terra un pezzo di lingua da un momento all’altro, dimenticata sotto alla ghigliottina dentaria. Nel dubbio potrebbe essere utile forse lanciargli una caramella al volo.
5.La ‘saudage’. Il danzatore melanconico: sente molto pathos nel muovere il corpo, e questa sua visione della danza si materializza attraverso una espressione di tristezza del cuore, di pena dell’anima, che gli si stampa in faccia non appena partono gli accordi di preparazione. Smuove dentro di me la tendenza a rassicurarlo, dicendogli che va tutto bene e che la morte di Giselle è solo una finzione teatrale.
Ogni riferimento a persone reali è puramente casuale e soprattutto sappiate che io per prima faccio tutte queste espressioni concentrate in un’unica, mostruosissima faccia.