Si riparte: come arrivate voi alla prima lezione dell’anno?

di Lia Courrier
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Rieccoci sulle pagine di DHN per cominciare una nuova stagione insieme dopo la pausa estiva. Siamo giunti al momento in cui si ritorna in sala per affrontare un nuovo anno di studio e di lavoro con la nostra amata Madama Danza. Questo è il momento in cui la voglia di applicarsi allo studio raggiunge i livelli massimi: il corpo del danzatore è abituato a muoversi ogni giorno e mostra insofferenza verso l’inattività prolungata, cercando il movimento come l’aria che si respira. Per questo credo fermamente nello sviluppo progressivo di un training personale, che ogni allievo dovrebbe fare, anche con l’aiuto degli insegnanti, per avere a propria disposizione un allenamento anche quando non ci sono lezioni da poter frequentare.

La lezione di danza fonda le sue basi su una relazione di tipo frontale tra allievo ed insegnante: il maestro assegna gli esercizi e gli allievi li eseguono. Uno elargisce le correzioni e gli altri provano finché non riescono a metterle in pratica. L’allievo si abbandona alla guida dell’insegnante, e questo è fondamentale per un buon apprendimento, ma allo stesso tempo in questo modo si inibisce lo sviluppo di quella autonomia necessaria per ascoltare le proprie necessità e il proprio potenziale. Si rimane spesso proiettati verso l’esterno, cercando di seguire pedissequamente le indicazioni dell’insegnante, senza favorire un ascolto profondo di ciò che arriva dall’interno. Per questo può capitare che, in assenza di una lezione da seguire, l’allievo non sia in grado di allenarsi da solo, che non sappia cosa fare senza una guida.

Bisogna sapere che un corpo con una abitudine all’allenamento costante perde velocemente tono, forza e coordinazione nel momento in cui smette di praticare, quindi se si vuole danzare ad un certo livello di consapevolezza, bisogna mettere in conto che non si può stare totalmente fermi per un periodo più lungo  di qualche giorno. In assenza di opportunità di studio canonico, avere sviluppato durante l’anno un programma specifico e mirato sulle proprie caratteristiche, da fare quotidianamente, si rivela una vera opportunità non solo di allenamento, ma anche di miglioramento.

Senza dover seguire i ritmi e le tempistiche imposte dal maestro, infatti, si comincia ad entrare in un contatto più intimo e diretto con il proprio corpo e con i suoi bisogni reali: il training in solitaria è un aspetto imprescindibile del lavoro del danzatore, per conoscere il proprio maestro interiore, che secondo me è l’incontro più importante che si possa fare nel proprio percorso di formazione.

Questo non sminuisce la figura dell’insegnante, che rimane comunque una presenza fondamentale per ogni danzatore: dall’allievo amatoriale all’etoile, tutti hanno bisogno di una guida, di un occhio esterno che aiuti ad osservarsi con obiettività, ad uscire dalla propria routine e dalle abitudini. Però essere maestri di sé stessi, con umiltà e discernimento, è altrettanto importante per autodisciplinarsi e scoprire la propria innata danza, che ci si porta dentro da sempre e non aspetta che di uscire ed esprimersi.

La mia esperienza con l’insegnamento mi ha sempre messa in contatto con contesti formativi professionali. Non è stata una cosa che ho scelto volontariamente, è capitato così, ma questo forse mi ha portata ad avere una visione del lavoro che non può essere condivisa da tutti. Sono abituata ad avere a che fare con persone che hanno scelto la danza come professione e quindi non posso che pretendere che diano sempre il massimo, non solo perché è così che si fa qualcosa, quando mossi da una forte passione, ma anche perché dovranno affrontare difficili prove nella propria esistenza: le audizioni, gli spettacoli, le prove estenuanti, nonché l’inizio di un nuovo anno scolastico, momento in cui è importante arrivare in forma, evitando di sciupare tempo prezioso a togliere la ruggine dalle articolazioni. Continuo a ripetere di non fermarsi durante le vacanze estive, di non cedere all’inerzia dell’immobilità, perché questa non porterà che ad altra immobilità, trascinando nel vortice dell’accidia che, se non erro, è enumerata tra i peccati capitali.

Anche in questo senso lo yoga mi ha insegnato moltissimo. Ogni giorno si è tentati di procrastinare, di pensare: oggi ho avuto una giornata intensa, mi merito di riposare, praticherò domani. Oppure: oggi non ho tempo, farò domani. Ma se si cede troppo a lungo all’influenza di questa forma pensiero si supererà un limite oltre il quale diventerà sempre più arduo trovare la spinta giusta per tirarsi fuori dalla palude della pigrizia. Inoltre, come se non bastasse, si dovrà anche far fronte ai sensi di colpa per non aver fatto ciò che ci si era promessi di fare e così si aggiunge anche autocommiserazione. Guardate sono meccanismi che la mente attua molto facilmente e sono fortemente inquinanti e tossici.

Ogni giorno salgo sul tappetino e comincio la mia pratica osservando il corpo con uno sguardo interiore per capire di cosa ha bisogno oggi. Molte volte nei primi minuti sento resistenza, a volte anche noia, ma poi, quando la mente si focalizza su ciò che sto facendo, tutto si scioglie e la gioia luminosa della pratica mi riempie totalmente in ogni aspetto del mio essere. Finisco sempre più carica di energia di quando ho cominciato, totalmente purificata da ogni zavorra mentale.

Mancano ancora alcuni giorni prima di riprendere con le lezioni di danza, siete ancora in tempo per prepararvi adeguatamente a questo inizio, che ne dite?

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