Susanna Beltrami: la danza come progetto esistenziale

di Francesco Borelli
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Incontro Susanna Beltrami in un caldo pomeriggio d’inizio estate. L’appuntamento è presso la DanceHaus, lo spazio milanese da lei creato che tanto successo e rilievo ha avuto negli ultimi anni. Qui tutto parla di tenacia e di forza di volontà. Di creatività e genio. Di ricerca e..di una donna. Tanto forte e combattiva quanto capace di lasciarsi andare a riflessioni tenere e piene di malinconia. La sua voce è melodia pura. Ricorda una sirena che, inaspettatamente, ti conduce in luoghi della memoria che non conoscevi e che, grazie a lei, scopri per la prima volta. Discorrere con lei ti fa dimenticare il tempo che passa e il caldo di una giornata che sembra non voler dar tregua.

Qual è la tua storia di danza?

Sono una figlia d’arte. Mio padre era un regista e mio nonno un attore. Io stessa debuttai a dodici anni nel ruolo di Lucky in “Aspettando Godot”. La mia grande passione, però, era la danza e dovetti combattere a lungo con mio padre che voleva per me un futuro nella recitazione. Dopo molte battaglie, iniziai finalmente a studiare danza classica, ma con gli anni cominciai a domandarmi se esisteva una forma di danza alternativa a quella accademica. E, in effetti, esisteva. A Vicenza era nata una scuola diretta dalla grande Franca Della Libera. Allieva dei fratelli Sacharov, fu una vera pioniera. Capii subito che questa donna incarnava esattamente il mio pensiero già allora curioso e rivoluzionario sulla danza. Iniziai a studiare con lei ed era talmente grande l’entusiasmo che i miei genitori la convinsero ad aprire una scuola anche a Verona. Scuola che ebbe un enorme successo e rispecchiava, nella sua essenza, il pensiero Duncaniano.

Quando studiavi con lei e ti esibivi nei suoi spettacoli, cosa volevi essere? Solo una danzatrice o già vedevi per te un futuro da coreografa?

Ho trascorso moltissimo tempo a osservarla e a studiare il modo in cui riusciva a plasmare il gesto, il movimento, la tecnica, la musica, la luce, lo spazio architettonico. Come ballerina ero brava, ma attraverso lei capii cosa avrei voluto realmente fare nella mia vita. Dopo un po’ di anni trascorsi al suo fianco e subito dopo la maturità classica andai a Parigi a studiare con Carolyn Carlson, Larrio Ekson e Jorma Uotinen.Tornata in Italia fondai a Verona un centro di sperimentazione “Centro Ricerca Danza”  Tra i miei giovani danzatori c’era anche un giovane ragazzo talentuoso e bellissimo,Michele Abbondanza,e una dolce Aida Vainieri da molti anni ormai danzatrice di Pina Baush.

Poi cosa successe?

Era il 1982 e decisi di trasferirmi a New York. X studiare presso la Merce Cunningham Dance Foundation .Furono anni belli, pieni di presenze straordinarie come quelle di Merce, John Cage, e i miei colleghi provenienti da tutto il mondo, durante i quali maturò dentro di me la decisone di creare un luogo ,un progetto ,dove ci fosse un pensiero sulla danza come creatività, come cultura .Tornata in Italia venni a vivere a Milano.

Allora era un mondo ancora tutto da creare. Oggi, secondo te, c’è ancora bisogno in Italia di lavorare in questo senso?

Moltissimo. Negli anni 80 solo gli avanguardisti conoscevano Cunningham, ma negli ambienti classici nessuno sapeva chi fosse. Oggi, come allora, bisogna fornire alle persone, addetti ai lavori e non, gli strumenti per avvicinarsi a ciò che è nuovo o diverso rispetto a ciò che conosciamo.

Nel 1987 arrivasti a Milano. Quali furono i primi passi che portarono nel tempo alla realizzazione dei tuoi progetti?

Cercai uno spazio, misi insieme un gruppo di danzatori .E nel tempo iniziai a propormi non solo come danzatrice e coreografa, ma anche direttrice. Prima della DanceHaus ho diretto per undici anni altre strutture .Fui io a proporre a Milano l’idea della formazione su modello americano. Un programma che prevedesse diverse tecniche tra cui l’improvvisazione, il teatro fisico, l’esperienza gestuale, la composizione etc… All'inizio credetti molto in questo progetto, ma nel tempo , alcune collaborazioni presero una strada estremamente commerciale che non sentivo mia e quando mi allontano ideologicamente …chiudo!!!

Quali sono le difficoltà che s’incontrano quando una donna quale tu eri, con la tua esperienza e il tuo background, vuole creare ex novo qualcosa di proprio?

Allora le difficoltà erano dettate dalla mancanza di substrato culturale. Come si diceva prima nessuno conosceva ciò che stavo proponendo. Al tempo esistevano due strade percorribili: fare politica o allenare l’arte del convincimento. E io mi affidai a quest’ultima. Personalmente volevo far capire che ciò di cui parlavo, aveva un valore fortissimo, di trasformazione e cambiamento del danzatore. Spesso avevo innanzi a me ballerini bravissimi, ma colmi di remore e paure a livello espressivo. Imbrigliati in un linguaggio rigidamente accademico. Ed io sapevo quali potevano essere le valvole per far scattare in loro un mutamento.

Quali erano queste valvole?

La prima valvola è la considerazione che il corpo è il trasferimento di ciò che tu hai dentro , non solo emozione intendo ,ma anche pensiero. Mettendo in connessione corpo e interiorità , perseguendo un progetto personale di movimento ,un danzatore arriva  all'esclusività. Il corpo a quel punto si muoverà nello spazio in maniera differente. Poi, bisogna partire dal presupposto che i corpi sono tutti diversi. E che esistono fisici che, aldilà della loro linea estetica, possono essere funzionali alla danza. Dipende da ciò che devi danzare. Io ho sempre creduto in tutto questo. E alla fine ho tracciato un sentiero assolutamente percorribile. Ho lavorato tanto, ma sono anche stata fortunata perché ho incontrato persone che hanno creduto in me. Prima al CSC di Milano,allora Sindacato dei ballerini,poi al Teatro alla Scala dove ho insegnato al corso di perfezionamento per Maitre e ballerini, e alla Civica Scuola Paolo Grassi tanto stimolante quanto difficile.

Mi spieghi il perché?

Avevo davanti giovani  attori più che danzatori , a volte con una formazione fisica molto lontana dalla danza. Fu faticosissimo. Ma questa esperienza mi diede ulteriore conferma che con un lavoro mirato, diretto al corpo e all’interiorità, si può ottenere un buon risultato. Un danzatore promettente ha dentro di sé un immaginario foltissimo. Bisogna scoprirlo.

Quando scegli un danzatore per i tuoi spettacoli come riesci a capire, in poche ore di audizione, se un ballerino ha effettivamente questo immaginario dentro di sé?

Non lo colgo nella prima parte che solitamente è una lezione di classico accademico. Poi ci si allontana dal tecnicismo e tentiamo di favorire un lavoro legato all’improvvisazione, dando stimoli poetici, drammaturgici ,visivi, legati allo spazio e alla musica. E vedi subito come reagisce la persona. Riesco a cogliere ciò che una persona può effettivamente dare.

Ti sei mai sbagliata?

E’ capitato. In alcuni casi ciò che avevo colto nei ballerini che avevo davanti, non poteva rientrare nei codici della "mia "danza. Non sarebbe potuto diventare materiale teatrale, in alcun modo. 

L’immagine che proponi è quella di una donna molto forte e sicura di sé. Quando una donna di questo tipo sbaglia, come reagisce?

Molto male. Caratterialmente non sono portata a riconoscere pubblicamente il mio errore. Ma nel privato sì. E l’errore determina in me una grande sofferenza. Ciò che mi ferisce di più non è tanto lo sbaglio professionale, ma quello umano. E alcuni eventi della mia vita mi hanno segnato profondamente, lasciando grandi cicatrici. Rimangono dei rimpianti. Mi dico che forse avrei potuto fare di più. Sono fatta così; grandi gioie e grandi dolori. E tutto è nelle mie creazioni.

Quando ragazza studiavi a New York pensavi a come saresti stata da adulta? Come t’immaginavi trent’anni dopo?

Non ci ho mai pensato. Ho sempre vissuto alla giornata. Di certo credevo che la mia vita sarebbe stata per sempre in America. Invece, a causa di una malattia del mio papà, preferii tornare in Italia e stargli vicino. Ancora oggi però, ogni qualvolta mi capita di vedere un film in cui compare New York, piango. Mi manca molto.

Qual è il punto di partenza di una tua creazione?

Parto generalmente dalla drammaturgia ,dalla scrittura anche filosofica. Entro in sala con idee che siano forti e chiare anche per le persone con cui lavoro. La stessa improvvisazione, a dispetto del termine, prevede paletti molto stretti entro cui muoversi. Si tratta di un vero e proprio metodo di lavoro basato sul l'approfondimento delle idee.

Una delle stelle delle tue creazioni è senza dubbio Luciana Savignano. Come ti sei relazionata a una danzatrice di siffatta grandezza? Così legata a un mondo, seppure moderno, accademico?

Nel 1995 ripresi per l’Italia uno spettacolo che molto successo aveva avuto a New York, El Diablo, Storia Flamenca. E cercavo una danzatrice che potesse incarnare un modello di donna androgino. Così contattai Luciana. Ricordo ancora l’agitazione e la timidezza con cui le parlai. Decidemmo di incontrarci a casa sua. Le parlai del mio progetto e ne rimase entusiasta. Sarebbe stata l’unica donna in mezzo a dodici danzatori maschi flamenchi e contemporanei. Così iniziò la nostra collaborazione. E per lei ho sempre pensato a personaggi particolari. Nacquero “La Lupa”, un vero capolavoro, “Jules et Jim”, “Carmen”, “Tango di luna”. Ci siamo trovate in primis come donne e poi come artiste. Quest'anno festeggiamo i nostri 20 anni di collaborazione ed amicizia.

Come ti sei rapportata, nel corso del tempo, con gli artisti con cui hai collaborato?

Mi piace lavorare con persone che abbiano una propria personalità. E creare un dubbio riguardo alla possibilità che esistano anche altre strade rispetto a quelle che si sono percorse fino a quel momento. A volte riesco nel mio intento, altre no. Marco Pierin fu nel mio spettacolo Jules et Jim ,un Jule meraviglioso. Fu un percorso molto impegnativo per entrambi ma nutro di quella vicenda un bel ricordo . Con due grandi danzatori spagnoli Josè Greco e Antonio Canales ho vissuto situazioni tra la vita e la danza un po' da romanzo entrando in un mondo gitano imprevedibile , senza regole ma con un fascino artistico irresistibile.

Quanto tempo dedichi a una creazione?

Oggi i tempi di creazione sono molto diminuiti. Soprattutto per questioni di carattere economico. Generalmente un mese e mezzo, due, di sala prove Dalle otto alle dieci ore al giorno. Poi dipende dal lavoro e dalle collaborazioni insite al progetto. Adesso, per esempio, sto lavorando a un nuovo progetto sui Rolling Stone che debutterà a Ottobre al Teatro Franco Parenti. Mi ci sto dedicando già da parecchi mesi , ho incluso diverse nuove collaborazioni con videomaker e musicisti quindi l'operazione sarà piuttosto complessa.

Quando è nata la DanceHaus, e perché?

Fu in un momento molto strano della mia vita,sospesa tra dolori e insoddisfazioni ,appena mancata mia madre e appena concluso un lungo periodo di lavoro che mi aveva prosciugato .Ci fu, però, l’occasione , con la complicità del Teatro Franco Parenti,di avere questo spazio  di via Tertulliano e data la forte pressione di tante persone che mi stimavano e volevano seguirmi, decisi di provarci. Dopo quattro anni di duro lavoro la DanceHaus è diventata un punto di riferimento e sono tante le menti che vivono e collaborano in questo spazio, tutte accomunate dalla medesima idea. Quella cioè di creare un danzatore più eclettico che risponda alle esigenze del teatro contemporaneo, di sostenere la creatività dei giovani coreografi e di continuare ad operare alla sensibilizzazione del pubblico, anche con progetti di networking con altre linguaggi dell'arte.

Com’è la situazione in Italia oggi?

Un po’ ferma. Manca un po' la cultura dell’innovazione, Ci si mette spesso sulla lunghezza d’onda di paesi pilota come la Francia ,la Germania, l'Inghilterra .Nonostante il nostro bagaglio artistico e culturale si fa un pó fatica a tracciare una forte identità contemporanea, il pubblico sembra ancora un po’ resistente a riconoscerne il valore e a testimoniarne l'interesse. Però pian piano le cose stanno migliorando.

Qual è il tuo apporto a questo miglioramento?

Io faccio il possibile. Cerco, come si diceva prima, di creare danzatori e creativi che abbiano una mentalità europea e internazionale. Cerchiamo di regalare, ogni giorno, nuovi stimoli. Il danzatore deve essere una persona piena. Abbiamo da poco siglato un progetto di network tra DanceHaus , Contart, Artedanza E20, chiamato DanceHaus più , che è stato riconosciuto proprio in questi giorni dal Ministero della Cultura come progetto di promozione e formazione del pubblico , sono felice ed orgogliosa per questo.

Come definiresti la danza?

La danza è un progetto esistenziale. Tra le autrici contemporanee sono una di quelle che asserisce che la tecnica è fondamentale, lo è talmente da dover essere metabolizzata, interiorizzata affinché  il danzatore, possa “parlare”. La danza è il linguaggio non verbale per eccellenza , è il corpo della musica , l'architettura fantastica nello spazio è l'arte della commozione.

Secondo te, quale fra le tue creazioni, ti rappresenta maggiormente?

Credo non ne esista una in particolare. Sono molto legata a “Tango di luna” con Luciana. Spettacolo in cui lei è assolutamente meravigliosa e in cui io mi sono cimentata più come regista che come coreografa. Ecco, in una prossima vita mi piacerebbe ripercorrere le orme di mio padre.

Prima ti ho domandato come, da ragazzina ti saresti immaginata da adulta. Ora ti chiedo come t’immagini tra venti anni. 

Di certo lontana dalla danza. Voglio smettere in un momento in cui ho tanti bellissimi ricordi e la sensazione viva delle cose che ho fatto, delle persone che ho vicino. E chissà, vivrò a New York forse o in una sperduta isola greca.

E sarai felice lontana dalla danza?

Si, felice e soddisfatta. Penso che tutto debba finire quando ancora si può essere felici di ciò che si è vissuto. E mi riferisco tanto al lavoro, quanto alla vita privata. 

Oggi, per riuscire a essere Susanna Beltrami, quanto conta essere, oltre che artista anche imprenditrice e manager di se stessa?

E’ fondamentale. Io non sono una persona facile. Ho le mie idee e faccio di tutto per realizzarle. Ma ho incontrato, lungo il mio percorso, persone che insieme a me hanno sposato una causa e colgo questa occasione per ringraziarle: Matteo Bittante, Anna Bortoloso e Lorenzo Conti, Annamaria Onetti e l'architetto Giorgio Martino che  hanno con me progettato e creato la DanceHaus. Persone che lavorano e difendono questo progetto. So che quando farò altre scelte, tutto questo andrà avanti e lo farà nel migliore dei modi. E questa è la continuità che vedo per me e per ciò su cui ho lavorato tutta una vita. 

Finita l’intervista saluto Susanna con un abbraccio e vado via. Fa ancora caldo ma ora, sull’inizio della sera, la sensazione è piacevole. Il tempo è volato. D’altronde accade sempre così quando l’interlocutore che ho innanzi mi travolge col suo essere colmo di cose da dire. Susanna è una sorgente inesauribile di racconti e sensazioni. Il suo segreto? Non lo so. Forse è racchiuso in quella voce da sirena che porta con sé, a ogni parola, un mondo unico e straordinario. O forse in qualcosa di ancora più profondo, in quella ricerca costante che rende le persone migliori e in alcuni casi, vedi Susanna Beltrami, speciali.

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