BACKGROUND:
Circa 20gg fa il nostro Direttore Francesco Borelli mi aveva chiesto cosa ne pensassi del programma “Amici” in generale e alla luce di ciò che stava succedendo negli studi TV in tempi di Coronavirus.
Vivo all’estero da oltre 20 anni, non sono sempre stata fissa in un solo Paese e mi sono trasferita piuttosto spesso (7 Paesi), per esigenze lavorative di mio marito. A questo si aggiunge che negli ultimi anni, nonostante la mia famiglia fosse di base a Londra, ho vissuto in diversi Paesi del mondo con mia figlia minore per facilitarle lo studio della danza classica. Sono psicoterapeuta, ho lavorato per 15 anni in pubblicità e sono appassionata di danza da quando avevo 13 anni (anche se non ho mai pensato di farne una carriera).
Conosco Francesco Borelli da molti anni e, nonostante egli conosca le mie opinioni e le mie stigmate, sa che mi sono sempre astenuta dai commenti sul mondo della danza in generale (ed in particolare di quella Italiana), perché non amo la polemica, ho tendenzialmente un buon carattere, ma soprattutto il mio lavoro di psicoterapeuta e l’esperienza umana accumulata nei viaggi mi portano spesso a scusare il mio prossimo tanto da far dire alle mie amiche che condividere dei pettegolezzi con me è noioso come parlarne con Madre Teresa di Calcutta: trovo sempre una ragione per giustificare tutto e tutti.
LA PSICOLOGIA DIETRO AI TALENT SHOW
Come psicoterapeuta, uno degli elementi importanti per capire le persone è ormai il loro utilizzo dei social media. Nel panorama umano, mi dedico prevalentemente alla fascia dei teenagers: li amo, li capisco, e questo sentimento è, per fortuna, ricambiato.
Dovendo quindi addentrarmi nei meandri di “Amici”, ho cercato di comprendere le ragioni di gradimento di una parte della popolazione. La cosa che contraddistingue “Amici” è l’unicità della sua offerta: esistono i talent shows da una parte e i reality shows dall’altra, ma “Amici” unisce le due cose, presentando al tempo stesso un tranche de vie sulla personalità dei partecipanti e sul loro aspetto professionale.
Che cosa attrae tanto in questi spettacoli?
Avendo come pazienti teenagers e giovani adulti di entrambi i sessi, sono stata anch’io coinvolta nel mondo dei reality/talent shows a ondate “generazionali”.
Se siete come loro e i loro amici, ci sono buone probabilità che, dopo una lunga giornata, alcuni di voi non vedano l’ora di rilassarsi con i vostri reality/talent show preferiti. Nessuna vergogna: è un passatempo di molta gente, a prescindere dalle classi sociali di appartenenza.
Osservando questo campione di umanità ho avuto modo di pensare al netto contrasto di opinioni che hanno i critici verso questi spettacoli. Perché alcuni hanno un forte desiderio di guardare i talent/reality show mentre altri li odiano assolutamente? Che cosa rende le reazioni così opposte?
Una delle teorie ricorrenti è che questi spettacoli seguono persone che riteniamo simili a noi mentre competono o sono spinte in situazioni sociali uniche. A differenza delle normali trasmissioni, questi talent/reality show sono una vetrina per esaminare le reazioni delle persone con cui ci relazioniamo emotivamente mentre sono impegnate in un compito anormale che mette alla prova la loro forza e il loro carattere. L’elemento affascinante è proprio questo: trattandosi di persone che non sono troppo diverse da noi, siamo intrigati dai loro intimi comportamenti, l’osservazione dei quali ci è, nel mondo reale, generalmente preclusa.
Altri studi hanno ipotizzato che gli spettatori cerchino di capire, attraverso i protagonisti, strategie su come acquisire facilmente la fama (spesso i concorrenti ottengono lo status di “famoso” dopo la messa in onda dello spettacolo).
Contrariamente ai fruitori dei talent/reality show che, come ho avuto modo di verificare, non si soffermano troppo a pensare alla dietrologia della loro fissazione, gli esperti psicologi invece la stanno studiando da decenni, tanto che Psychology Today, ha recentemente dissertato sulla connessione piuttosto diretta tra guardare i talent/reality show e il voyeurismo, evocando ossessioni inquietanti sulla vita privata di terzi.
Tornando ad “Amici” e alla sua struttura, si potrebbe ipotizzare che si tratti di fatti non narrativi, ma è evidente che questo spettacolo è prodotto e curato per raccontare, alla fine, la storia dei partecipanti, dove il loro successo dipende da quanto riescono a conquistare il cuore del pubblico. I dati media danno oltre 4 milioni di spettatori, in prevalenza appartenenti alle fasce demografiche più giovani (e quindi più interessanti per gli incassi media).
Un modo relativamente innocuo per rilassarsi?
Il che ci fa arrivare al punto focale della discussione: è così brutto che alcune persone amino questi spettacoli?
Brendan Rooney, del Departimento di Psicologia e Media al University College di Dublino, sostiene una teoria che mi vede d’accordo: il motivo per cui siamo attratti dai talent/reality show è semplice: amiamo le storie.
“Il nome reality potrebbe suggerire che non si tratti di finzione, ma nella realtà questi spettacoli sono altamente prodotti e curati per raccontare una storia”, dice Rooney. ” e le storie servono come una sorta di tapis roulant emotivo: ci consentono di praticare l’empatia e provare strategie sociali senza dover necessariamente sperimentare gli eventi orribili della TV o della fiction, facendoci pensare, formare opinioni, apprendere abilità emotive in modo più o meno conscio mentre guardiamo i protagonisti dello schermo”.
Ne consegue che molte persone sappiano che il reality non è del tutto reale, ma, quando sono avvolti dalle emozioni, semplicemente non ci pensano. “Allo stesso modo, quando vediamo un’immagine su Instagram“ prosegue Rooney ”non pensiamo sempre ai molteplici tentativi fatti per ottenere lo scatto perfetto. I talent/reality show offrono una combinazione di dialoghi non sceneggiati e l’illusione del non montaggio, quindi li vediamo più veri.”
Ma se questa è un’opportunità di apprendimento nelle interazioni sociali allora perché non è per tutti? “Potrebbe dipendere da quanto uno ne viene coinvolto” dice Rooney.
Tra le lamentele più serie c’è l’accusa che gli spettacoli contano sul godimento da parte degli spettatori dell’umiliazione e del degrado dei partecipanti.
“I reality show non sono assolutamente tutti cattivi”, affermano Dr. Shitrit e Dr. Cohen dell’Università di Haifa in Israele che hanno recentemente testato un campione di spettatori di talent/reality show scoprendo che l’empatia è il motivo principale per cui le persone godono di questi spettacoli, mentre l’umiliazione non è la motivazione centrale.
È una forma mascherata di addizione?
Il motivo per cui si continuano a guardare i talent/reality show riguarda ormai solo gli spettatori stessi. Sappiamo che guardare la sera una storia d’ingiustizia, che scatena rabbia, gioia o tristezza, distrae dal dover pensare a ciò che si dovrà affrontare il giorno dopo nella propria vita quotidiana. Si sta comprando un momento di oblio, un rilassamento mentale alle spese di concorrenti che si dovranno invece cimentare in imprese più o meno ardue, assolvendo così lo spettatore da un vago senso di colpa perché, dopotutto, se lo sono scelti loro.
Questi spettacoli rendono il pubblico esperto in campi di cui non sa nulla, ma è confortato dalle opinioni di esperti (o pseudo tali) con i quali gioca mentalmente ad allearsi o a dissociarsi. Alcuni, come “Amici”, danno anche l’illusione di poter decidere del fato dei concorrenti come se si fosse Dei dell’Olimpo.
L’artista diventa un mezzo che fa parte del passatempo degli spettatori e questo è il motivo per cui alla fine, finito il momento “caldo”, la popolarità dei vari concorrenti subisce un forte calo. Per i vincitori, l’onda di assestamento dura più a lungo, perché la macchina di marketing è collegata a etichette discografiche, tour, promozioni, spettacoli, spingendo spesso i protagonisti ad accettare qualsiasi condizione.
Il fenomeno centrale di questi spettacoli è che hanno omesso esattamente la parte che fa in modo che alle persone importi in primo luogo il talento: la parte in cui l’artista diventa un Artista. È perfetto sulla carta, ma è tutto tristemente senza arte.
Il fatto importante è che la maggior parte degli spettatori è pienamente consapevole di ciò di cui viene nutrito. A loro il prodotto piace, ma non se ne interesseranno oltre, perché, semplicemente, non sarà necessario.
Spesso questi spettacoli aggravano i problemi personali esistenti, mettendo i concorrenti in situazioni di stress elevato; a volte creano problemi che prima non esistevano.
Qual è il futuro di questi spettacoli?
I media continuano a cambiare e cambiano anche i motivi per cui noi consumiamo i media.
Pensare che i talent/reality shows scompaiano è, almeno al momento, utopistico. Fanno parte del nuovo sistema di comunicazione che ha visto in essi non solo uno svago ma anche un modo di apprendimento del vivere “sociale”.
Il vero problema che si sta delineando è che gli artisti non sono le vere star. Possono cambiare, sparire, essere espulsi o morire, ma il formato sopravvive e le persone continuano a fare audizioni.
Dal mio punto di vista “privilegiato” (la GB è sempre stata all’avanguardia dei reality shows) se dovessi dare un consiglio ai produttori televisivi c’è un fatto allarmante che si sta delineando nei paesi che sono stati gli inventori di questi contenitori di spettacolo:
in Gran Bretagna ed in USA quasi nessuno compra più la musica di artisti di talent show televisivi.
I numeri delle vendite sono terribili nonostante la gente continui a guardare gli spettacoli. Perché? Perchè la gente ha capito il funzionamento di questa macchina e si comporta di conseguenza. Se anni fa lo spettatore era ignaro e dunque partecipava emotivamente alle rocambolesche avventure dei partecipanti, adesso è un complice degli organizzatori: sa esattamente cosa otterrà e quale sarà il suo “aspetto e sapore”, non c’è più bisogno di investire emotivamente e quindi l’artista come persona non rientra più nei suoi interessi.
Peraltro è interessante notare che quando viene intervistato, lo spettatore riconosce che questi spettacoli sono uno sport televisivo emotivamente manipolativo e che sono spesso dannosi per l’artista.
I concorrenti passano dall’essere celebrati a non valere nulla in un batter d’occhio, indipendentemente da dove tutto ciò li lascia a livello pratico e psicologico. Essi esistevano in un universo precario, spinti avanti da un’industria che promette costantemente il raggiungimento di qualcosa di più grande, se uno fosse disposto a dare solo un po’ di più di se stesso.
Si dovrebbe, questo sì, desiderare che il trattamento dei protagonisti fosse più gentile e meno brutale; la TV dovrebbe essere divertente ma non a scapito di chiunque partecipi, nonostante, dobbiamo convenire, che anche nelle favole esiste il personaggio cattivo che, attraverso il suo comportamento, eleva l’eroe e le sue buone azioni per arrivare alla fine della storia dove tutti “vivranno felici e contenti”.
Allora, quando dobbiamo cominciare a preoccuparci?
“Quando il consumo di queste narrazioni supera le esperienze quotidiane, dobbiamo assicurarci di avere altri sbocchi per le nostre emozioni e altri modi di elaborare il mondo. Finché teniamo sotto controllo il modo in cui gli spettacoli vengono discussi e celebrati – afferma Rooney – il reality/talent show non deve essere un problema. Se sei un genitore di una delle migliaia di giovani spettatori che divorano spettacoli, compresi quelli problematici, e stai pensando di vietarglielo, un consiglio utile è guardare gli spettacoli con loro, i vostri ragazzi: discuterne, ipotizzare le motivazioni dei produttori televisivi e, dove possibile, incoraggiare la gentilezza verso i cosiddetti cattivi nello spettacolo. È probabile così che nascano più punti di vista e discussioni che possono trasformarsi in un’ottima opportunità per tutti di apprendimento “- Rooney sostiene. E di cambiamento aggiungo io.
Noi Umani siamo creature complesse. Conosciamo in prima persona sentimenti come l’amore e l’odio; è quindi possibile che siamo intrigati dai reality show per l’empatia che proviamo verso i partecipanti che ci piacciono, e per il piacere nel vedere quelli che non ci piacciono umiliati e imbarazzati.
Nessuno lo può asserire in via assoluta, ma una cosa è importante: che ci piaccia guardare i reality/talent show per ridere dei concorrenti (ed in fondo di noi stessi, perché c’è sempre un fattore di auto-identificazione quando guardiamo uno spettacolo, un film o leggiamo un libro) o perché ci piace fantasticare sull’essere famoso, assicuriamoci solo di essere sempre in grado di separare ciò che stiamo guardando dalla vita di tutti i giorni.
Susanna Mori