Presso il Curran Theatre di San Francisco la World Ballet Company presenta il balletto Swan Lake. Con sede a Los Angeles e guidata da Sasha Gorskaya e Gulya Hartwick, la compagnia è motivata dalla convinzione che il balletto possa essere per tutti e per questo è impegnata a educare il pubblico, rendendo anche più accessibile questo genere teatrale, e nel contempo soddisfare gli spettatori con maggior esperienza. Infatti, questa produzione, con la coreografia originale ripresa da Nadezhda Kalinina, rimanda alle due versioni russe tutt’oggi in cartellone: ovvero, quella del Teatro Mariinsky con la coreografia di Marius Petipa e Lev Ivanov (1895) ma riveduta da Konstantin Sergeyev (1959), e l’altra del Teatro Bolshoj firmata Yuri Grigorovich (1969) ispirata sempre all’originale con aggiunte di Alexander Gorsky (di entrambe è disponibile un video su YouTube).
Evocativi della produzione del teatro di San Pietroburgo sono anche i costumi firmati, assieme alle scene, da Sergey Novikov: un décors gotico efficace nel delimitare lo spazio scenico, forse troppo piccolo per la compagnia, ma in cui fin dal prologo l’inganno e la malvagità divampano con le ballerine in tutù neri che circondano la protagonista senza alcuna sembianza animale.
In questa rappresentazione il doppio ruolo è affidato a due prime soliste a discapito dell’usanza ormai comune dell’unica ballerina che quindi deve affrontare una prova tecnicamente e interpretativamente molto audace e di grande versatilità. Entrambe le interpreti affrontano con agilità le insidie tecniche previste dalla coreografia. L’Odette di Andrea Lassakova si contraddistingue per un gelido sentimentalismo che traspare soprattutto dalle lunghe braccia, non sempre sufficientemente fluide, e dalle linee liriche, mentre l’Odile di Darya Medovskaya manifesta una maggiore disinvoltura con il ruolo interpretato ma anche una più convincente e gradevole partnership con Sigfrido, ovvero Kirill Popov, davvero un abile porteur.
Nel complesso è ammirevole per dinamicità e gioia la prova del pas de trois del primo atto e tutto l’ensemble dei cigni che appare affiatato e convincente nella realizzazione delle geometrie previste dal vocabolario coreografico. Di rilievo è l’interpretazione del Buffone per spigliatezza e umorismo a cui fanno da contraltare l’austerità e la compostezza di un Rothbart di grande carisma e presenza scenica.
Uno dei titoli più noti di tutto il repertorio classico che se non induce a urgenti riflessioni sulla realtà, almeno ci allieta con una sua versione più poetica ed onirica, costantemente rinvigorita dalla meravigliosa partitura di Piotr Ilyich Tchaikovsky.