“The white crow”: Ralph Fiennes racconta il mito di Nureyev

di Giada Feraudo
1,9K views

Un giovane di appena ventidue anni, con uno stretto abito scuro e un basco nero, si trova su un aereo in volo da San Pietroburgo a Parigi. È la primavera del 1961, il mondo è in piena Guerra Fredda e Rudolf Nureyev, prima di diventare una leggenda della danza, è membro del corpo di ballo del Kirov e per la prima volta sta viaggiando oltre i confini dell’Unione Sovietica. “Aveva fame di arte, in tutti i suoi aspetti, musica pittura, danza” spiega il regista Ralph Fiennes. La tournée a Parigi è la risposta ai suoi desideri e al bisogno di conoscere più da vicino la cultura e il balletto occidentali. Le lezioni di inglese prese in Russia gli permettono di avvicinare i ballerini dell’Opéra, di comunicare con loro e di condividere i rispettivi punti di vista sulla danza e sul mondo. Incontenibile e ribelle, Nureyev sfora gli orari della ‘ricreazione’ e si attira i sospetti del KGB, che lo marca stretto. Le sue intemperanze hanno conseguenze drammatiche, gli viene proibito di andare a Londra con la compagnia e deve essere immediatamente rimpatriato. L’intervento tempestivo all’aeroporto di Le Bourget di Pierre Lacotte, ballerino e coreografo dell’Opéra, e Clara Saint, fidanzata del figlio di André Malreaux, all’epoca Ministro della cultura, strappano Nureyev all’oblio. Il ballerino chiede allora asilo politico alla Francia; in Russia tornerà soltanto ventisei anni dopo.

Il film, il terzo da regista per Ralph Fiennes, è tratto dalla biografia di Julie Kavanagh Rudolf Nureyev: The Life (2007), che Fiennes lesse circa vent’anni fa.  «Sebbene non avessi un grande interesse per il balletto e non conoscessi molto di Rudolf Nureyev», afferma Fiennes, «sono rimasto affascinato dalla storia della sua infanzia, della sua giovinezza trascorsa negli anni Quaranta nella città di Ufa, nella Russia centrale, dei suoi anni nella scuola di danza a Leningrado, oggi San Pietroburgo, culminati poi nella decisione di chiedere asilo in Occidente nel 1961».
Il lungometraggio tenta di ricostruire la vita del leggendario danzatore russo proprio attraverso queste tre fasi, partendo dal viaggio verso Parigi per poi tornare indietro nel tempo, con un balletto di piani temporali che si intersecano per raccontare il percorso personale di formazione di un talento senza pari, con una determinazione e un’ambizione smisurate come lo era l’ego di Nuveyev. Ballare significa avere una storia da raccontare e Nureyev narra la propria, che comincia dalla nascita su un treno in corsa, per proseguire attraverso una serie di incontri e relazioni che lo hanno portato a calcare tutti i più importanti palcoscenici orientali e occidentali.

Il regista affida il ruolo del protagonista a Oleg Ivenko, ballerino russo della Tatar State Opera & Ballet. “Non volevo usare una controfigura per la danza e ho scelto questo giovane ballerino ucraino che ha ballato in Russia, ha un grande talento per la recitazione, e ha un certo grado di somiglianza con Nureyev […] È stato difficile dal punto di vista commerciale proporlo (a maggior ragione avendo nel cast una star quale Sergei Polunin, ndr), ma sono fiero di quel che ha raggiunto”.
Per sé ritaglia il ruolo di Alexander Ivanovich Pushkin, ballerino e insegnante di Nureyev e, anni dopo, di Michail Baryšhnikov, mentre Sergei Polunin interpreta il compagno di stanza di Rudolf, Yuri Soloviev.

La versione originale del film, girato fra Parigi e San Pietroburgo, fra l’Opéra Garnier e il Mariinskij (ex Kirov, ndr) è quasi integralmente in russo e lo stesso Ralph Fiennes recita in russo.

Il titolo è ispirato dal soprannome che avevano dato a Nureyev da bambino: “white crow” indica una persona eccezionale, di rara intelligenza, è un’espressione che descrive un animo in continuo fermento, sfrenato e irrequieto come era quello di “Rudy, il danzatore che ha cambiato il mondo”.

Articoli Correlati

Lascia un Commento