Le vacanze di Natale possono essere tutt'altro che rilassanti per un insegnante di danza.
È proprio in questo momento di calma apparente, infatti, che il maestro trova il tempo per lavorare al saggio di fine anno: sceglie musiche, idee coreografiche e drammaturgiche, appunta e annota.
Pare proprio che il saggio sia l'evento di punta dell'anno, per questo già a Gennaio, al ritorno dalle vacanze, si cominciano a costruire le sequenze che poi verranno composte nella coreografia finale, tramite una messa a punto continua ed estenuante che culminerà infine sulla scena. In effetti si tratta di un appuntamento molto importante per ogni scuola di danza, una vetrina per mostrare il lavoro svolto non solo ai genitori ma anche ai possibili futuri allievi, oltre ad essere un'occasione per tutti coloro che hanno frequentato i corsi durante l'anno, per lasciare che tutto il tempo trascorso in sala a provare possa esplodere all'esterno nella meravigliosa, elettrizzante, tonificante, esaltante esperienza della scena.
Ho partecipato all'ultimo saggio lo scorso giugno, mentre quest'anno accademico sarà il primo in cui non dovrò preparare coreografie, poiché i progetti in cui sono coinvolta, che riguardano esclusivamente la formazione professionale, non prevedono il mio contributo nella costruzione della performance finale, affidata alle sapienti mani delle colleghe. Così mi godo le vacanze e…scrivo.
Nonostante conservi nel cuore ogni saggio portato in scena, ho la scomoda sensazione che tutta l'enfasi data a questo momento tolga spazio a ciò che per me è veramente importante: lo studio. Credo che la situazione più diffusa nelle scuole di danza in cui lavoriamo, sia quella di vedere i gruppi una o due volte alla settimana al massimo, con costellazioni di assenze diversamente assortite ad ogni lezione, il che già rende estremamente difficile la possibilità di formulare un programma da svolgere. Di fronte a queste circostanze mi sono sempre posta la questione: cosa rappresenta il saggio per gli allievi? E cosa invece significa per me? Non è semplice trovare un punto di vista condiviso sulla faccenda, che faccia contenti tutti. In realtà non so quali siano esattamente le reali aspettative degli allievi, forse sarebbe una bella domanda da fare, ma so perfettamente cosa è importante per me. La dignità di ciò che si presenta, tanto per cominciare, e che gli allievi siano consapevoli e autonomi nella gestione della coreografia dal punto di vista tecnico, musicale, spaziale e drammaturgico, che siano presenti in ciò che fanno, senza bisogno di suggerimenti da parte mia. Che il lavoro costruito rispecchi la personalità del gruppo, mettendone in luce la parte migliore, che faccia sentire ogni allievo in sintonia con sé stesso e con gli altri. Per sostenere questo obiettivo cerco sempre di evitare una richiesta tecnica eccessiva nella danza, che potrebbe far sorgere un senso di inadeguatezza tale da inibire il piacere di danzare. Con questo non voglio dire che gioco al ribasso nello scegliere i passi da inserire nella coreografia, ma per me il giorno del saggio è sempre stato il momento che segna la fine del mio lavoro e l'inizio del loro, non l'ho mai vissuto come una dimostrazione personale. Per permettermi di starmene tranquillamente seduta in platea a godermi lo spettacolo, quindi, ho sempre preferito bandire il repertorio ballettistico, dal momento che la musica sinfonica è difficile da sostenere per chi sta imparando, e poi il balletto è qualcosa di così cristallino e puro che bisogna disporre di allievi particolarmente dotati e inclini a quel tipo di estetica per poterlo rappresentare decorosamente, situazione nella quale ancora non mi sono mai trovata. Così ho sempre dato fondo alle mie (poche) doti da coreografa per costruire balletti appositamente pensati per l'occasione, utilizzando spesso studi al pianoforte, o comunque musiche semplici e orecchiabili, con pochi strumenti, per aiutare gli allievi a far emergere la propria danza senza sentirsi sovrastare dalle note di una intera orchestra, ma allo stesso tempo anche rendendoli responsabili della propria significanza musicale, autonomamente dalla musica che li accompagna, a cui non dovrebbero mai appoggiarsi. All'interno della coreografia poi le sfide possono essere tante: da una buona esecuzione della pirouette al tenere perfettamente il tempo in una sequenza di salti veloci, dal riempire un grande spazio musicale con un solo port de bras, mantenendo la tensione scenica, al gestire i saluti finali con pulizia e ordine. Mi è sempre piaciuto partire da queste piccole cose, perché per me la danza si annida proprio in questo genere di dettagli, ma bisogna tenere conto anche del macroscopico turbinare dei corpi, delle posizioni, le righe, le file, lo spazio, l'unisono, le corse. La cosa più difficile di tutte, comunque, trovo sia motivare gli allievi a provare sempre lo stesso materiale fino al saggio, perché dopo l'entusiasmo iniziale si sa già che ad un certo punto comincerà una curva discendente nella qualità e nell'attenzione e il risultato tenderà a peggiorare anziché migliorare. Ma ci sono ancora almeno tre mesi prima di arrivare a questa fase, non è utile pensarci già da ora. Per il momento voglio solo augurare a tutti i colleghi di essere illuminati da tante nuove e belle idee, che possano accendersi come lampadine nella mente danzante, in attesa di maturare e di incarnarsi nei movimenti dei nostri piccoli e grandi danzatori: che il nuovo anno, e tanti altri a venire, possano brillare di tanta bella, gioiosa e luminosa danza!